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Ragusa, il Comune vuole dare in gestione il complesso di Donnafugata a privati per 2.500 euro al mese. Parco, Castello e Museo del costume hanno già un grande flusso di visitatori a pagamento: non sarebbe dunque un contratto gratuito come previsto dal partenariato speciale pubblico privato. Tutti gli errori, le anomalie, gli inciampi, le finzioni dietro un iter lanciato ad alta velocità in pieno agosto ma in realtà avviato molto tempo prima con l’ente pubblico in veste quasi di ‘socio occulto’, nonchè favoreggiatore del partner prescelto per vie brevi: l’associazione temporanea d’imprese costituita da Civita Sicilia (riconducibile al gruppo capeggiato da Gianni Letta) e da Logos, cooperativa di Comiso fondata e presieduta da Rosario Alescio cresciuto all’ombra del potere Udc di Drago, Cuffaro e Lombardo. Sullo sfondo le impronte di un’inquietante rete di potere e del suo habitat, dal sistema-Montante all’influenza di apparati ben noti nella storia d’Italia. Il piano economico del progetto: un affare da 16 milioni e mezzo in dieci anni (ma la gestione potrebbe anche moltiplicare i ricavi) senza utili apparenti (appena il 7%) mentre all’ente pubblico proprietario di un patrimonio di così eccezionale valore andrebbe un’elemosina irridente. Ecco fatti, personaggi, retroscena, relazioni, connessioni, vicende del passato utili, anche quando non direttamente rilevanti, a leggere e a comprendere una decisione sbagliata, assurda, dissennata, illogica, oscura: com’è stato possibile tutto ciò? Domande, dubbi e riflessioni per orientarsi dal basso

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La sera di sabato 10 agosto scorso, notte di San Lorenzo, nel complesso di Donnafugata si sono ‘scontrate’, a pochi metri di distanza, una festa privata e la quinta serata del XVI Donnafugata Film festival, vigilia del gran finale domenicale con la sua parata di ‘stelle’ offerta agli appassionati del cinema.

Poiché tutto è avvenuto nello spazio pubblico, di proprietà del Comune, ha sorpreso che l’ente non abbia fornito una spiegazione univoca e convincente, lasciando il direttore artistico della rassegna Andrea Traina senza alcuna risposta, a parte quella – privata – di Emanuele Ottaviano, presidente del Lions Club Ragusa Host, promotore come ogni notte di San Lorenzo di una festa nella terrazza divenuta suggestiva proprio in quanto set prescelto da grandi registi in alcuni scorci memorabili di cinema d’autore come I vicerè di Roberto Faenza, per non dire della fiction televisiva Montalbano.

Traina, apprezzato regista attore e sceneggiatore, ha parlato di serata <<rovinata dal frastuono di una festa privata>> che l’ha gravemente compromessa trasformandola in <<un’esperienza frustrante per organizzatori e spettatori>> costretti ad abbandonare <<a causa della musica ad alto volume e delle luci psichedeliche>> che dalla storica terrazza interferivano sulla visione e sull’ascolto delle proiezioni nelle storiche attigue locations. Traina, indignato e amareggiato, già domenica 11 agosto, giorno finale della manifestazione, si è chiesto come tutto ciò sia potuto accadere <<apparentemente senza le necessarie autorizzazioni comunali>>.

Il Comune, nonostante il sindaco sia anche titolare delle deleghe turismo, cultura ed eventi (sicché neanche potenzialmente può esservi stata alcuna distonia o equivoco tra lui e l’assessore, che è egli stesso) non ha ammesso né motivato questa ‘apparenza’, esclusa invece dal testimone privato, il presidente del Lions, il quale in una dichiarazione alla stampa ha parlato di <<evento regolarmente autorizzato dall’amministrazione comunale in concomitanza con il “Donnafugata Film Festival” che si tiene in un’altra parte del castello>>.

E così, nel silenzio assordante del Comune, ecco che nello spazio comunale di un bene culturale di così alto pregio, due privati si trovino loro malgrado costretti a doversi disputare una verità che l’ente pubblico avrebbe avuto il dovere di affermare con nettezza ed invece ha preferito fuggire dalle sue responsabilità.

Rimangono perciò solo congetture. L’autorizzazione c’è stata ma il Comune non vuole o non può dirlo? E se fosse così, perché? E’ stata data in modo non conforme ai doveri di una pubblica amministrazione? Domande senza risposte.

L’episodio, clamoroso soprattutto per questa strana condotta del Comune, richiama alla mente, tra le tante concomitanze più o meno mal gestite che in estate possano determinarsi tra diversi eventi, quella di tre anni fa quando in una serata di fine agosto, nel viale compreso tra la scenografica scalinata dominata in alto da due sfingi egizie e in basso da due leoni e l’edificio neoclassico che lo delimita, a breve distanza da spettacoli di successo, andava di scena una parata massonica, con una cinquantina di adepti con guanti, grembiule e i vari arnesi della simbologia di rito. A presiedere e dirigere la riunione Maurizio Re, ‘maestro venerabile’ della loggia di Ragusa aderente al Grande Oriente d’Italia di palazzo Giustiniani: nel capoluogo ibleo ve ne sono due, la ‘San Giorgio e il Drago’ e la ‘Filippo Foderà’; un’altra è a Modica; in Sicilia oggi sono 97.

Nulla da dire se non per un alone di mistero che sembrò manifestarsi agli ignari spettatori degli eventi concomitanti di quella serata di tre anni fa.

La festa del Lions del 10 agosto scorso è ben altra cosa e qui rileva per il disturbo arrecato alla fruizione del Film festival e per il silenzio del Comune sulle cause dell’incidente, mentre quella riunione di massoni in abiti di rito, agli stupiti involontari testimoni sembrò protetta da una coltre di segretezza che mal si concilia con uno spazio pubblico che può essere concesso solo in totale trasparenza. Basti pensare che lo stesso Comune di Ragusa, come qualsiasi altro ente locale in Sicilia per effetto della legge voluta da Claudio Fava, la n. 18 del 2018, e nelle altre regioni in cui vige una norma identica, deve pretendere dal suo stesso sindaco, dagli assessori e consiglieri comunali, nonché titolari di incarichi affini <<una dichiarazione, anche negativa, sull’eventuale appartenenza a qualunque titolo ad associazioni massoniche o similari che creino vincoli gerarchici, solidaristici e di obbedienza qualora tale condizione sussista, precisandone la denominazione>>. E’ noto peraltro come il fine di queste logge sia proprio quello di impedire i danni dell’obbedienza, visto che questa è anche l’appellativo naturale delle logge, con la ‘O’ maiuscola come lettera iniziale di un nome proprio.

Tornando alle vicende recenti, poiché il Comune di Ragusa ha taciuto sullo ‘scontro’ di eventi la sera di San Lorenzo, non sappiamo se si sia semplicemente voluto sottrarre all’ammissione di un errore o se, al contrario, ritenga di non averne commesso alcuno in quanto a suo avviso un film possa essere visto sotto le luci psichedeliche e nel frastuono musicale prodotti da una festa privata concomitante e nel contempo ponga quest’ultima sullo stesso piano del Festival cinematografico nello scenario di grande pregio del suo bene culturale-gioiello.

Dietro lo schermo del partenariato, il regalo di una lucrosa gestione ad un tandem privato, in danno del Comune e della collettività 

Eppure questo asset straordinario del patrimonio della città, impropriamente definito castello ma in realtà dimora patrizia di grande attrazione turistica, proprio in quei giorni era ben presente nella testa di Peppe Cassì, 61 anni, sindaco di Ragusa al secondo mandato ed anche ‘assessore’ alla cultura, al turismo e agli eventi.

Il 6 agosto, proprio quando cominciava il Donnafugata Film Festival, il Comune comunicava alla città quali fossero i suoi intendimenti sul futuro del complesso, pubblicando un avviso conseguente ad una delibera di giunta del primo agosto precedente. E che già il giorno dopo, il 2 agosto, proprio Cassì faceva oggetto di una sua ispirata riflessione: <<E se il Castello di Donnafugata col suo Parco fosse aperto e visitabile anche di sera? Immaginate il fascino? E se fosse dotato di un numero maggiore di addetti competenti? E magari fosse anche in connessione strategica con il nuovo Museo della Città di Palazzo Zacco, in pieno centro? …>>. E a seguire altre retoriche e ammalianti domande di autocompiaciuto stupore: solo in apparenza domande; esse in realtà contenevano certezze acquisite e decisioni già prese: non tanto e non solo sul mirabolante risultato di cui il sindaco già allora pregustava il fascino (castello e parco aperti anche di sera, più addetti competenti, connessione con palazzo Zacco) ma, soprattutto, sul come raggiungerlo o, almeno, dichiarare di poterlo fare.

E come? Con una colossale privatizzazione della gestione del complesso di Donnafugata, con tutto ciò che in esso si trova e vive al suo interno, e, appunto, di palazzo Zacco.

Questo dicono i fatti i quali, come insegna l’esperienza, hanno la testa dura e quando si tenti di cambiare loro nome, essi si ribellano.

In questo caso i fatti ci dicono che il Comune di Ragusa, quindi il sindaco nonché assessore al ramo Cassì, ha deciso – e da tempo, ex cestista professionista, è in azione, palla in mano, sguardo puntato sul canestro – di affidare l’intera gestione dei beni citati ad un privato, scelto ‘ad personam’ per ragioni che precedono qualunque valutazione di merito che infatti, mera tara burocratica, sarà acconciata solo in seguito a conclusione di un procedimento, avviato il primo agosto scorso con la presa d’atto del ricevimento, avvenuto il 30 luglio precedente, di una proposta di ‘partenariato speciale pubblico-privato’. Un procedimento che a breve, con ogni probabilità in giunta entro settembre-ottobre e – definitivamente – in consiglio comunale entro l’anno, si concluderà con una valutazione che in realtà è già avvenuta ben prima che esso cominciasse e che anzi lo ha artatamente ispirato, stravolgendo l’essenza dell’istituto, il partenariato in versione speciale, previsto da una legge recente dietro il quale in questo caso si cela la sostanza giuridica, politica e amministrativa di un atto ben diverso: appunto l’affidamento, soggettivo e arbitrario, senza gara selettiva né valutazione comparativa, della gestione di beni pubblici di straordinaria rilevanza, ed anche di grande valore economico per la città, ad un privato, anzi due che allo scopo si sono associati in affari nella veste di unico proponente-contraente.

Del resto è di poche settimane fa la trovata brillante di un parlamentare della Repubblica, Erica Mazzetti deputata di Fi, la quale con ingegno ha proposto di risolvere, con 18 anni di ritardo e almeno dieci di gravi e costose tribolazioni per l’Italia, il problema del rinnovo delle concessioni riguardanti gli stabilimenti balneari, agli stessi soggetti di sempre e senza alcuna gara. Come?  Semplicemente cambiando nome: non più ‘concessioni’ ma ‘partenariato pubblico privato’. La geniale deputata toscana ha escogitato anche lo strumento capace di gabbare in un colpo solo tutte le istituzioni dell’Unione europea, nonché in Italia il Consiglio di Stato e l’Antitrust: mettere un cartello su ogni tratto di spiaggia cambiando la parola ‘concessione’ con quella miracolosa, nuova di zecca – partenariato pubblico-privato, appunto – introdotta di recente dal decreto legislativo n. 36 del 2023 varato dal governo-Meloni il 31 marzo dello scorso anno in esecuzione di una legge-delega in materia di contratti pubblici, la n. 78 del 2022, approvata dal Parlamento il 21 giugno dell’anno precedente.

Sia pure senza possedere il dono della stessa schietta ammissione, la trovata del Comune di Ragusa presenta qualche somiglianza con quella della deputata di Prato.

Del resto se il procedimento scaturisce dalla proposta elaborata dal privato proponente e aspirante partner inviata tramite pec al Comune il 30 luglio scorso, perché da molto tempo prima l’ente pubblico proprietario del complesso di Donnafugata (acquistato, restaurato, riqualificato e valorizzato fino allo splendore odierno con i soldi dei contribuenti) si è adoperato con impegno e senza risparmio al fianco di quel privato, aiutandolo e favorendolo nel suo intento di presentare quella proposta? A che titolo lo ha fatto? E perché già diversi mesi prima che la proposta giungesse a palazzo dell’Aquila il Comune la considerava un proprio progetto, ed anzi una propria scelta già compiuta, prima di poter valutare e accertare se e in che misura essa corrispondesse all’interesse pubblico supremo di cui l’ente deve essere garante e custode?

Poiché, come abbiamo detto, i fatti valgono più di ogni cosa, esaminiamoli.

La sequenza degli atti e dei fatti dimostra la vera natura del progetto.

In agosto iter burocratico ad alta velocità ma, tenuta coperta

la proposta del partner (istinto pavloviano?) c’è voluto un avviso-bis

Il 30 luglio al protocollo del Comune perviene la proposta di un privato. Due giorni dopo, 1 agosto, ecco la giunta riunita (assenti gli assessori Catia Pasta e Giovanni Gurrieri: casualità o astensioni cautelari?) pronta a prendere atto e ad attivarsi a tempo di record dando mandato al dirigente di settore di <<procedere con adeguata evidenza pubblica>>: sulla misura dell’adeguatezza dell’evidenza pubblica il Comune, come vedremo tra poco, incorrerà in un inciampo che racconta più di quel che sembri.

Peraltro nella delibera, preso atto della proposta privata appena pervenuta, al fine di corroborarne la provvidenziale validità, l’ente dichiara la propria preesistente <<idea di volere esternalizzare il servizio di gestione nella sua totalità, al fine di migliorare la valorizzazione/sponsorizzazione dei beni culturali …>>. Guarda un po’ la fortuna di questo aspirante partner privato: la propria casuale proposta incontra ed incrocia, in una corrispondenza d’amorosi sensi, la ‘preesistente idea del Comune’!

Il giorno dopo l’approvazione della delibera, il sindaco, estasiato ed entusiasta, comunica, con l’incipit che abbiamo riportato, la buona novella. Insomma, la decisione è presa, anzi era presa da tempo ma occorre onorare fastidiose formalità burocratiche per mettere a posto la parvenza di un atto che nella sostanza è ben altro. Non serve tempo per esaminare, approfondire, valutare: tutto è già stato fatto. Occorre solo ‘mettere a posto’ le carte e perciò si procede a tappe forzate. Il 6 agosto il Comune con determinazione dirigenziale emana l’avviso assegnando trenta giorni (il tempo minimo fissato dalla legge per i contratti di sponsorizzazione), quindi con scadenza il 5 settembre, a chi volesse presentare proposte alternative sullo stesso oggetto.

Il 7 agosto un comunicato stampa dà notizia dell’avviso, ma il 12 agosto il Comune torna sui suoi passi perché, con la fretta, ed anche per una sorta di riflesso condizionato, non aveva reso pubblica la proposta del privato: del resto, a che serve, avrà pensato l’estensore-esecutore, se è già tutto deciso e se si tratta solo di rispettare l’apparenza di un obbligo di legge? Quella mancata pubblicazione non fu una dimenticanza, per la fretta che comunque c’era, ma una scelta: una scelta indotta, appunto, da quel riflesso condizionato per il quale al cane di Pavlov la campanella, perduta la sua ‘neutralità’, annunciava un pasto appetitoso. Il Comune di Ragusa la sua campanella se l’era più volte suonata quando, molto tempo prima, aveva deciso cosa fare e a quel punto, pronto a consumare il suo pasto, ovvero realizzare il risultato precostituito, era caduto nel suo istinto pavloviano.

Obtorto collo però – qualcuno ad un certo punto l’avrà notato – ecco che il ‘bravo dirigente’ deve correre ai ripari, modificando e integrando, appunto con la pubblicazione della proposta del partner privato, l’avviso del 6 agosto. L’unica conseguenza è che i trenta giorni scadranno l’11 settembre, anziché il 5, ma per il resto è già, come lo era ben prima, tutto deciso.

Questa non è – solo – una deduzione, peraltro logica e coerente con una lunga sequenza di fatti che, come sappiamo, non mentono.

Essa stessa è un fatto che ci conduce alla campagna d’autunno condotta lo scorso anno dal sindaco Cassì dopo la sua rielezione; una campagna sul turismo e sulle deleghe che, a differenza del quinquennio precedente, ha trattenuto per sè: turismo appunto, cultura, eventi. Una campagna nutrita da una serie di incontri e iniziative promosse per illustrare una nuova strategia nel settore.

Già ai primi d’ottobre si tiene nell’aula consiliare una riunione, pare a porte chiuse, con una trentina di persone invitate alle quali viene decantato il potere mirabolante di un super-esperto che ha folgorato Cassì il quale, quindi, vuole ingaggiarlo.

E’ un politico di Torino, consigliere di una delle circoscrizioni della città, collezionista di una sequenza interminabile di incarichi, quasi tutti di natura pubblica e di fonte politica fiduciaria, dei quali fa sfoggio nel curriculum.  Si chiama Paolo Verri e a febbraio scorso viene a Ragusa a presenziare all’evento di lancio del piano strategico sulla Ragusa del 2043: Cassì guarda lontano, ha l’orizzonte di un ventennio, mentre, più prosaicamente, proprio Verri, quando, nelle elezioni del 3 e 4 ottobre 2021, si candida, eletto, nel consiglio del suo quartiere (Sal Salvario – Cavoretto – Borgo Po – Nizza Millefonti – Lingotto Filadeflia, un agglomerato di 60 mila abitanti) alla sua lista dà il nome ‘Torino domani’.

Verri, 58 anni, laureato in Lettere e filosofia alla Cattolica di Milano (tesi su ‘Il libro e la televisione, storia di un rapporto difficile’) costruisce la sua biografia attraverso una serie di incarichi fin dal 1993 tra il Salone del libro e della musica di Torino, consulenze con assessori comunali, successive collaborazioni in varie regioni italiane su eventi culturali e promozione turistica, inanellando contratti al servizio di città concorrenti ogni anno al titolo di ‘capitale italiana della cultura’.

Cassì ne decanta il successo conseguito con ‘Matera capitale della Cultura 2019’ (difficile immaginare un’altra città che più di quella dei Sassi meritasse il titolo) e presenta Verri come un superesperto. Ma il sindaco di Ragusa proprio in quel campo ne ha già uno, super o meno che sia, Clorinda Arezzo che snel suo mandato-bis ha preferito richiamare a sé in questa veste e non in quella di assessore, nonostante nessuno si sia accorto di alcuna differenza in proposito tra la Arezzo membro di giunta nel primo quinquennio e la Arezzo ‘semplice’ consulente, perché ‘esperta’, nel secondo. L’unica differenza è che il titolo della carica ora è saldamente nelle mani del sindaco e il rapporto di fatto, con la preferita nel settore, delegato o sub-delegato, vive fuori dalla giunta, al riparo da ogni dubbio di formale inopportunità.

Ma non c’è solo Arezzo perché, nella stessa campagna d’autunno Cassì, sempre in materia di turismo, ingaggia un altro ‘esperto’, Ignazio Ottaviano, prescelto, in mancanza di altre motivazioni, per essere stato direttore di un albergo nel centro della città. Il sindaco lo annuncia ai primi di dicembre ’23 e lo porta con sè in una serie di incontri in cui spiega i suoi programmi in tema di turismo. In uno di questi, a gennaio scorso, con gli operatori turistici di San Giacomo, contrade limitrofe e Donnafugata, sempre con Ottaviano al suo fianco e per l’occasione con l’assessore alle frazioni Andrea Di Stefano, parla di svolta. Ecco il resoconto che ne fa il quotidiano Ragusaoggi.it: <<Il sindaco ha annunciato alcuni importanti obiettivi su cui sta lavorando l’amministrazione e che riguardano da vicino il castello … avrà presto una nuova vita, una nuova modalità di fruizione in quanto il Comune sta ascoltando vari operatori culturali nazionali che gestiscono siti culturali in Sicilia e in altre regioni e sta valutando un partenariato pubblico-privato per potere migliorare la fruizione del castello … Cassì: “La gestione del nostro amato castello e del relativo parco rappresenta per noi una priorità fondamentale. Attualmente siamo già in contatto con operatori turistici specializzati nella gestione di siti di interesse turistico e culturale al fine di stabilire una collaborazione efficace e proficua attraverso un accordo di partenariato pubblico-privato …. Il nostro obiettivo è quello di aprire un discorso costruttivo su più fronti, abbiamo già avuto il sopralluogo di alcuni operatori italiani molto importanti…”>>.

Conviene soffermarsi attentamente su queste notizie comunicate dal sindaco a gennaio, sei mesi prima che al Comune giunga la proposta di partenariato di cui ci stiamo occupando.  Tra di esse una certezza  (<<il castello avrà presto una nuova vita, una nuova modalità di fruizione>>) poichè <<il Comune sta ascoltando vari operatori culturali nazionali e sta valutando un partenariato pubblico-privato>>.  Se non v’è alcun motivo per dubitare della certezza di quella novità annunciata, non è affatto vero che il Comune stesse ascoltando vari operatori culturali nazionali: ne stava ascoltando uno solo, quello che poi, il 30 luglio successivo, inoltra la proposta elaborata attraverso una lunga ‘combine’.

Del resto è proprio il sindaco, in quella stessa riunione di gennaio, a fare il nome di questo <<importante e qualificato operatore culturale nazionale>>, Civita Sicilia s.r.l su cui torneremo più avanti.

Infatti ai concetti riassunti da Ragusaoggi.it – testata non sospettabile di ostilità verso l’amministrazione comunale ma del contrario, anche per le forti cointeressenze della struttura editoriale vertenti proprio sugli affari del ‘castello’ – in quella riunione di gennaio, Cassì, forse per non rischiare di apparire meno concreto di quanto egli senta di essere, e di far toccare con mano la verità dei suoi progetti che sono già realizzazioni compiute, aggiunge quel nome, che è anche un bel nome: ‘Civita’, memoria e retaggio, culturale e giuridico, della Civitas latina!

Già a gennaio Cassì annuncia la svolta e parla della società Civita.

Nei quattro mesi precedenti Clorinda Arezzo l’incontra cinque volte 

Peraltro poco più di due mesi dopo, ad aprile, mentre nel ‘castello’ in una giornata di chiusura al pubblico sta operando una troupe della Rai con Alberto Angela – e, pare, Luca Zingaretti che dodici anni prima vi si è sposato – arriva Rosario Alescio, noto politico ibleo e imprenditore, vero ‘architetto’ come vedremo della proposta di ‘partenariato speciale pubblico-privato’ riguardante il complesso di Donnafugata. Non era solo, né passava lì per caso, né – stante la chiusura – ha dovuto bussare. Ad accompagnarlo c’era l’esperta Clorinda Arezzo, ovvero, per i rapporti in atto e le dinamiche descritte, quasi il sindaco ‘di persona personalmente’: in ogni caso il Comune di Ragusa nella pienezza delle sue prerogative, e dei suoi doveri, istituzionali.

Inoltre in quel periodo negli uffici di palazzo dell’Aquila è voce corrente, tanto da produrre una forte eco fin tra i visitatori nelle stanze del ‘castello’, che a maggio arriverà la proposta di Civita. Non sarà maggio, e neanche giugno, ma fine luglio sì.

Forse il desiderio di cotanta novità era così forte da avere lastricato delle insidie tipiche di ottimismo eccessivo i sentieri così attivamente percorsi da un sindaco ansioso d’andare a canestro e dall’intero suo entourage, un cerchio magico che vive esclusivamente di fedeltà e rapporti personali, nutriti non di rado da ben collaudate frequentazioni private, di classe e di ceto, nonché da rapporti di parentela. Ma tutto ciò non è deriva di questo sindaco o di questa amministrazione comunale, bensì devianza di sistema che nel tempo ha azzerato la dialettica democratica come filo conducente delle decisioni consegnando tutto il potere – anche quello della giunta e della stragrande maggioranza del consiglio, quasi sempre senza il consenso dei cittadini e in dispregio del principio dell’uguaglianza del voto – nelle mani di un uomo solo (a Ragusa mai finora una donna): non sindaco dunque ma ‘podestà’, non nella vecchia accezione medievale ma in quella della nostra storia più recente.

Forse è stata la voglia irrefrenabile di fare in fretta a produrre l’errore di calcolo sui tempi. Ma il ritardo di circa due mesi ha servito su un piatto d’argento ai ‘promessi partners’ un vantaggio in più: concedere il mese d’agosto come tempo utile (il minimo di legge come abbiamo già visto) perché altri potessero avanzare eventuali diverse proposte.

Se a quanto già documentato e ricostruito aggiungiamo il fatto che negli ambienti vicini all’accoppiata di proponenti (Civita Sicilia e Logos società cooperativa) dallo scorso anno si dà per certa la ‘gestione del castello di Donnafugata’ si ha ben chiaro l’artificio distorsivo messo in atto dal Comune con la scelta di lasciare appena trenta giorni in agosto a chi volesse elaborare proposte alternative da valutare comparativamente. Come negli scorci più oscuri della storia italiana in cui il potere centrale cerca il favore delle tenebre o la forza ‘accecante’ e annichilente del solleone, oltre alla distrazione per le vacanze, per abbassare le difese della vigilanza civica e spuntarne le armi critiche, così – quale che sia il vero motivo della scelta adottata dal piccolo Comune di Ragusa nell’aria meno insalubre di periferia – la sensazione è quella di trovarsi dinanzi a qualcosa di simile.

Che la gestazione di questo apparente partenariato proposto alla vigilia d’agosto sia stata molto lunga non solo è incontestabile come risulta da tutti gli elementi evidenziati, ma è negli atti del Comune: peraltro una gestazione non ‘agamica’, come invece una proposta proveniente dal fronte privato del partenariato dovrebbe essere; bensì, restando alla similitudine mutuata dalla riproduzione delle piante, di fatto … ‘sessuata’ ben prima di un fatidico sì – prestato nei tempi, nei luoghi, nei modi e con le regole proprie di un matrimonio, o anche solo di un rapporto – da parte del soggetto pubblico.

Nella relazione, intitolata ‘quale futuro per i musei di Ragusa’, sui primi quattro mesi di attività, settembre-dicembre ’23, prestata quale esperta in materia di turismo, cultura ed eventi, depositata il 9 gennaio ’24, Clorinda Arezzo dichiara:  <<Ho già sostenuto cinque riunioni con la società di gestione di servizi culturali Civita durante le quali ci siamo scambiati riflessioni, visioni, dati e informazioni sullo stato di fatto e su un ipotetico futuro assetto dei luoghi culturali di Ragusa. L’idea che si sta perseguendo attraverso la formula del Pspp è quella di creare un sistema di rete dei principali luoghi culturali di Ragusa che garantisca un’offerta strutturata per i visitatori indirizzati su una fruizione culturale della città>>.

Parole chiare che non comportano alcuna necessità di esegesi ma sulle quali torneremo per le valutazioni finali non tanto sotto il profilo del rispetto formale delle norme di legge da parte del Comune, bensì delle scelte liberamente compiute dall’ente la cui prima responsabilità è quella di garantire trasparenza, imparzialità, buon andamento, efficienza: doveri che la nuova disciplina del Pspp, partenariato speciale pubblico privato, non scalfisce minimamente ma anzi, soprattutto in tema di beni culturali, rafforza.

Prima di affrontare il capitolo riguardante il soggetto privato proponente (un raggruppamento temporaneo d’imprese formato da Civita Sicilia e da Logos società cooperativa, con la prima in funzione di mandataria) vediamo gli elementi essenziali della proposta concernente di fatto l’intera gestione economica del complesso di Donnafugata (ovvero tutti gli spazi del cosiddetto castello, del parco, e del Mudeco, il Museo del Costume) e di palazzo Zacco, uno dei diciotto monumenti di Ragusa riconosciuti dall’Unesco – nel quale attualmente sono custoditi la collezione Cappello nonchè il Museo del tempo contadino – sede di Cultural Hub Ragusa. Proprio per la sua ubicazione nel centro della città, Civita-Logos vorrebbero farne la centrale informativa e l’hub turistico culturale.

La proposta in cifre: prezzi dei biglietti d’ingresso raddoppiati,

da luglio a settembre due ore in più per i visitatori ma durante l’anno diminuisce il tempo complessivo di apertura

In estrema sintesi possiamo intanto cogliere nella proposta i seguenti dati.

Il contratto avrà scadenza decennale, con possibilità di proroga. Il partner privato: assumerà gli oneri di gestione tranne i costi della manutenzione straordinaria, della raccolta e smaltimento rifiuti e degli scarichi fognari; corrisponderà al Comune un canone di 30 mila euro l’anno, ovvero 2.500,000 euro al mese, che <<a partire dal quarto anno sarà incrementato di una percentuale pari alla percentuale di aumento del fatturato derivante dagli introiti di biglietteria>>.

In proposito, a prestar fede alle previsioni del piano economico e prendendolo alla lettera, tale incremento presenterà cifre irrisorie. Se infatti dal quarto anno l’incremento degli introiti di biglietteria sarà, come previsto, del 5% annuo, il Comune riceverà (non è chiarito se rispetto all’anno precedente o all’anno iniziale, visto che per tre anni l’incremento sarebbe comunque sterile per l’ente) 1.500,00 euro in più (quindi € 31.500,00 anziché 30.000,00), ovvero € 125,00 al mese in più (€ 2.625,00).  E se l’incremento si realizzasse effettivamente secondo la progressione stimata, al decimo anno il canone potrebbe raggiungere i 40 mila euro (poco più di 3 mila euro al mese). Insomma dall’incremento dei visitatori il Comune ricaverebbe il 5% di utilità economica, mentre il 95% andrebbe nelle casse del partner privato.

Occorre poi considerare i punti di partenza, reali, esenti quindi dall’alea delle previsioni.

Nel 2023 il complesso di Donnafugata ha avuto 110.919 visitatori i quali hanno complessivamente fruttato al Comune, nella variegata tipologia dei biglietti (intero, ridotto, singolo, cumulativo, scolaresche, gruppi) un ricavato di € 622.996,00.

Manca un piano finanziario specifico ad attestare quale sia stata l’utilità netta per l’ente ma se si considera l’esiguità del personale impiegato (due o al massimo tre unità tra le quali un custode e un funzionario per le mansioni amministrative di riferimento) si può dedurre che gran parte di tale ricavato sia nelle poste attive di palazzo dell’Aquila. Andrebbe poi sottratto l’importo relativo al servizio prestato dal responsabile del Mudeco Giuseppe Iacono che il Comune  attualmente remunera con la somma media di poco più di 20 mila euro l’anno (esattamente, stante agli atti di incarico, € 42.000,00 per due anni da marzo 2023, € 38.000 per un anno e mezzo in precedenza) e che, nell’ambito del nuovo contratto, sarebbe retribuito direttamente dal partner privato al pari degli altri dipendenti e collaboratori che Civita-Logos decideranno di assumere o comunque di impiegare.

Il piano economico, avente negli incassi di biglietteria la voce più importante della produzione, nel primo anno di gestione, il 2025 (in pratica è già tutto deciso) fissa a 111.100 il numero stimato dei visitatori, sostanzialmente lo stesso numero del 2023: sarebbe interessante verificare l’andamento del 2024 e magari scoprire che il dato di previsione del 2025 ne rappresenti un arretramento.

Nei dieci anni, o nei primi dieci, il partner privato prevede una gestione da 16 milioni e mezzo di euro (per l’esattezza € 16.433.017,00) per un valore della produzione da 1.306.500,00 il primo anno, in crescita fino a € 2.026.810,00 l’ultimo anno, un totale quindi di € 16.433.017,00 ed una media annua di € 1.643.02,00.

Di questo business la gran parte, l’87,77% secondo la stima del proponente, è rappresentato dai ricavi di biglietteria: da € 1.146.500,00 il primo anno a € 1.778.598,00 l’ultimo per un totale di € 14.420.554,00 ed una media annua di € 1.442.055,00. Questo è il dato che si ricava dalle cifre indicate dal partner che però nella proposta attesta: <<il valore della produzione è composto da ricavi di biglietteria (91%) e da visite accompagnate (9%), a loro volta composte da visite, attività educative e didattiche (20%), da eventi di valorizzazione territoriale (20%) ed altri eventi (60%). Tutte le attività crescono nei 10 anni del 55% circa, in linea con l’andamento dei visitatori>>.

Da rilevare che il cospicuo incremento degli introiti di biglietteria è previsto già il primo anno (€ 1.146.500,00, ovvero + 523.504,00 rispetto alla cifra di € 622.996,00 ricavata dal Comune nel 2023) pur a numero invariato di visitatori: 110.919 nel ’23, 111.100 la stima nel ‘25. Il prezzo quindi tenderà a raddoppiare (12 euro per castello, parco e museo, dieci euro quello ridotto) sia pure con varianti differenziate nelle varie tipologie di biglietto.

Rispetto ad un valore della produzione di quasi 16 milioni e mezzo di euro nel decennio i costi di produzione stimati dal partner ammontano a € 15.232.505,00, con una media annua quindi di € 1.523250,00.

Quelli per il personale, sempre secondo il proponente privato, pesano oltre la metà: € 713.560,00 il primo anno, € 832.951,00 l’ultimo, per un totale di € 7.718.085,00 ed una media annua di € 771809,00. Tra gli altri costi (alcuni imprecisati o di dubbia leggibilità) figurano € 95.000 fisse l’anno, totale € 950.000,00, per promozione e comunicazione;  € 22.000 fisse l’anno, totale € 220,000,00 per allestimenti e migliorie; € 2.522.769,00 in totale (€ 201.506,00 il primo anno, € 310.088,00 l’ultimo) per servizi; infine una cifra di quasi quattro milioni di euro, esattamente € 3.821651,00 – da € 365.325,00 il primo anno a € 401.341,00 l’ultimo – è derubricata alla voce ‘altri costi generali e varie’.

Nella proposta il partner privato così classifica l’incidenza percentuale dei costi stimati: costi per servizi, materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci (17%); – investimenti per allestimenti e migliorie (2%); – costi del personale (50%); – promozione e comunicazione (6%); – altri costi generali e varie (25%).

L’utile messo in conto, o almeno quello dichiarato, invece è quasi nullo: infatti è stimato in valori negativi nei primi tre anni (- € 90.891,00 il primo anno); è fissato, prima delle imposte, ad appena € 36.295,00 nel quarto anno, 365.431,00 nel decimo, per un totale di € 1.200.512,00 nel decennio ed una media annua di € 120.051,00. In valori percentuali l’utile d’esercizio medio è del 7,31%, con una partenza di -6,96 il primo anno, +2,4% nel quarto, +18,03 nel decimo.

Se vogliamo focalizzare, anche nelle motivazioni entusiastiche date dal sindaco a sostegno di questa forma di gestione, lo sviluppo della fruizione pubblica (ricordate le sue parole: <<E se il Castello di Donnafugata col suo Parco fosse aperto e visitabile anche di sera? Immaginate il fascino?…>>) scopriamo che il complesso di Donnafugata chiuderebbe l’intero mese di febbraio, osserverebbe un giorno di chiusura settimanale il lunedì (tranne che nei festivi), sarebbe aperto dalle ore 10 alle 16 nel periodo ottobre-gennaio, dalle ore 10 alle 17 a marzo e aprile, dalle ore 10 alle 20 a maggio e giugno, dalle ore 10 alle 22 a luglio, agosto e settembre.

Rispetto alla situazione attuale, in inverno rimarrebbero invariati sia il numero delle ore d’apertura che l’orario di chiusura, senza dire che la nuova gestione porterebbe una novità negativa senza precedenti: un mese intero, febbraio, di chiusura l’anno; inoltre dal 31 marzo al 30 aprile opererebbe addirittura una restrizione rispetto alla gestione attuale: in tale periodo infatti la chiusura avverrebbe alle ore 17.00, mentre attualmente è alle 19.00 con tre ore d’apertura in più durante la giornata. A maggio e giugno rimarrebbero invariate le ore quotidiane d’apertura (10) mentre da luglio a settembre la nuova gestione ne offrirebbe due in più al giorno, dalle ore 10 alle 22, quindi 12 ore invece delle 10 attuali.

Civita-Logos concludono che il piano di organizzazione in sintesi <<prevede di: – ripensare in modalità flessibile e modulabile gli orari di apertura al pubblico con l’attivazione di call center dedicato; – riorganizzare i servizi di biglietteria, accoglienza e controllo accessi: – creare nuovi servizi educativi; – riposizionare i siti sul mercato turistico; – elaborare e attuare un piano di comunicazione da articolare annualmente; – elaborare un programma di mostre e di eventi pubblici e privati; – individuare nuove iniziative culturali>>. Le funzioni che sarebbero attivate sono così riassunte:  biglietteria, informazioni e prima accoglienza; organizzazione mostre ed eventi pubblici e privati; sorveglianza e accoglienza e servizio pulizie nel parco, nel castello e nel Mudeco; manutenzioni e cura del verde.

Chi sono i nuovi gestori: profili professionali e relazioni. La storia del presidente di Civita Sicilia Giovanni Puglisi, massone di successo

Il coordinatore generale designato del progetto è Antonino Gerbino, 71 anni, definito da Civita-Logos manager di imprese culturali. E’ iscritto all’elenco dei pubblicisti in Sicilia ed in virtù di questo titolo si occuperebbe della <<comunicazione e dell’ufficio stampa>> il cui costo, imputato alla voce ‘comunicazione e promozione’ è stimato come abbiamo visto in € 90.000,00 annui. Siciliano di Siracusa, laureato in psicologia, ha lavorato per la Cisl ed ha collezionato per oltre 40 anni una lunga serie di incarichi di ufficio stampa, spesso da enti pubblici, in mostre e vari eventi culturali. Da oltre quindici anni è legato a Civita Sicilia srl curandone la comunicazione, nonché i rapporti con le istituzioni e le relazioni d’affari.

Alla guida delle attività espositive nella proposta decennale di gestione è destinata Barbara Gasperini definita ‘cultural project manager’. Gasperini, 52 anni, laurea in lettere, dopo avere lavorato a fine anni 90 per un’agenzia immobiliare di Roma, comincia a collaborare con Civita quando questa espande la sua area d’influenza soprattutto per impulso di uno dei suoi principali artefici e fondatori, Gianni Letta vero motore del potere berlusconiano nella capitale. Durante i governi Berlusconi 2001-2006 Gasperini ha un ruolo di primo piano nella direzione degli eventi culturali del Ministero degli Esteri, del Mibact, Ministero Beni e attività culturali, delle mostre nelle scuderie del Quirinale e della Galleria comunale d’arte moderna e contemporanea. Dopo una pausa durante il biennio del governo-Prodi eccola nel 2008 ancora con un ruolo di primo piano al Mibact (oggi Mic) e dal 2011 al 2012 per il Consiglio della Regione Lazio durante la breve presidenza di Renata Polverini, Fi, travolta dagli scandali per l’inchiesta sul caso-Fiorito e su fondi elargiti ai gruppi consiliari. Dal 2014 Gasperini è, a Roma, nello staff di Civita; dal 2015 al 2017 lavora anche per Ien (Italian Entertainment Network) del Comitato Leonardo, emanazione di Confindustria e dell’Istituto italiano per il commercio estero; dal 2017  dirige l’ufficio mostre e progetti internazionali di ‘Civita Mostre e musei spa’, una delle società operative del gruppo alla cui guida, come presidente dell’associazione che ne costituisce il perno, dal 2013 c’è proprio Gianni Letta figura di vertice fin dalla fondazione avvenuta nel 1987 come vedremo in seguito.

Ripercorrendo, nello stesso ordine gerarchico contenuto nella proposta, le figure professionali elencate troviamo di seguito Giuseppe Iacono, ragusano, architetto il quale, in continuità con la condizione attuale di responsabile del Mudeco, Museo del costume, sarebbe inserito nello staff di partenariato <<previa verifica – si legge – dell’assenza di altri rapporti di lavoro o di collaborazione che lo rendano incompatibile>> e curerebbe anche le attività educative. Seguono altre figure professionali indicate sempre all’insegna di una distribuzione paritaria, al 50%, tra Civita e Logos che, con lo stesso schema, annunciano anche i propri rappresentanti nel tavolo tecnico permanente con il Comune: <<a conferma dell’importanza che attribuiamo all’organismo – scrivono pomposamente Civita-Logos – i soggetti proponenti designeranno, insieme al coordinatore generale del progetto (Gerbino, n.d.r.) rispettivamente le figure più rappresentative: Renata Sansone, amministratore delegato di Civita Sicilia e Rosario Alescio, presidente di Logos>>.

E’ allora sulle due società, Civita Sicilia srl e Logos scarl, e sui rispettivi vertici che bisogna soffermarsi.

Cominciamo con le loro stesse note di ‘autopresentazione’.

<<Civita Sicilia, Società regionale del Gruppo Civita che vede anche la partecipazione azionaria di Fondazione Sicilia, nasce nel 2008… È stata la prima azienda privata a gestire, come concessionario di un ente pubblico, i servizi di fruizione del primo museo siciliano che adottava standard qualitativi di livello internazionale, la Civica galleria d’arte moderna di Palermo. La società, già attiva da diversi anni anche nella Sicilia orientale, più di recente ha iniziato a operare nell’area ragusana acquisendo la gestione dei servizi di fruizione del Museo civico di storia naturale di Comiso, in associazione temporanea di imprese con Logos società cooperativa>>.

<<Logos società cooperativa è una delle più importanti strutture di consulenza nel panorama siciliano. Negli anni Logos ha ampliato le proprie attività oltre il core business della formazione, articolata in vari segmenti che spaziano dall’obbligo formativo alla formazione professionale per occupati, dalla formazione in ambito sanitario ai percorsi di istruzione tecnica superiore, per abbracciare anche il settore della progettazione e dell’assistenza tecnica alle filiere produttive e agli enti locali a supporto dello sviluppo dei territori. Negli ultimi anni ha sviluppato particolare esperienza nelle azioni di assistenza ad enti locali e aggregazioni territoriali con focus sul turismo culturale e sulla destagionalizzazione dei flussi nonché sulle campagne informative e di sensibilizzazione>>.

Ecco ora qualche notizia ulteriore frutto di nostra ricerca sul conto delle due imprese, associatesi per gestire a Ragusa il complesso di Donnafugata e palazzo Zacco.

Civita Sicilia srl, sede legale a Palermo in viale Libertà 52, iscritta al registro delle imprese nel 2009 con codice Ateco 9103 (‘Gestione di luoghi e monumenti storici e attrazioni simili’), capitale sociale di € 580.000, dichiara 29 dipendenti e, nel 2023, un fatturato di un milione e ottocentomila euro (1.828.042,24) totalmente assorbito dai costi di produzione visto che l’utile finale autocertificato è di appena mille euro (1.178,00).

Abbiamo visto che a capo della gestione, e in questa veste siederà al tavolo paritetico con il Comune di Ragusa nell’affaire-Donnafugata, c’è Renata Sansone, 55 anni, laurea in lettere, abilitata all’insegnamento di storia dell’arte negli istituti scolastici. Dopo avere collaborato con comuni, diocesi e musei nella catalogazione e schedatura di opere d’arte, dal 2000 lavora per ‘Zetema progetto cultura’ (che dal 2005 diviene società strumentale del Comune di Roma a totale capitale pubblico) di cui dal 2011 è dirigente, carica alla quale da quattro anni somma quella di direttore operativo di Civita Mostre e musei spa e, appunto, di amministratore delegato di Civita Sicilia srl.

Presidente di Civita Sicilia srl è Giovanni Antonino Puglisi, di Caltanissetta, 79 anni, banchiere e accademico di folgorante carriera: laureato in lettere, a 31 anni è già professore ordinario di filosofia nell’Università di Palermo, poi preside, quindi – dal 2001 al 2005 – rettore della Iulm (Libera università di lingue e comunicazione, ateneo privato milanese) e vice presidente della conferenza nazionale dei rettori; in seguito, dal 2011 allo scorso anno, rettore alla Kore di Enna.

Non solo università ma anche, e soprattutto, banche e politica nella vita di Puglisi. Aderente nella ‘prima Repubblica’ al Psi, folgorato da Berlusconi nel ’94 si avvicina a Fi: infatti è assessore dal 2003 a Palermo nella giunta comunale del forzista Diego Cammarata; presidente della commissione nazionale per l’Unesco dal 2005 quando alla Farnesina c’è il forzista Franco Frattini (ma vi resta fino al 2016); consulente nel 2009 – per i beni culturali, l’università e la ricerca – della giunta regionale siciliana guidata da Raffaele Lombardo; collezionista di poltrone nei consigli d’amministrazione che contano (tra le altre quella di vice presidente dell’Enciclopedia Treccani) soprattutto nelle fondazioni bancarie: dal ’99 è vice presidente, e dal 2005 al 2016 presidente, della Fondazione Banco di Sicilia oggi Fondazione Sicilia, con cui conserva, anche quale azionista Unicredit, un rapporto molto stretto. A questo deve anche la sua carica al vertice di Civita Sicilia srl che infatti – si legge nel sito ufficiale – <<è la realtà operativa congiunta del gruppo Civita e della Fondazione Sicilia>>. Insomma è la stessa Civita a dire che l’impresa che vuole gestire il complesso di Donnafugata è espressione della Fondazione Banco di Sicilia. Quando Puglisi era al vertice della fondazione un’inchiesta giornalistica denunciò finanziamenti anomali erogati ad enti nei quali ricopriva importanti incarichi.

Puglisi è inoltre consigliere d’amministrazione dell’Acri, l’associazione delle Casse di risparmio italiane e delle Fondazioni bancarie; della Fondazione con il Sud nonché di Banca sistema (che garantisce liquidità alle imprese nei crediti verso la pubblica amministrazione); è anche presidente della Fondazione dell’ex Sicilcassa (oggi Fondazione per l’arte e la cultura, con sede a Villa Zito in viale Libertà 52 come Civitas Sicilia) intitolata a Lauro Chiazzese, l’insigne giurista romanista nonché politico Dc che post mortem divenne suocero di Piersanti e Sergio Mattarella per il matrimonio contratto con le sue due figlie, Irma e Marisa, rispettivamente dal presidente della Regione – ucciso, proprio sotto gli occhi della moglie in auto con lui, il 6 gennaio 1980 – e dall’attuale capo dello Stato, rimasto vedovo nel 2012.

A dire il vero l’elenco dei titoli onorifici e delle cariche ricoperte dal presidente di Civita Sicilia srl Puglisi è ben più lungo dei pochi accenni cui ci siamo limitati. Non sappiamo se così tanti successi e traguardi possano essere posti, anche, in relazione con la sua storica e nota appartenenza alla massoneria del Grande oriente d’Italia di palazzo Giustiniani, la loggia già citata in riferimento all’episodio avvenuto tre anni fa nel castello di Donnafugata.

Le impronte di un sistema collaudato e i rapporti, pericolosi ma fruttuosi, con il falso alfiere antimafia Antonio Calogero Montante 

Nel consiglio d’amministrazione di Civita Sicilia, con Puglisi e Sansone siede Vincenzo Morgante, 61 anni, giornalista, direttore da febbraio 2019 di Tv 2000 e di InBlu Radio, le emittenti dei vescovi italiani, e in precedenza direttore della Tgr, la testata dell’informazione regionale della Rai, carica lasciata dopo lo scandalo per i rapporti con Antonio Calogero Montante scoppiato in seguito all’arresto dell’imprenditore capace di scalare le vette di Confindustria e di molti livelli del potere italiano grazie all’impostura di un suo impegno antimafia dietro il quale si celavano tutt’altre verità e fatti inquietanti trasformatisi in accuse per cui è imputato in vari processi uno dei quali lo ha visto condannato in primo e secondo grado per associazione per delinquere. Morgante, sospinto a capo di Rai Sicilia dall’allora presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro e dall’allora presidente del gruppo di Fi al Senato Renato Schifani, conquista i vertici dell’intera Tgr italiana dopo una raccomandazione chiesta a Montante. Nel suo carniere però c’è un rapporto antico, quasi filiale, con Sergio Mattarella del quale per molti anni è stato segretario particolare scoprendo il giornalismo proprio quando l’attuale capo dello Stato era direttore del quotidiano il Popolo, organo ufficiale della Dc.

Morgante è sodale di Montante al pari di tanti altri potenti  fra i quali Giuseppe Pignatone, 75 anni, di Caltanissetta, magistrato in pensione per lo Stato italiano ma in pieno servizio in Vaticano, oggi indagato di favoreggiamento della mafia in relazione all’insabbiamento, con l’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco ed altri pubblici ministeri, del dossier mafia-appalti per il quale, fino al giorno in cui fu ucciso, si battè Paolo Borsellino. Pignatone, volato in carriera, dopo Palermo, a capo delle Procure di Reggio Calabria e Roma, dal 2019, anno della pensione, ha ‘raggiunto’ Morgante nel cuore del potere d’Oltretevere: è infatti presidente del Tribunale del Vaticano. Lo è ed esercita la funzione mentre deve rispondere dell’accusa di avere favorito la mafia  con i suoi atti di magistrato.

Nel ‘Dna’ di Civita e nelle sue relazioni ci sono pezzi importanti del potere di Confindustria, tant’è che essa è stata fondatrice di Aicc (Associazione imprese culturali e creative) la quale fa parte del sistema confindustriale con la sigla Federturismo Confindustria. L’anno di nascita è il 2018 quando daa alcune settimane Montante è in carcere ma alla sua gestazione prestava da tempo attenzione e interesse, convinto della sua intrinseca utilità, lui che, al vertice di Retimpresa Italia per Confindustria della quale, con apposito incarico ufficiale, ‘garantiva’ anche la legalità, credeva molto nei miracoli del ‘fare rete’.

Aicc è presieduta da Luigi Abete, 77 anni, banchiere, dirigente d’azienda, imprenditore, già al vertice di Bnl, Banca nazionale del lavoro, della stessa Confindustria, della Luiss, di Cinema spa, di Cinecittà, di società editoriali, sempre al centro di mille crocevia del potere italiano come quella che lo vede nella poltrona di presidente di Civita Cultura Holding, struttura portante del gruppo.  Infatti – si legge nel sito ufficiale – <<Civita è costituita da due diverse realtà, ognuna delle quali possiede una propria specializzazione e funzionalità operativa: il Gruppo Civita al cui vertice vi è Civita Cultura Holding e l’Associazione Civita>>. Quest’ultima, nata negli anni ’80 con Gianni Letta nella veste di dominus oltre che di fondatore, come vedremo più avanti è la capostipite.

In Civita Cultura Holding, con Luigi Abete sulla tolda di comando, nel consiglio d’amministrazione siedono il fratello Giancarlo, 74 anni, politico influente, imprenditore, editore, già ai vertici del calcio, la figlia di questi Marta e diversi nomi noti nella mappa del potere italiano tra i quali il presidente di Civita Sicilia Giovanni Puglisi.

Civita: com’è nata e cos’è diventata la creatura di Gianni Letta, di casa nei palazzi che contano, tra servizi segreti, banche e mecenatismo di relazione, da Gianni Zonin ai fratelli Abete, Luigi e Giancarlo

Civita nasce nel 1987 per una buona idea: salvare dal degrado un bellissimo borgo morente nell’Alto Lazio rimasto con pochissimi abitanti, cui sono ispirate memorabili pagine di letteratura. Il borgo si chiama Civita, frazione di Bagnoregio, comune del Viterbese, tra il lago Bolsena e la Valle del Tevere, e dà il nome – caso evidente di eterogenesi dei fini – ad una holding divenuta, grazie al look di un sedicente e seducente mecenatismo, un concentrato d’affari e di potere.

Un incontro, casuale e avventuroso, ad ottobre ‘87 – tra Gianfranco Imperatori, Gianni Letta, Roberto Mostacci, Paolo Portoghesi ed Erino Pompei sindaco di Bagnoreggio – dà vita a quella che dovrebbe essere un’operazione di scopo (perfetta per un partenariato speciale pubblico-privato allora inesistente e improponibile) e che invece ben presto viene trasformata dai protagonisti, tutti potenti e bisognosi di intestarsi vere o presunte missioni filantropiche, in una macchina di potere, capace di scambi sotterranei e lucrose compensazioni, ma dal volto ammaliante perché associata alla passione per la cultura e ai beni culturali che in Italia, e soprattutto intorno all’Urbe e in Sicilia, abbondano. E così – come in politica seppe fare Giulio Andreotti con la sua corrente, debole altrove ma fortissima a Roma e appunto nell’isola, ecco prendere forma questa struttura modellata via via ad immagine e somiglianza di Letta, artefice, soprattutto dall’avvento di Berlusconi sulla scena politica, di gran parte delle dinamiche del potere italiano e al tempo stesso capace come nessun altro di stringere accordi con chiunque, anche lontano dal proprio campo.

Gianni Letta oggi ha 89 anni di cui più di settanta trascorsi nell’esercizio del potere. Abruzzese di Avezzano, decide di fare il giornalista e nel ’58 a Roma approda a il Tempo dove comincia una brillante carriera nella redazione province guidata da Pino Rauti che undici anni dopo, nel ’69, fonderà l’organizzazione terroristica di estrema destra Ordine Nuovo. In piena sintonia anche con il fondatore del quotidiano, Renato Angiolillo – il monarchico antifascista arricchitosi con la pubblicazione in esclusiva dei diari di Galeazzo Ciano e amico di Totò, Vittorio De Sica, Eduardo e Peppino De Filippo – ne diventa direttore e perfino editore, mentre frequenta i salotti che contano grazie ai quali, passando per Cesare Romiti e Carlo Pesenti, Lamberto Dini e Francesco Bellavista Caltagirone, negli anni ’80 si ritrova nel cuore e negli affari di Silvio Berlusconi.

La sua specialità a palazzo Chigi sono i servizi segreti e proprio l’inchiesta giudiziaria su Montante e sul suo sistema ci racconta, con varie vicende e con le gesta di un altro uomo chiave di Caltanissetta, Nicolò Pollari, le qualità inimmaginabili del più brillante e raffinato depositario di segreti dei palazzi e delle chiavi che ne aprono le porte.

Sono le vicende di Banca Nuova, creatura di Gianni Zonin, 86 anni, protagonista più di recente con il suo istituto principale, la Popolare di Vicenza, di un crac costato decine di miliardi di euro a migliaia di famiglie e di risparmiatori italiani e a lui solo una condanna penale. Zonin la fonda dopo avere acquistato per 280 miliardi di lire un istituto decotto in mano alla mafia, la Banca del popolo di Trapani, e la trasforma nella banca dei servizi segreti (terreno di pascolo di Montante) e in un crocevia di fruttuose clientele: in Banca Nuova assume le due nuore di Renato Schifani, altro partner privilegiato di Montante (con lui imputato, ma non sapremo mai se colpevole o innocente: pur essendo diventato nel frattempo presidente della Regione si è rifugiato nella prescrizione); assume anche la figlia dell’allora sindaco di Palermo Diego Cammarata e la moglie dell’allora europarlamentare Udc Raffaele Lombardo. In effetti la ‘banca dei servizi’ nei primi anni 2000 era la Bnl, a capitale pubblico, di cui dal ’98 è presidente (Zonin vice) quel Luigi Abete che ancora oggi troviamo nel board del gruppo Civita. Quando nel 2007 Bnl passa ai francesi di Paribas, Banca Nuova ne acquisisce quella clientela particolare, dal 2008 persino in blocco con l’intero apparato di servizi su indicazione di palazzo Chigi dove quell’anno tornano Berlusconi e Letta. Figura chiave è il nisseno Pollari, generale della guardia di finanza promosso capo di Stato maggiore e nel 2001 posto dal governo Berlusconi a capo dell’Aise (ex Sismi).

Banca nuova è presente solo in Sicilia e Calabria, a Roma ha un unico sportello vicino alla sede dell’Ambasciata americana e tra i suoi correntisti annovera figure di diversa taglia: dalla famiglia Ciancimino a quella di Angelino Alfano dal 2008 ministro della Giustizia. Agli uomini dei ‘servizi’ questa piccola strana banca deve una grossa fetta della sua raccolta da cinque miliardi, mentre nel 2010 sotto il governo-Lombardo acquisisce per otto anni il servizio di tesoreria dell’Assemblea regionale siciliana. Banca nuova inoltre ha un privilegio documentato da un’inchiesta giornalistica di Report: alle riunioni del consiglio d’amministrazione presenzia Gianni Letta, sottosegretario alla presidenza del consiglio dei ministri e autorità delegata alla sicurezza; non di rado partecipa anche Cuffaro. Grazie ad un supertestimone Report rivela che questo istituto è stato ideato da Pollari non come ‘banca di sistema’ ma come ‘sistema’ esso stesso, con direzione generale insediata in un palazzo di via Nazionale allo stesso numero, 230, in cui è di stanza il capo dell’Aise Pollari intento a confezionare dossier affidati al fido Pio Pompa e offerti in dono al ‘sistema Montante’ contro chiunque – politico, pubblico amministratore, burocrate, imprenditore, banchiere, giornalista – non si faccia corrompere e non si pieghi a minacce, soprusi, abusi.

Beni culturali: filantropia e affari con le insegne di Confindustria

al tempo dello strapotere dei ‘gemelli diversi’ Lo Bello-Montante

Tornando all’aspirante gestore del complesso di Donnafugata, dopo quel sussulto etico nel 1987 e l’avvio d’impeto, quattro anni dopo, nel ’91, nasce l’associazione Civita che nel ’93 si insedia a Roma nel piano più alto di uno storico palazzo in piazza Venezia: da questo momento, e siamo già in era berlusconiana e a pochi metri da via del Plebiscito dove Berlusconi insedia la sua dimora, è un fiorire di iniziative, eventi, studi, progetti finalizzati a muovere risorse pubbliche e private, in nome di qualche scopo nobile, utile però anche per sedimentare influenze e collaudare relazioni capaci di reggere, e di fruttare generose aperture, anche a sinistra. Nel ’98 grandi aziende, come Acea e Costa, con Civita costituiscono Zetema (dove si forma e cresce – ricordate ? – Renata Sansone, attuale capo azienda di Civita Sicilia) che nel 2005 diventa una società partecipata al 100% dal Comune di Roma.

Nel ’99 nasce Civita servizi (oggi Civita Mostre e musei spa) che in associazione d’imprese vince le gare per servizi a Brera, al Cenacolo Vinciano, ad Ostia antica, a Villa Adriana, nel sistema museale napoletano: gare in cui … basta il nome, oggettivamente un bel nome!

Fioccano rapporti, report, studi con firme altolocate sempre disponibili se ben ricompensate, escono riviste e pubblicazioni d’arte. Intanto grazie alla connettività si aprono nuovi orizzonti, tra percorsi storici e vie francigene. E così in vista delle elezioni del 9 aprile 2006, quando è certo che Berlusconi, e con lui Letta, stia per sloggiare da palazzo Chigi, ecco Civita rivolgere, insieme al Fai e al Wwf, un appello al futuro presidente del consiglio dei ministri (Romano Prodi).

L’anno dopo, nel ventennale della missione-Bagnoregio, nel borgo da salvare arriva il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il consorzio costituito allo scopo viene trasferito in piazza Venezia, nel centro studi dell’associazione. Che continua a sfornare rapporti su rapporti per guadagnare centralità e influenza nell’acquisizione di appalti e incarichi, anche da governi in teoria, ma solo in teoria, meno sensibili a siffatta struttura di potere con ‘Dna’ in bella mostra. Nel 2008 come abbiamo visto nasce Civita Sicilia e nel 2010 l’associazione-madre è protagonista, con tutte le imprese associate, del primo summit della cultura promosso da il Sole 24 Ore.

Sono gli anni in cui è forte in Confindustria il peso di Ivanhoe Lo Bello e Antonello Montante, 61 anni, coetanei, i ‘gemelli diversi’ che in Sicilia nel 2006 – avevano 43 anni –  si sono inventati la svolta antimafia e così, senza espellere un solo mafioso né un imprenditore che pagasse il pizzo, hanno potuto aprire tutte le porte dei palazzi che contano. Lo Bello scala i piani alti del Banco di Sicilia e poi di Unicredit, mentre Montante ha un debole per i vertici delle forze dell’ordine, per ambienti giudiziari, per i servizi segreti: lì acquista e forgia le armi del suo immenso potere che pubblicamente ammanta di quell’aura naturale di bontà dovuta al suo (finto e fasullo) impegno per la legalità.

In molti, fuori dalla cerchia dei complici, ci cascano: alcuni in buona fede, tanti altri no perché basta poco per dubitare della sua narrazione. Certo è che quando diventa pubblica nel 2015 l’inchiesta della procura di Caltanissetta sui suoi trascorsi mafiosi fin dal 1990 e, soprattutto, dopo l’arresto il 14 maggio 2018 – in un palazzo di Milano, spettacolare come quello di un gangster che deve disfarsi delle prove dei suoi crimini – in tutte le stanze del potere si materializza l’imbarazzo e si aggira lo spettro della paura. Sono tante le stanze del potere che lo hanno allevato, assecondato, alimentato, incoronato e riverito fino ai vertici delle istituzioni, partendo da quelle di Confindustria lungo tre fasi storiche: le presidenze di Emma Marcegaglia, Giorgio Squinzi e Vincenzo Boccia.

Dopo questa divagazione, torniamo ai passi salienti della storia di Civita.

Nel 2012 il venticinquesimo anniversario della scommessa di Bagnoregio viene celebrato con un grande evento al Maxxi, il museo nazionale delle arti del XXI secolo. L’anno dopo muore Antonio Maccanico presidente di Civita (quattro anni prima era scomparso Gianfranco Imperatori, segretario generale) e Letta si decide a lasciare la comfort zone delle seconde file in cui opera più fruttuosamente a suo agio assumendo la presidenza, carica che tuttora detiene. Il business cresce, fioccano le Ati con decine di imprese per acquisire appalti nella realizzazione di infrastrutture innovative capaci di applicare le nuove tecnologie alla fruizione dei beni culturali, si espande su vasta scala il fronte della gestione di siti e beni culturali, di organizzazione e promozione di eventi.

Dicevamo di Civita Mostre e Musei spa (nata nel ’99 come Civita servizi): presidente e amministratore delegato ne è Giorgio Sotira, membro anche del cda di Civita Sicilia srl, mentre al suo fianco siede Caterina Abete, altra figlia e nipote dei due fratelli, sempreverdi sacerdoti del potere politico e finanziario.

Di Civita Cultura Holding (con i fratelli Abete e loro discendenti, nonchè con  l’inossidabile Puglisi nel board) abbiamo detto e così pure di Civita Sicilia che qui ci interessa particolarmente essendo l’impresa che con Logos intende mettere le mani sul complesso di Donnafugata nei prossimi dieci anni ed eventuali … multipli di dieci.

Oggi Civita, che ha sedi a Roma, Milano e Palermo, nonché presenze radicate a Torino, Firenze, Napoli e Siracusa, con interessi in Francia e in Medio Oriente, associa nel suo business portfolio un concentrato purissimo del potere – politico, economico, finanziario, industriale – d’Italia: dalle maggiori aziende pubbliche e private ai colossi bancari, assicurativi e finanziari, ai salotti che contano, alle istituzioni culturali, organizzazioni sociali, fondazioni, istituti, agenzie, enti di sicura influenza. Nessuna figura, come Gianni Letta, potrebbe impersonare meglio questa galassia e disegnare con la sua faccia l’ampio perimetro del suo terreno d’azione.

L’elenco dei soci di Civita è troppo lungo, ma per avere un’idea, se volessimo fermarci solo a quelli che cominciano con la lettera A, troveremmo A.Be.Te, A&A Studio legale, A2A, Accademia delle Scienze, Accademia nazionale di Santa Cecilia, Acea, Aeroporti di Roma, Anas, Ansa, Arca Fondi Sgr, Assicurazioni generali, Assoambiente, Assocarta, Autostrade per l’Italia, Avio. Tutte sigle pesanti, anche quelle meno note ai più. E poi ci sono le altre venti lettere dell’alfabeto …

L’altro socio privato è la cooperativa Logos di Rosario Alescio

cresciuto all’ombra del potere Udc di Drago, Cuffaro e Lombardo   

Nella missione-Donnafugata c’è, protagonista non secondario, Logos società cooperativa a.r.l. Dichiara 27 dipendenti (73 lo scorso anno) e, nel 2022 – ultimo dato disponibile –  un fatturato di € 6.450.308,00 (nel 2021 € 3.756.484,00) interamente destinato ai costi di gestione tant’è che l’utile d’impresa, come anche negli anni precedenti, è negativo e segna una perdita di € 27.482,00 (- 19.551,00 nel 2021). La cooperativa ha sede a Comiso in corso Ho Chi Min 107, è iscritta nel registro delle imprese dal 1991 e ha codice Ateco 85592, ovvero ‘Corsi di formazione e corsi di aggiornamento professionale’.

Fondatore, presidente e dominus dell’impresa è Rosario Alescio, 59 anni, consulente del lavoro, imprenditore e politico formatosi, giovanissimo, alla corte dell’ex presidente della Regione Giuseppe Drago, dimessosi da deputato alla Camera a novembre 2010 dopo la decadenza decisa dalla giunta per le elezioni, che con il voto in aula sarebbe diventata esecutiva, in seguito alla condanna definitiva per peculato relativa all’uso dei fondi riservati di palazzo d’Orleans.

E’ con Drago, deceduto nel 2016 a 61 anni, che Alescio scopre e percorre ogni anfratto dei palazzi del potere, sempre al suo fianco, in politica come negli affari. Gli anni d’oro di Drago, socialista nella prima repubblica transitato nel ’94 nel centrodestra, dentro il Ccd e poi l’Udc, sono anche quelli della potente ascesa di Totò Cuffaro a cui Drago rimarrà sempre vicinissimo tanto che, quattro mesi prima che il politico agrigentino, condannato per favoreggiamento della mafia, lasci il suo scranno di senatore per andarsi a costituire a Rebibbia, a settembre 2010 il deputato ibleo rompe con Pierferdinando Casini, il quale nel 2008 ha portato l’Udc fuori dal centrodestra, per dire no alla mozione di sfiducia contro il governo-Berlusconi sostenuta anche dall’Udc, e aderisce al Pid (Popolari Italia domani), il partito dei cuffariani irriducibili capeggiato da Saverio Romano e  Calogero Mannino.

In quegli anni anche Alescio, fedelissimo a Drago, è un esponente dell’Udc. Eccolo, con queste insegne in bella mostra, diventare presidente della Crias, la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane, ente pubblico della Regione che gestisce un fiume milionario di finanziamenti e che al suo presidente riserva una delle poltrone meglio retribuite. A nominarlo, a ottobre 2007, è il governo-Cuffaro anche se l’insediamento avverrà a marzo 2008 quando Cuffaro, condannato, si è dovuto dimettere e al suo posto scalda i motori Raffaele Lombardo, fondatore nel 2005 di un suo partito, Mpa (Movimento per l’autonomia) e vincitore delle elezioni d’aprile a capo di una coalizione di centrodestra. Alescio resterà in carica per l’intero lungo mandato (70 mila euro l’anno l’indennità) cumulandola dal 2010 con quella di presidente del Consorzio Asi (Area di sviluppo industriale) di Ragusa. Questa non è una nomina ma un’elezione da parte del consiglio generale consortile in cui a suo favore, in quanto esponente dell’Udc, l’11 agosto 2010 vota il centrodestra facendolo così succedere all’uscente Gianfranco Motta espressione del centrosinistra. Alescio sarà anche l’ultimo presidente del Consorzio Asi di Ragusa perché a gennaio 2012, con Cuffaro da un anno in carcere e Drago da 14 mesi ormai ex deputato, la giunta regionale-Lombardo sopprime gli undici consorzi operanti in Sicilia. E’ un vecchio progetto di Antonio Calogero Montante desideroso di mettere le mani sul business delle aree industriali e su quello delle camere di commercio; enti, gli uni e gli altri, che ai suoi occhi hanno un difetto: i loro organi di gestione non sono nominati dall’alto ma eletti dal basso, nel territorio. Montante non è disposto a perdere tempo con venti presidenti e venti giunte per curare i suoi affari nell’isola (i processi ci hanno detto di che tipo d’affari si trattasse) e così, sotto l’ala protettiva prima di Cuffaro poi di Lombardo concepisce la riforma. A portare avanti l’azzeramento delle Asi è l’assessore della giunta-Lombardo Marco Venturi, espressione di Confindustria sotto il comando del tandem Lo Bello-Montante ma poi in rotta di collisione con lo stesso Lombardo, e soprattutto in seguito anche con Montante, da quando nell’autunno 2012  l’ormai ex presidente dimissionario pretende di intervenire ancora sull’Irsap, Istituto regionale sviluppo attività produttive subentrato alle Asi, nominandone al vertice Luciana Giammanco, figlia dell’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco (nemico giurato di Paolo Borsellino) che oggi, se non fosse morto, sarebbe chiamato a rispondere con Giuseppe Pignatone e altri, di favoreggiamento della mafia. A fine mandato Venturi accusa Lombardo di avere favorito mafiosi e affaristi ma intanto la riforma prende corpo e a sostenerla in prima linea c’è Confindustria. Tant’è che a dicembre 2011 Alescio lascia l’incarico di presidente del Consorzio Asi di Ragusa proprio su invito di Confindustria Sicilia (ne è rappresentante come titolare di Logos) pronta ad impugnare una leva unica di comando nella gestione dei consorzi industriali. Infatti, ad aprile 2012, appena varata la riforma, al vertice di Confindustria Sicilia c’è Montante, subentrato a Lo Bello di cui per sei anni è stato il vice e lesto a mettere a frutto la lucrosa novità. Stessa azione sulle Camere di Commercio, non per legge, ma attraverso una raffica di commissariamenti che fa scattare a Catania, Messina, Enna, Ragusa e dovunque serva: non ve n’è bisogno per esempio a Siracusa dove c’è Lo Bello, nè a Caltanissetta dove siede lo stesso Montante che il 23 aprile 2012 s’impadronisce anche di Unioncamere Sicilia facendosi eleggere, dai commissari amici, presidente, carica dalla quale non si dimetterà neanche durante la detenzione in carcere nel 2018 al punto che sarà necessario farlo decadere con dimissioni di massa.

I corsi di formazione il vero business e l’area di competenza di Logos, perciò associata con Civita già nel Museo di storia naturale di Comiso

Il 2012 in Sicilia è anno in teoria di grandi cambiamenti, in realtà di totale immobile continuità.

Quando anche Lombardo, rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa (di recente, dopo alterne sentenze, assolto), si dimette, ci pensa Montante, con il suo mentore Beppe Lumia, allora senatore Pd, a preservare l’assetto costruito ed anzi a dare nuovo sviluppo ad un sistema che diventa sempre più raffinato, invasivo, penetrante, corruttivo e, all’occorrenza, concussivo. Il tandem Lumia-Montante crea in laboratorio la candidatura di Rosario Crocetta, europarlamentare Pd, al quale, ben prima dello stesso Pd a lungo titubante, il partito più svelto a dare il sostegno è l’Udc. E così i consorzi Asi, commissariati e liquidati in un ente unico regionale, e le camere di commercio, in gran parte commissariate anch’esse, diventano terreno di pascolo indisturbato per le scorrerie di Montante e di quel sistema che la sentenza di un tribunale della Repubblica definisce ‘la mafia invisibile’. Nella stessa sentenza è attestato come il governo-Crocetta sia stato eterodiretto dal tandem Lumia-Montante al punto che l’intero assessorato alle attività produttive fosse feudo privato dell’impostore di Serradifalco il quale, da quella postazione, ha potuto gestire per intero a piacimento affari plurimilionari tra cui la partecipazione della Regione Sicilia ad Expo 2015: scegliendo una per una le imprese amiche e sbarrando la porta alle altre.

Tornando ad Alescio, bisogna aggiungere che, parallelamente all’attività politica sempre al fianco di Drago fin quando questi ha avuto peso e ruolo, egli ha costruito e percorso una sua linea di produzione economica, di lavoro e d’impresa. Logos, da lui fondata, ne è il prodotto più visibile. Due le aree principali di business: la formazione, scelta molto redditizia grazie al fiume di soldi gestito dalla Regione del quale è noto il ricco corredo di scandali negli anni; la consulenza offerta ad imprese ed enti pubblici e privati, anch’essa un buon affare alla luce di una fitta rete di relazioni e di posizioni d’influenza capaci di garantire lucrosi affidamenti.

Spulciando le cronache dei tanti riflettori accesi sulla formazione in Sicilia (si pensi allo scandalo legato alla figura dell’ex segretario regionale Pd Francantonio Genovese, passato dopo l’autorizzazione della Camera all’arresto, a dicembre 2015, a Fi) il quotidiano la Repubblica il 15 ottobre 2016, periodo nel quale è al culmine il potere del sistema-Montante, in un articolo mirato a ricostruire tutte le destinazioni di un finanziamento di 136 milioni ai corsi di formazione nell’isola scrive: <<un ente che riceve un fiume di denaro è il Logos di Comiso, con sei milioni di euro: il patron è Rosario Alescio, molto conosciuto nel Ragusano, in passato vicino all’ex presidente della Regione Giuseppe Drago (quando il quotidiano scrive era deceduto da tre settimane, n.d.r.) e adesso imprenditore a tempo pieno>>.

Sullo stesso bando regionale da 136 milioni di euro – il famigerato Avviso 8 – si sofferma il quotidiano La Sicilia a gennaio 2017, pochi giorni dopo la condanna di primo grado di Genovese a 11 anni di reclusione per associazione per delinquere, riciclaggio, frode fiscale, truffa e tentata estorsione, e la scure contabile del pagamento delle imposte su 16 milioni di euro, cifra sottratta al fisco e depositata in una banca svizzera. Processi e condanne che hanno a che fare con il maneggio di soldi pubblici destinati alla formazione. Peraltro tre mesi prima, ad ottobre ‘2016, su Genovese si era abbattuta un’altra condanna, definitiva, a sei anni e otto mesi per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, associazione per delinquere, riciclaggio, frode fiscale e tentata concussione.

Il 26 gennaio 2017 La Sicilia passa in rassegna le voci più consistenti dei 136 milioni, 199 progetti presentati da 81 soggetti quasi tutti riconducibili a precisi padrini politici: gli scandali del caso Ciapi di Faustino Giacchetto, dell’Anfe di Paolo Genco (poi assolto) dello Ial di Genovese sono solo quelli casualmente venuti a galla, senza dire che, dopo ulteriori scandali sono stati esclusi dalla spartizione enti come lo stesso Ial, l’Enfap e l’Ecap. Il quotidiano quindi mette in fila gli 11 milioni del Cerf, i 7,5 del Cesifop di Palermo diretto da Antonella Russo ex segretaria provinciale dell’Udc e, a seguire  – annota Mario Barresi – <<la Logos di Comiso, riconducibile a Rosario Alescio, ex presidente della Crias, immarcescibile uomo di potere del Ragusano>>.

Tornando all’oggi, il presidente di Logos ha dalla sua un altro importante vantaggio, frutto di sue scelte accurate e oculate. Nonostante l’appartenenza all’Udc, piena, totale, ostentata, almeno nella fase storica ripercorsa, Alescio ha costruito nel tempo anche solide coperture a sinistra, utili a parare i colpi in caso di difficoltà. E prima di stringere con Drago un rapporto ventennale che in pratica ne ha attraversato per intero, dal 1991 al 2010, la carriera parlamentare e di governo (oltre che presidente, per dieci mesi nel ’98, e più volte assessore regionale è stato anche sottosegretario alla Difesa e agli Esteri), un giovanissimo Alescio, nella sua Comiso, risulta candidato ed eletto in consiglio comunale nelle liste del Pds.

Quanto alle mire sul complesso di Donnafugata, alla luce delle caratteristiche di Logos non v’è dubbio che esperienze, competenze e vocazioni della cooperativa coincidano ben poco con l’essenza del progetto di gestione e valorizzazione di un bene culturale così importante.

Per questa ragione Logos si è associata a Civita, con quest’ultima in veste di capogruppo, come ha già fatto a Comiso per acquisire dal Comune la gestione del Museo civico di storia naturale in atto da marzo 2023.

A questo riguardo in un comunicato stampa firmato per conto di Civita Sicilia da Antonino Gerbino (designato, come abbiamo visto, coordinatore generale del progetto-Donnafugata) veniva annunciata la ‘gestione integrata dei servizi museali’ nella quale le due aziende (Logos è definita ‘una delle più importanti strutture di consulenza nel panorama siciliano’) avrebbero affiancato la direzione e veniva sottolineato il ruolo, di partners del tandem Civita-Logos, di Orpheo Italia (azienda francese specializzata in tecnologie di supporto alla vista nella fruizione pubblica) di Its-Fondazione Archimede, di Legambiente Sicilia e di Sicindustria Ragusa. Un comunicato pubblicato dal sito del Museo aggiungeva che l’affiancamento delle due aziende avrebbe avuto una durata di otto anni (ne mancano quindi ancora poco meno di sette).

Quella nella quale a Comiso da un anno il tandem Civita-Logos è impegnato in assetto di associazione temporanea d’impresa è quindi una ‘gestione integrata’ laddove, secondo quanto chiarisce il comunicato stampa, l’integrazione – privata – è data dall’affiancamento delle due aziende alla direzione, comunale, del museo.

Allora non era ancora in vigore il nuovo codice dei contratti che introduce e disciplina l’istituto del ‘partenariato speciale pubblico-privato’, pubblicato in gazzetta ufficiale il 31 marzo ’23, proprio pochi giorni dopo l’avvio della nuova gestione, frutto comunque di un iter risalente all’anno precedente. L’avviso per la gestione integrata del Museo civico di storia naturale, <<preordinato – spiegava la sindaca Mariarita Schembari – all’individuazione di un operatore economico a cui affidare in via diretta i servizi informativi, educativi, turistici e promo pubblicitari per la gestione integrata del museo>> risulta pubblicato il 4 gennaio 2022 con termine fissato per la ricezione di generiche manifestazioni d’interesse al 28 gennaio ’22.

Ora con il progetto di gestione del complesso di Donnafugata viene riproposta l’alleanza tra le due imprese.

Di Civita abbiamo detto ampiamente.

Logos, da Expo 2015 al consorzio Sisifo coinvolto nel gigantesco scandalo del Cara di Mineo: ricordate Mafia capitale, Buzzi, Carminati, Odevaine, il mondo di mezzo e i migranti che fruttano più del traffico di droga?

Su Logos, rilevato che la formazione e la consulenza hanno poco a che fare con la valenza del progetto, la società cooperativa di Comiso nell’intento di apparire con le carte in regola e presentarsi sotto i migliori auspici nell’affaire-Donnafugata, fa appello alla propria <<attività di valorizzazione dei territori a supporto di enti locali o loro aggregazioni o di soggetti intermedi quali i ‘Gal’ o ‘Gac’>>.

I primi sono i Gruppi di azione locale formati da soggetti pubblici e privati che si associano per progetti di sviluppo dell’area rurale cofinanziati dall’Ue, dallo Stato e dalle regioni. I secondi sono i Gruppi di azione costiera, partenariato tra i portatori d’interesse nel settore della pesca ed altri stakeholders pubblici e privati.

In proposito Logos cita proprie esperienze a Sciacca e Vittoria ed esibisce credenziali che rimandano ad Expo 2015, l’esposizione milanese alla quale la Sicilia del governo-Crocetta, ‘appaltato’ privatamente a Montante l’intero assessorato alle attività produttive come attestato da sentenze, s’è presentata come una pedina dell’impostore di Serradifalco: << Logos – si legge nella proposta di Pspp – ha curato per conto del Gac ibleo ‘Assistenza per servizio di organizzazione e gestione di eventi per attività di cooperazione’ ed ‘Expo Milano’ 2015 realizzati dal Gac Ibleo … nonché l’assistenza tecnica per la realizzazione dei servizi inerenti l’organizzazione dell’evento internazionale ad Expo Milano 2015 presso il Cluster Biomediterraneo della rete dei Gac Siciliani per conto del Gac Il Sole e l’Azzurro tra Selinunte, Sciacca, e Vigata capofila Rete dei Gac…>>.

Formazione e consulenza quindi sono il core business della Logos, con la seconda rivolta allo sviluppo economico locale.

La cooperativa di Comiso ricorda anche di essere Agenzia per il lavoro accreditata (nessuna attinenza con il progetto); di essere associata a Confindustria Ragusa settore terziario (Alescio è da tempo anche membro eletto del consiglio di delegazione di Sicindustria Ragusa); di essere socio fondatore di Sisifo, consorzio di cooperative operante nel campo dei sevizi socio-sanitari (anche in questo caso nessuna attinenza), nonché azionista di Sanicoop spa.

Probabilmente anche l’essere ‘socio fondatore’ di Sisifo è un titolo di merito (nello staff di Logos presentato nella proposta Donnafugata ci sono figure professionali comuni) ma il consorzio, ferma restando la necessaria distinzione in ordine a responsabilità dirette non suscettibili di alcuna estensione così come in precedenza abbiamo visto nel campo della formazione, è noto anche per lo scandalo della gestione del Cara di Mineo, il più grande centro d’Europa per richiedenti asilo trasformato in un affare criminale da cento milioni di euro. Si tratta di fatti degli anni 2011-2014 che però, almeno per la parte sfuggita alla prescrizione, e al netto di alcuni patteggiamenti, sono ancora oggetto di processo.

Oggi il consorzio è presieduto da Giuseppe Piccolo, mentre Rosario Alescio ne è il vice proprio in rappresentanza di Logos che ne fa parte fin dalla nascita. Domenico Arena, Giuseppe Ciccazzo, Cono Galipò gli altri consiglieri d’amministrazione; Alessia Aurora Gambuzza la presidente dell’organismo di vigilanza, Antonio Novello e Francesco Palazzolo componenti. Tutte cariche attribuite dall’assemblea dei soci riunitasi il 29 giugno 2019, casualmente la stessa data nota alle cronache quale nome della cooperativa di Salvatore Buzzi, protagonista come vedremo più avanti delle leggendarie scorribande criminali del ‘mondo di mezzo’ entrate nell’inchiesta e nei processi su Mafia capitale.

Costituito da cooperative operanti nel settore socio-sanitario, Sisifo gestiva il centro di identificazione e di prima accoglienza di Lampedusa quando nel 2013, in seguito ad un servizio del Tg2, scoppiò lo scandalo della doccia antiscabbia. Sisifo perde quindi l’appalto ma la pubblica esecrazione non gli impedisce di aggiudicarsi in seguito quello per il Cara di Foggia, né di mantenere la gestione del Cspa, Centro di soccorso e prima accoglienza, di Cagliari e di assumere la guida del raggruppamento d’imprese che mette le mani sul mega-appalto nel Cara di Mineo. Un gigantesco affare criminale costruito a tavolino in nome di una presunta emergenza ma in realtà rispondente ad un disegno preciso, frutto di convergenza, a febbraio 2011, del governo-Berlusconi, della giunta siciliana-Lombardo e del presidente della Provincia di Catania Giuseppe Castiglione, allora in Fi poi nel Ncd, Nuovo centrodestra, di Angelino Alfano ed oggi deputato di Azione.

Siao dunque nel 2011. Castiglione (genero del ras delle preferenze Giuseppe Firrarello, prima Dc e poi Fi, nel feudo di Bronte) dal 2008 presidente della Provincia etnea, succeduto a Lombardo, e presidente dell’Unione delle province d’Italia, riesce a farsi nominare dal prefetto Franco Gabrielli (allora capo della Protezione civile, in seguito capo della polizia e autorità delegata ai servizi di sicurezza) soggetto attuatore del Cara, impiantato in tutta fretta nel Giardino degli aranci quando, andati via i soldati americani di stanza a Sigonella, il proprietario, la Pizzarotti di Parma, impresa sempre attiva nelle basi militari Usa in Italia, cerca nuovi danarosi clienti.

Castiglione fiuta il vento, coglie l’opportunità e si pone al centro di una grande tavola che egli stesso imbandisce. Al suo fianco chiama Luca Odevaine (allora sembra che si chiami così, in effetti è Odovaine e vedremo perchè) conosciuto proprio all’Upi e forte di referenze che al presidente della Provincia etnea sembrano appetibili se non convincenti: è capo della protezione civile e della polizia della Provincia di Roma, cariche cui lo ha preposto il neo presidente Pd Nicola Zingaretti scegliendolo, fresco disoccupato, subito dopo le dimissioni del sindaco di Roma Walter Veltroni che per sette anni lo aveva voluto come proprio vice capo di gabinetto dopo averlo visto in azione come attivista di Legambiente e consulente della ministra per i beni culturali Giovanna Melandri: incarichi, quelli ricoperti in Campidoglio con Veltroni e a palazzo Valentini con Zingaretti, grazie ai quali è membro del tavolo di coordinamento sull’immigrazione del Ministero dell’interno; inoltre direttore di una fondazione, IntegrAzione, da lui fondata insieme a Legambiente per i diritti dei migranti.

Castiglione lo nomina consulente del Consorzio calatino Terra d’accoglienza,  costituito con i comuni della zona al fine di creare la parvenza che siano il territorio e le comunità locali ad ispirare le scelte e a sorvegliare la gestione del Cara. E forse così tutti avremmo creduto se non avessimo scoperto la ‘doppia vita’ (ed anche il diverso cognome, Odovaine e non Odevaine) del dirigente di ostentata fede progressista il quale, da tempo intercettato, il 2 dicembre 2014 viene arrestato quale pedina fondamentale di ‘Mafia capitale’, il sodalizio criminoso di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati che vede Odovaine a disposizione del pregiudicato omicida il quale lo stipendia con cinque mila euro al mese perché gli enti pubblici per cui lavora assecondino i suoi affari. E’ rimasto nella memoria di tutti l’audio della telefonata nella quale Buzzi, il capo della ‘Coop 29 giugno’, assassino per interessi ecoomici e finto campione della rieducazione dei detenuti, intercettato afferma:  <<Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno>>. Un affare favoloso grazie al sistema-Odovaine.

L’insospettabile manager pubblico di sinistra nella rete di Castiglione, Alfano, La Via. Il ruolo dell’allora prefetta di Catania Francesca Cannizzo e l’amica Silvana Saguto, ex giudice in carcere per l’uso privato dei beni confiscati

Ingegnoso questo insospettabile manager pubblico il quale è riuscito a far perdere le tracce di due condanne penali di vent’anni prima per traffico di droga e assegni a vuoto, semplicemente cambiando una vocale al suo cognome; giochetto che gli riesce facilmente in Italia ma non negli Usa dove – lo sappiamo perché all’epoca era intercettato – in aeroporto lo bloccano proprio alla luce dei precedenti: Odovaine è un pregiudicato che, grazie a fruttuose frequentazioni negli ambienti progressisti di Francesco Rutelli, Paolo Gentiloni, Chicco Testa,  di Legambiente e di altri circoli culturali, riesce con Veltroni a piazzarsi al vertice della burocrazia capitolina e, con Zingaretti, di quella provinciale.

Quelle intercettazioni aprono uno squarcio inquietante sulla vera genesi del Cara di Mineo e alla ricostruzione della verità darà un contributo importante lo stesso Odovaine il quale, dopo l’arresto, decide di collaborare pienamente fornendo di ogni dichiarazione i necessari riscontri.

In questo modo si scopre che al primo incontro, ad un tavolo dell’hotel Mediterraneo di Catania, Castiglione si fa trovare dal suo ospite con due sedie al fianco: una è per lui e l’altra, che rimarrà vuota ancora per alcuni minuti, è per colui che dovrà vincere la gara. E così, dopo che Castiglione gli ha illustrato a dovere i piani, ecco materializzarsi colui che fino ad un attimo prima era un convitato di pietra. E’ Salvo Calì, medico con un passato di impegno politico a sinistra, presidente del Consorzio Sisifo.

Odovaine predispone gli atti e Castiglione il 7 ottobre 2011 può firmare il contratto con il presidente di Sisifo, capofila del raggruppamento temporaneo d’imprese cui viene affidato il primo di due appalti milionari: con una procedura negoziata vista la supposta emergenza, mentre il secondo è assegnato con finta gara su misura per le stesse imprese di prima (Consorzio Sol Calatino, Casa della solidarietà, Senis hospes e Cascina global service) radunate intorno a Sisifo. Il tutto grazie a ‘bandi sartoriali’, così definiti dall’allora presidente dell’Anac Raffaele Cantone, nei quali Odovaine dimostra tutto il suo talento per la gioia di Castiglione che può passare all’incasso.

C’è un pacchetto di 500 assunzioni da gestire e un fiume di danaro: un affare da cento milioni in tre anni a cui bisogna aggiungere i 36 euro al giorno destinati dallo Stato a ciascuno dei quattro mila migranti: una dote da 50 milioni l’anno che, come molte inchieste ci raccontano, solo in piccola parte conserva la destinazione naturale.

Il bottino politico per Castiglione, e per il capo del suo partito Angelino Alfano (<<il ministro genuflesso che a Montante non poteva dire di no>> è scritto nella sentenza di un tribunale della Repubblica>>) da aprile 2013 anche ministro dell’Interno, è enorme. A ciascuna persona assunta e ai suoi familiari viene imposto di votare, dandone prova, il Ncd, di iscriversi al partito e di trasformarsi in attivista elettorale.  Nelle europee del 2014 il Ncd supera appena lo sbarramento (4,38%) ma in Sicilia realizza il 9,13% e a Mineo è il primo partito, con il 39,2.

Il piccolo comune, poco più di cinque mila abitanti, l’anno prima, nel 2013, ha eletto un nuovo sindaco. E’ Anna Aloisi del Pd, impiegata del consorzio Sol calatino che vince appalti con Sisifo: quindi dopo l’elezione passa al Ncd.

Eletto nel Parlamento di Strasburgo è anche Giovanni La Via, assessore regionale all’agricoltura nel secondo governo Cuffaro e nella giunta-Lombardo, eurodeputato nel 2009 con il Pdl, ora confermato con il Ncd. In un appartamento di sua proprietà ha sede Sisifo.

Molto fitta la casistica dello scambio: ad un consigliere comunale di minoranza viene offerto un posto di lavoro per passare dall’altra parte; la risposta è no perchè in questo caso un impiego non basta: ci vuole un posto di assessore e l’affare va in porto.

Questo è il sistema impiantato da Castiglione (già vice di Cuffaro dal 2001 al 2004 nel governo della Regione), con i servigi di Odovaine, le imprese del consorzio Sisifo e del raggruppamento imbastito, partners prescelti ad personas con bandi ad hoc cuciti dal ‘sarto’ giunto da Roma: servigi privilegiati e ben remunerati.

Questa macchina, di soldi e di potere, di violenza e di sfruttamento, di finzione e di delitto, di corruzione e di truffa, di eversione democratica e di oppressione delle libertà fondamentali, è lanciatissima e non la ferma nessuno. Non la ferma, ed anzi la sospinge volentieri e con trasporto, la prefetta di Catania Francesca Cannizzo che l’8 marzo 2013 affida la gestione del Cara di Mineo al Consorzio calatino Terra d’accoglienza presieduto da Castiglione il quale senza battere ciglio la ‘gira’ all’associazione temporanea d’imprese capeggiata dal consorzio Sisifo: ma solo per sei mesi, si affannano a precisare, rassicuranti, la stessa prefetta e la ministra dell’Interno Anna Maria Cancellieri, pedina centrale del sistema-Montante che avrà nel suo successore Alfano il garante più stabile e longevo al Viminale: è lei a segnalarsi per prima per lo scioglimento di alcuni comuni, disposto non perché avessero subìto infiltrazioni mafiose ma, al contrario, proprio perché le avevano respinte energicamente come Racalmuto ‘colpevole’ nel 2011 di avere tutelato l’interesse pubblico contro quello privato respingendo prima l’avance corruttiva e poi l’aggressione dei ‘signori delle discariche’ del sistema-Montante (i quali per vent’anni hanno avvelenato mezza Sicilia, ‘ricompensati’ grazie a complicità regionali con svariate centinaia di milioni di soldi pubblici): lo stesso copione andato in scena nel 2015 a Scicli e in diversi altri enti negli anni di strapotere di quel sistema.

Tornando al Cara di Mineo, non sappiamo se perché bugiarde o smemorate, ma sta di fatto che quel contratto, nonostante le garanzie date dalla prefetta e dalla ministra, viene prorogato sette volte fino a novembre 2015 e, se un anno prima non fosse scoppiata Mafia capitale con l’appendice Castiglione-Odovaine-Cara di Mineo, probabilmente avrebbe avuto vita ben più lunga.

Ad ogni proroga sempre pronto l’avallo di Cannizzo ch’era stata prefetta di Ragusa uscendo intonsa dall’incarico, poi promossa e approdata alla sede di Catania e da qui in quella di Palermo dove finisce la sua carriera, sospesa perché coinvolta nell’inchiesta su Silvana Saguto, la presidente delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo che gestiva i beni confiscati alla mafia – talvolta confiscati allo scopo – come ‘cosa nostra’, nel senso di cosa sua, della sua famiglia fino ai parenti più lontani e della sua cricca. Un intreccio fittissimo di scambi e di raccomandazioni tra Silvana e Francesca la quale non esita ad aprire le porte del Cara di Mineo concedendo un lucroso incarico al pupillo dell’amica, il ricercatore della Kore di Enna Carmelo Provenzano figura centrale nel sistema criminale imbastito da colei che si fregiava dell’etichetta antimafia per acquisirne ‘liberamente’ tutti gli agi: liberamente ed anche … con il buon nome di Libera, così come insegna l’epoca d’oro di Montante beneficiario, anche da indagato per concorso in associazione mafiosa, di parole di stima e d’affetto da parte di Pio Luigi Ciotti, fondatore di Libera e capo carismatico indiscusso e indiscutibile, nel senso che chi osasse farlo veniva cacciato all’istante come è successo a Franco La Torre, figlio di Pio La Torre alla cui legge Libera fin dalla nascita s’ispira.

Anni dopo l’ex giudice, radiata dalla magistratura, e l’ex prefetta vedranno i loro destini separarsi: per la prima, dopo la sentenza definitiva a 8 anni 10 mesi e 15 giorni di reclusione si aprono le porte del carcere; la seconda, condannata in primo e secondo grado a tre anni per tentata concussione, in Cassazione, dove il reato è riqualificato in tentata induzione indebita, viene salvata dalla prescrizione alla quale non rinuncia.

Tornando al Cara di Mineo esso per oltre tre anni, nella narrazione che precede lo scandalo, è un ‘villaggio della solidarietà’. Memorabile il docufilm che racconta la storia di un bambino muto il quale ritrova la parola grazie all’amicizia con un coetaneo di colore ospite del centro e che, con questo miracolo guarisce anche il padre, un siciliano ostile all’accoglienza, dal pregiudizio: un film prodotto e sponsorizzato dalla fondazione IntegrAzione creata da Odovaine e che è una costola di Sisifo (il cui presidente ne è a capo) e della Sanicop, società catanese di cui il consorzio capofila nell’affaire-Mineo detiene il 30%.

Quando irrompe l’inchiesta Mafia capitale il sistema operante a Mineo lavora ad una nuova gara triennale da 98 milioni, con bando su misura confezionato da Odovaine il quale grazie alla nuova identità conseguita con la vocale fasulla che gli consente di aprire senza rischi le porte dell’intellighenzia progressista, nei cv depositati si definisce laureato in scienze politiche senza dare alcun riferimento. Ed egli in quel momento, e in prospettiva, si dedica anche con cura alla formazione del personale del Cara di Mineo. Tornando al punto di partenza, è questo – la formazione – il vero asset di Logos insieme alla consulenza, ad imprese ed enti pubblici e privati, nello sviluppo locale.

In effetti è proprio per il vasto campo della formazione che ci siamo imbattuti nei trascorsi di Sisifo, guidati proprio dai titoli esibiti da Logos nella sua marcia verso Donnafugata. In proposito la cooperativa fornisce dati ulteriori sul proprio fatturato: sia quello derivante dall’ attività specifica di assistenza tecnica allo sviluppo locale per la valorizzazione dei beni culturali (appena quattro progetti, proposti o realizzati, negli ultimi due anni per un fatturato medio annuo di  € 133.853,63 certamente relativo, non sappiamo se in parte o meno, al Museo civico di Comiso); sia quello relativo all’esperienza globale degli ultimi tre esercizi per attività di consulenza, formazione, assistenza tecnica e sviluppo locale (30 progetti, proposti, realizzati o in corso, per un fatturato di € 11.247.801,00). Insomma è Logos a svelare di avere ben poco a che fare con l’ambito d’attività in questione e di trovare invece nella formazione, nell’erogazione di servizi sociali (il consorzio Sisifo perciò era ed è l’habitat naturale) e nella consulenza il terreno congeniale.

Complesso di Donnafugata e palazzo Zacco: tutte le contraddizioni, le ombre e le incongruenze di un partenariato che non è tale

Una volta ricostruita la gestazione, nella pancia del Comune di Ragusa, del progetto di partenariato, analizzata la proposta di Civita-Logos ed esaminati alcuni dei tratti essenziali della storia e degli artefici delle due imprese, bisogna focalizzare un aspetto decisivo: l’idoneità dello strumento – il partenariato speciale pubblico privato – allo scopo.

Una prima anomalia è emersa con chiarezza ed è quella riguardante il ruolo, attivo e di parte, del Comune che, ben prima di essere l’ente destinatario della proposta di un privato, è stato una sorta di suo socio occulto, nonché sponsor, sostenitore e grande favoreggiatore. Abbiamo riferito fatti e circostanze che incontestabilmente rendono palese questo dato e ai quali si aggiunge la segnalazione di Stefania Campo, deputata all’Ars del M5S, la quale il 24 agosto scorso ha rilevato che il dirigente comunale del settore (il XII, Cultura, turismo, sport, spettacolo), lo stesso di cui abbiamo analizzato gli atti che hanno aperto il procedimento, nella proposta di deliberazione di giunta n. 317 del 23 luglio ’24,  <<fa un’affermazione che – afferma la deputata – lascia di stucco: “Preso atto che con nota acquisita al prot. n. 91007 del 30 luglio 2024, di Logos Società Cooperativa e di Civita Sicilia …”. Cioè in una nota del 23 luglio – spiega Campo – viene espressamente citata la presa d’atto di una proposta dei privati che invece è stata protocollata al Comune il 30 luglio, e quindi dopo ben 7 giorni>>. Segue l’annuncio di un esposto alla Corte dei Conti e all’autorità giudiziaria.

In proposito c’è da sperare che al più presto nel palazzo di giustizia di Ragusa si insedi il nuovo procuratore, Francesco Puleio, e che possa ripristinare le normali funzioni di una Procura la quale, in presenza di notitiae criminis svolga sempre le indagini necessarie, anche quando si tratti dei reati più gravi e  pericolosi che sono quelli contro la res pubblica, contro il danaro pubblico, i beni comuni e gli interessi generali, reati solitamente compiuti da persone dotate di potere e spesso investite di pubbliche funzioni, alle quali (basti pensare al caso Modica e al sistema-Abbate) da molti anni è concessa totale immunità d’indagine.

Il sindaco Cassì dinanzi a qualche critica pubblica, il 21 agosto scorso è intervenuto, approvando pienamente, e quindi assumendosene totalmente la responsabilità, gli atti amministrativi finora prodotti dal Comune ed esaltando la bontà della proposta presentata dal privato della quale ha sottolineato l’esclusiva paternità: <<non è una procedura avviata dal Comune ma da un soggetto terzo, competente in materia, che avanza all’Ente una propria proposta di gestione. Chiunque può o avrebbe potuto fare altrettanto non solo negli scorsi mesi ma negli scorsi anni, prendendosi tutto il tempo per formulare il progetto più vantaggioso in termini di tutela e valorizzazione del Castello>>. Quante e quali mani per conto del Comune abbiano maneggiato la proposta del privato prima che essa giungesse, e fosse protocollata, a palazzo dell’Aquila è già emerso con chiarezza. Sorprende poi la considerazione che <<chiunque può o avrebbe potuto fare altrettanto non solo negli scorsi mesi ma negli scorsi anni, prendendosi tutto il tempo per formulare …>>. Non sappiamo se ‘l’altrettanto’ che Cassì sostiene essere stato nella disponibilità di tutti contempli lo stesso attivo favoreggiamento comunale offerto al privato in un tempo molto lungo. Certo è che il procedimento avviato dal Comune, come ogni delibera e determinazione prodotte ripetono un numero infinito di volte (… ai sensi dell’art. 134 del D.lgs 36/23…), ha per oggetto una Pspp, ‘proposta speciale di partenariato pubblico-privato’, istituto entrato nel nostro ordinamento giuridico il 31 marzo del 2023. Vero è che forme di partenariato si sono affacciate fin dalla prima elaborazione europea degli anni ’90 ma una tipizzazione, peraltro ancora incerta e insufficiente, come quella ‘speciale’ operante nel settore dei beni culturali, è novità introdotta dal legislatore solo con il nuovo codice dei contratti pubblici contenuto nel decreto legislativo n. 36 del 2023, approvato e pubblicato in gazzetta ufficiale appunto il 31 marzo dello scorso anno.

Bisogna innanzitutto focalizzare il titolo dell’art. 134 richiamato, ai sensi del quale il Comune sta procedendo: ‘contratti gratuiti e forme speciali di partenariato’.

Il contratto quindi deve essere gratuito.

Ma c’è una persona di senno – tra i cittadini di Ragusa o dell’Italia o del mondo – che possa ritenere contratto ‘gratuito’, sul lato del dare da parte pubblica, quello che si vorrebbe stipulare – in tutta fretta peraltro – a palazzo dell’Aquila?

Abbiamo visto che l’ipotesi di contratto, fatte salve improbabili modifiche comunque irrilevanti sul punto nodale in questione, è che il Comune consegni l’intero complesso di Donnafugata (Castello, Parco, Museo del costume) e Palazzo Zacco – nelle condizioni di splendore e di ottimale manutenzione in cui si trovano – ad un privato che li gestirà per dieci anni, rinnovabili, producendo tutto il ricavato economico di cui sarà capace e tenendolo totalmente per sé. In cambio il Comune avrà la somma di trenta mila euro l’anno che, nella stima progressiva degli incrementi, come abbiamo visto potrà giungere alla fine del decennio a quarantamila. Il Comune cioè, a fronte di tutto ciò che consegnerà al privato, otterrà la controprestazione di 2.500 euro al mese. Su questa cifra torneremo.

Intanto, per dovere di completezza, aggiungiamo che il Comune dall’operazione si attende vantaggi ulteriori in termini di ampliamento della fruizione pubblica. In proposito abbiamo visto come l’unica differenza sarebbe quella di due ore quotidiane d’apertura in più nei mesi di luglio, agosto e settembre, mentre in altri periodi ci sarebbe una restrizione e, complessivamente, il numero delle ore d’apertura durante l’anno diminuirebbe anzichè aumentare. Peraltro a fronte di tutto ciò ci sarebbe un sostanzioso aumento dei prezzi del biglietto d’ingresso.

Le cifre dunque, e la persona di senno alla quale facevamo appello.

Come valutare la scelta di mettere in mano privata un patrimonio di questo tipo in cambio di 2.500 euro al mese?

Una persona mediamente assennata, mediamente diligente, mediamente sveglia e attenta, mediamente o anche minimamente dotata di equilibrio e di quel senso d’onestà limitatamente almeno al valore delle cose, in cambio di 2500 euro al mese, penserebbe di poter concedere l’uso (in questo caso un comodato ma potrebbe trattarsi anche di un affitto per la gestione) di un immobile di 200 metri quadrati (siamo a Ragusa, altrimenti la cifra basterebbe per una quarantina di metri quadrati appena) perché il contraente possa utilmente allocarvi un ristorante, un commercio, un b&b con 6-7 stanze.

Il complesso di Donnafugata comprende una dimora gentilizia di grande pregio (soprattutto dopo che ai miliardi di lire spesi dal Comune, con finanziamento regionale, per l’acquisto nel 1982 si sono aggiunti svariati milioni di euro per restauro e riqualificazione) composta da 122 vani che occupano una superficie di 7.500 mq su tre piani di stile neogotico fra scenografiche scalinate, viali incantevoli e torri possenti; un parco esteso in un’area di 8 ettari, 80 mila mq, con 1500 specie vegetali, giardini all’inglese e alla francese e molteplici affascinanti attrazioni; il Museo del costume comprendente una pregiata e ricca collezione di abiti d’epoca con circa 2.800 pezzi frutto di tre secoli di storia. Inoltre oggetto dell’affidamento sarà anche palazzo Zacco, edificio barocco del ‘700, tre piani per una superficie interna di oltre 600 mq in pieno centro a breve distanza dalla sede municipale, di recente restaurato e sede della collezione Cappello e del Museo del tempo contadino.

Questo è quanto il Comune consegnerà al privato. Ovvio che vi sia un rigoroso vincolo di destinazione e il conseguente impegno per la valorizzazione culturale e la fruizione pubblica: l’esempio che facevamo in termini di superficie serva a dare l’idea nell’analogia di beni destinati, nel rispetto della destinazione, allo sfruttamento economico la cui misura è ovviamente correlata al valore del bene: nelle condizioni attuali il flusso dei visitatori è un segno ineludibile. Il complesso di Donnafugata (a palazzo Zacco l’ingresso è gratuito) produce già, sia pure nella carente e inefficiente gestione comunale, un ricavato economico importante.

I proventi dei biglietti d’ingresso nel 2023 sono stati, come abbiamo visto, di € 622.996,00 e sono solo una delle voci di possibile ricavo: si pensi alle tante altre modalità di utilizzazione per eventi di vario tipo pubblici e privati, produzioni cinematografiche, riprese video, shooting di still life o per e-commerce, offerta di altri servizi, attività collaterali strumentali anche di natura commerciale.

Al ricavato dalla sola biglietteria, detratte le spese (attualmente il Comune vi impiega appena due-tre unità) e sommati gli altri proventi bisognerebbe aggiungere anche quelli derivanti dall’aumento del prezzo dei biglietti proposto da Civita-Logos.

Uno sguardo alle norme: questo non è un contratto gratuito. 

Il privato prende, eccome: non un bene abbandonato e improduttivo ma un patrimonio di grande valore avente già una gestione in attivo

Tutto ciò consente di definire ‘gratuito’ il contratto che il Comune si accinge a stipulare?

Ovvio che no.

Un contratto sarebbe gratuito se, per esempio, oggetto ne fosse un bene totalmente abbandonato, inutilizzato, o ad accesso libero da parte del pubblico, improduttivo e quindi da rigenerare: in questo caso il partenariato speciale pubblico-privato potrebbe sovvenire in modo efficace e soprattutto appropriato e corrispondente alla norma che l’ha introdotto e lo disciplina. Non si dimentichi che tutto viene portato avanti <<ai sensi dell’art. 134>> che il legislatore riferisce all’ambito e all’oggetto <<contratti gratuiti e forme speciali di partenariato>> che la pubblica amministrazione può stipulare per le <<attività finalizzate alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali>>. Il secondo comma è illuminante nel chiarire la natura di questa specifica possibilità che consente di <<attivare forme speciali di partenariato con enti e organismi pubblici e con soggetti privati, dirette a consentire il recupero, il restauro, la manutenzione programmata, la gestione, l’apertura alla pubblica fruizione e la valorizzazione di beni culturali, attraverso procedure semplificate di individuazione del partner privato analoghe o ulteriori …>>. Come si può ben vedere il primo termine utilizzato è ‘recupero’, a seguire ‘restauro’, ‘manutenzione programmata’, quindi ‘gestione’, ‘apertura alla pubblica fruizione…>>. E’ la conferma di quanto già osservato perché nel caso del complesso di Donnafugata e di palazzo Zacco non c’è alcunchè da recuperare, da restaurare, non c’è neanche da programmare alcuna manutenzione eccetto quella ordinaria in atto, né da aprire alla pubblica fruizione perché è tutto già aperto. C’è semmai solo da gestire, e se il Comune intende, semplicemente, affidare a terzi la gestione di un bene economico pienamente produttivo e di grande valore tratti il suo progetto come tale e promuova un procedimento adeguato a questo fine.

Infatti quella che il Comune da lungo tempo, più o meno di nascosto, coltiva è una forma di concessione in uso ad un contraente, a fini di gestione, di un complesso di beni avente un grandissimo valore economico che si vorrebbe totalmente regalare al privato per dieci anni rinnovabili, con la sola eccezione a tale gratuità di quella briciola, la somma di 2.500 euro al mese che in un ragionevole sinallagma rappresenta una frazione irrisoria rispetto ad un equilibrio minimo nel rapporto dare-avere. E’ in tale equilibrio che andrebbe ricercata la ragion d’essere della via intrapresa dall’ente pubblico nel perseguimento del proprio interesse di proprietario di un patrimonio inestimabile che voglia tutelarlo valorizzandolo, ampliandone la fruizione pubblica e gestirlo (o farlo gestire ad altri) nel modo più fruttuoso per la collettività e non certo per un privato scelto ad personam, con le modalità anomale e inquietanti che abbiamo visto, ed in contrasto palese con la norma che si afferma e si sostiene di volere rispettare la quale impone invece la gratuità del contratto che nel caso in questione non c’è.

Quello cui il Comune afferma – del tutto impropriamente – di fare ricorso, il partenariato speciale pubblico-privato, è un istituto giuridico entrato da poco più di un anno nel nostro ordinamento, sia pure come risultante di una elaborazione che aveva già prodotto esperienze e norme significative ma diverse e non paragonabili.

La dottrina, in attesa di una giurisprudenza ancora poco rilevante, ha cominciato a studiare i profili di novità: gli autori che vi si sono esercitati propongono l’unica lettura coerente con il testo della norma e la sua genesi. Ecco qualche spunto.

1 <<…Si tratta di un nuovo modello organizzativo, di tenore diverso dalle concessioni, in cui viene recepito il ruolo delle comunità nella valorizzazione del patrimonio culturale e alla pubblica amministrazione viene attribuito il compito di promuovere ed orientare attivamente, con il concorso di partner privati, i processi di cura e valorizzazione dei beni culturali pubblici…>>

2.<<… non si esclude che anche nel partenariato speciale il partner privato possa trarre delle utilità economiche direttamente dalle attività di valorizzazione o da attività economiche indirettamente collegate alla gestione degli immobili culturali. È anzi auspicabile che questo avvenga, in relazione soprattutto ai beni attualmente dismessi o non fruiti dal pubblico, senza che questo comprometta il perseguimento dell’obiettivo principale che consiste nel reimmettere nel circuito culturale beni sottoutilizzati o inutilizzati affinché possano diventare una leva dello sviluppo culturale delle comunità e dei territori>>.

3.<<…Il generale riferimento all’art. 8, in particolare al primo e al terzo comma, fa ricomprendere i partenariati speciali nell’ambito delle procedure previste per i contratti gratuiti, definiti dall’art. 2 dell’Allegato I1 come i contratti in cui l’obbligo di prestazione o i sacrifici economici direttamente previsti nel contratto gravano solo su una o alcune delle parti contraenti (ovvero solo su quelle private, n.d.r.)>>.

E qui la domanda sorge spontanea: ma veramente, nel caso in questione, sul Comune di Ragusa non grava nulla? Cos’è oggi quell’insieme di beni, complesso di Donnafugata e palazzo Zacco, che per dieci anni rinnovabili sarebbero concessi in comodato ad un privato perché li gestisca e ne ricavi per sé tutti gli utili possibili ovviamente nella forma dello sfruttamento economico compatibile con le destinazioni attuali di fruizione pubblica a pagamento?

Chiarito il concetto della gratuità (del quale nel caso in questione manca ogni presupposto minimo ed anzi siamo in presenza della situazione radicalmente opposta), interessanti sono anche le affermazioni che seguono sulle procedure e sugli obblighi di trasparenza e imparzialità.

4 <<…Qui il legislatore sancisce l’esclusione del principio della gara pubblica per le donazioni ma non per la generalità dei contratti gratuiti, i quali, in quanto suscettibili di attribuire utilità economicamente significative ai contraenti, pur essendo esclusi dall’intera disciplina del Codice, soggiacciono ai c.d. principi generali… A sancire la differenza tra l’atto di liberalità, per il quale si esclude ogni procedura pubblica, e i contratti gratuiti, è la presenza, nei secondi, di un interesse economico esplicito o latente che impone infatti il rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità e dunque la par condicio competitorum tra i contraenti… Questa lettura era già presente nella giurisprudenza amministrativa. In particolare nella sentenza del 3 ottobre 2017, n. 4614 il Consiglio di Stato, nel rendere ammissibile l’espletamento di una procedura di gara per l’affidamento di un contratto di servizi privo di corrispettivo, fa riferimento proprio ai contratti di sponsorizzazione che insieme al partenariato speciale costituiscono due tipologie di contratti gratuiti nel nuovo Codice. …. La sponsorizzazione non è un contratto a titolo gratuito, in quanto alla prestazione dello sponsor in termini di dazione del denaro o di accollo del debito corrisponde l’acquisizione, in favore dello stesso sponsor, del diritto all’uso promozionale dell’immagine della cosa di titolarità pubblica … Dunque il concetto di onerosità viene qui esteso a quei contratti, che il nuovo Codice definisce gratuiti, in cui pur in assenza di un corrispettivo l’operatore economico ottiene un beneficio esplicito economicamente rilevante. Nella sostanza, così come la giurisprudenza ha inteso attribuire alla locuzione “a titolo oneroso” un contenuto attenuato riferibile a vantaggi non finanziari conseguibili da un operatore privato e suscettibili di valutazione economica, il nuovo Codice ha descritto i contratti gratuiti come quei contratti in cui l’obbligo di prestazione (tipica dei partenariati) o i sacrifici economici direttamente previsti nel contratto (tipica delle sponsorizzazioni) gravano solo su una o alcune delle parti contraenti… Il ragionamento qui offerto dalla giurisprudenza amministrativa si pone in continuità con quanto disciplinato nel nuovo Codice in ordine ai principi generali dell’azione pubblica nella scelta dei contraenti, facendo salvo il principio della par condicio che va assicurata attraverso le procedure di evidenza pubblica ed escludendo dunque che l’amministrazione procedente possa scegliere il contraente a proprio piacimento: si realizzerebbe in quel caso infatti una lesione non solo della trasparenza e della parità di trattamento ma anche dei principi di derivazione eurounitaria del mercato concorrenziale che sono alla base delle commesse pubbliche.

Talvolta viene invocata l’autonomia contrattuale, quasi che lo Stato o un ente pubblico fossero un soggetto privato qualsiasi. Ma non è così.

<<…Dopo l’introduzione del nuovo Codice, il partenariato speciale e le sponsorizzazioni relativi ai beni culturali possono considerarsi contratti esclusi dalla disciplina dei contratti pubblici ma, dal raccordo sistematico operato nell’ambito dell’articolo 13 dal comma 2 e dal comma 5, i contratti gratuiti che offrono opportunità di guadagno economico, anche indiretto, dovranno essere stipulati tenendo conto dei principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 dello stesso Codice.… Pur nel rispetto dei principi generali dell’azione amministrativa, che richiede comunque l’esperimento di procedure trasparenti e, quindi, il rispetto dei principi di legalità, buon andamento e trasparenza… Per i contratti gratuiti per i quali è prevista opportunità di guadagno economico, categoria all’interno della quale sono tendenzialmente riconducibili i partenariati speciali, la selezione dei partner dovrà avvenire nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità, di trasparenza e di proporzionalità. In questa prospettiva viene dunque sancita definitivamente l’estraneità dell’istituto al corpo normativo dei partenariati ordinari e alla disciplina dei contratti pubblici chiamata a regolare gli appalti e le concessioni…. Al fine di individuare le esigenze minime di evidenza pubblica è utile richiamare quanto previsto dalle linee guida emanate dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per disciplinare le procedure di co-progettazione: l’amministrazione pubblica individuato il responsabile del procedimento, ai sensi degli articoli 5 e 6 della legge n. 241/1990, e, quindi, avviato il procedimento, pubblica l’avviso in cui evidenzia la finalità del procedimento, l’oggetto del procedimento, la durata del partenariato, il quadro progettuale ed economico di riferimento, i requisiti di partecipazione e cause di esclusione, con particolare riguardo alla disciplina in materia di conflitti di interesse, le fasi del procedimento e modalità di svolgimento, i criteri di valutazione delle proposte, e la conclusione del procedimento. Terminata la fase comparativa, con la selezione di uno o più partner operativi, il contratto potrà essere liberamente negoziato in ossequio al già richiamato principio di autonomia contrattuale..>>.

Il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale nonché gli istituti dell’amministrazione condivisa e dei patti di collaborazione tracciano la via maestra lungo la quale una buona amministrazione pubblica si incamminerebbe per <<ampliare il concorso dei privati al perseguimento delle finalità istituzionali di tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale pubblico>>.

Appunto, si prenda un bene abbandonato, non utilizzato, improduttivo, che l’ente pubblico non riesca a curare e, con il concorso di privati, lo si rigeneri: questo è lo spirito delle norme di cui parliamo. Tutt’altra cosa è prendere un asset altamente produttivo di proprietà pubblica e regalarlo ad un privato perché lo gestisca e ne tragga tutti gli utili possibili in cambio di un’irridente elemosina.

Ma com’è stato possibile che tutto ciò potesse accadere?

Domande, dubbi, riflessioni, per orientarsi ‘dal basso’

In conclusione è bene rimettere sotto la lente d’ingrandimento tutti i passaggi dell’operato dell’amministrazione comunale ben prima del 30 luglio scorso tra i quali le dichiarazioni contenute nella relazione dell’esperta del sindaco Clorinda Arezzo che nel caso specifico riferisce di un’attività compiuta da settembre a dicembre ’23, ovvero da sette a undici mesi prima dell’arrivo in Comune della proposta di Pspp. Con mandato pieno, avente la più alta copertura istituzionale e di responsabilità amministrativa, Arezzo in quel periodo ha incontrato cinque volte il ‘futuro aspirante partner privato’ (che titolo aveva costui e a che titolo il Comune se ne è reso partner-sostenitore-favoreggiatore?) non limitandosi a fornire asettiche informazioni (comunque improprie, inopportune e intrinsecamente viziate da violazione dell’obbligo di imparzialità: allo scopo ci sono uffici accessibili secondo le regole valide per tutti e atti consultabili attraverso ‘Amministrazione trasparente’) ma <<scambiando riflessioni, visioni, dati e informazioni>>. E su cosa? Non solo <<sullo stato di fatto>> ma anche <<su un ipotetico futuro assetto dei luoghi culturali di Ragusa>>. Non potrebbe esserci prova più chiara di quale sia nei fatti, e non nelle parole usate, l’operazione intrapresa dal Comune. E ci sarebbe da mettere in conto che questo sia solo l’inizio visto che l’oggetto dello scambio compiuto in cinque riunioni è <<il futuro assetto dei luoghi culturali di Ragusa>> (non solo quindi Donnafugata e palazzo Zacco).

In questa analisi abbiamo focalizzato soprattutto l’elemento della gratuità del contratto, assente in questo caso e perciò esclusivo della possibilità di ricorso al partenariato speciale.

Ma non bisogna trascurare comunque la grave criticità connaturata alla matrice privata di una gestione inevitabilmente in contrasto con il carattere pubblico del patrimonio in questione e, inscindibilmente, delle modalità di fruizione.

Se anche non fossimo dinanzi ad alcuno dei tanti problemi segnalati, una gestione privata punterebbe inevitabilmente a massimizzare il profitto e magari, non avendo interesse a caricare di utili il bilancio, a produrre o comunque a confezionare costi di produzione di dubbia utilità strumentale e non necessariamente correlati al carattere pubblico dei servizi da offrire in una logica di conservazione e valorizzazione dei beni culturali e di ampliamento sociale della fruizione.

Abbiamo parlato del disequilibrio scriteriato e illogico in favore del privato, non differenziando tra le varie scelte possibili negli atti di gestione. Bisogna aggiungere che la vocazione al profitto finirebbe, a parte tutti gli altri effetti perversi, per mettere sullo stesso piano, tra i tanti potenziali promotori di iniziative nello scenario di Donnafugata, un interesse prettamente commerciale rispetto a quello intrinsecamente culturale che solo una gestione pubblica può tutelare e trattare in modo appropriato nell’interesse precipuo della comunità.

I vari spazi di Donnafugata possono essere la cornice più degna delle produzioni culturali e artistiche di maggiore pregio che la realtà del territorio sia in grado di produrre. Esse non possono essere trattate perciò come un’occasione di business per chi, per effetto di un incredibile sotterfugio, si trovi a potere disporre privatamente di quegli spazi.

Siamo dinanzi ad un’operazione dissennata, profondamente lesiva dei doveri e degli interessi dell’istituzione comunale che sono quelli della comunità amministrata: un lucroso affare per il contraente privato il quale, incredibilmente, ha avuto la capacità e gli strumenti per acquisire, ben prima e in mancanza di ogni atto formale utile a giustificarlo, il favore del Comune, il suo sostegno, la sua attiva e zelante cooperazione in un percorso di devianza dal solco degli obblighi propri di una pubblica amministrazione.

Non sappiamo francamente come e perchè tutto ciò sia potuto accadere. Perciò abbiamo cercato di fornire ogni elemento utile, anche allontanandoci in qualche caso dall’alveo specifico dei fatti in questione, alla ricerca di indizi che potessero aiutarci lungo la storia anche remota degli attori di questa vicenda, il loro mondo di relazione, gli affari e le connessioni.

Tutti i dati riferiti, le circostanze segnalate, le vicende ricostruite sono ovviamente dotati dei necessari supporti documentali. Inevitabilmente alcune risposte rimangono fuori da questo ambito di indagine e può darle solo chi di dovere.

Infine due notazioni.

La prima. Abbiamo lungamente parlato di Civita-Logos, due società a capitale privato associate nell’impresa di prendere in gestione per dieci anni rinnovabili il complesso di Donnafugata. Il loro interesse è comprensibile, l’ambizione legittima come anche gli atti prodotti di cui si sia a conoscenza. Se quindi non emergeranno elementi tali da mettere in discussione questo dato di fatto, il problema sta unicamente nella sfera del contraente pubblico, nell’anomalia della sua condotta, nella pretesa di tradire il proprio interesse, pubblico, di proprietario di un bene pubblico ricco, attivo ed economicamente produttivo, e di assumerne invece un altro che sembra coincidere in tutto e per tutto con quello dell’aspirante partner privato.

Lungo i sentieri non sempre visibili in cui tali dinamiche possano essersi determinate si scorgono le ombre di relazioni private capaci di mettere in circuito il potere di prestare consulenza ad aziende capaci a loro volta di farne ‘grande distribuzione’, nonchè di immediato impatto sociale come in estate e in tempo di vacanze può capitare in certi rinomati stabilimenti balneari: si pensi, per inquadrare questo tipo di esperienze in un più ampio contesto noto ai più, a cosa siano stati altrove negli anni il Twiga o il Verde di Camaiore in bassa Versilia o ancora il Papeete, il Bicio, il Fantini o il Donna Rosa lungo la riviera romagnola. Quindi grande distribuzione del potere e del talento della consulenza che è anche influenza di formazione, miscelazione sociale, veicolazione spinta in luoghi a ciò vocati come certi ambienti bancari, magari sull’onda di amicizie e parentele che incrociano, e ne dispongono, cariche politiche e ruoli istituzionali. Niente di strano sul piano fisiologico, ma un cocktail di siffatti ingredienti può avere l’effetto di un aperitivo oltremodo stuzzicante intorno ad un buffet al quale ci si dovrebbe accostare con disciplina, autocontrollo e coscienza di limiti, funzioni e responsabilità.

La seconda, per chiudere tornando a fatti visibili e palpabili. I cahiers de doleancés di cui è cosparsa per tutti i motivi esposti questa analisi avente ad oggetto l’operazione-Donnafugata (imminente, salvo ripensamenti del sindaco Cassì) non esclude, ed anzi evoca e richiama, certi motivi di criticità della situazione attuale nella cura del complesso da parte del Comune e nell’organizzazione dei servizi finalizzati alla fruizione. Carenze, negligenze, inefficienze, errori e inadeguatezza di non pochi atti di gestione rispetto alla qualità eccelsa di questo grande patrimonio culturale sono evidenti. Al tempo stesso non attenuano, ma aggravano, le responsabilità delle decisioni in itinere – sbagliate e dannose per la città – sotto il profilo di un nesso di causalità utile a fornire moventi e giustificazioni.

Si affrontino queste criticità nel limpido spazio pubblico degli strumenti propri dell’istituzione comunale, a viso aperto dinanzi alla comunità con cui occorre dialogare e interagire. Si metta ordine e si qualifichi in modo consono e coerente la vasta gamma di servizi ausiliari che hanno trasformato spazi di grande pregio in un suk in cui la bellezza dei luoghi e dell’esperienza di fruizione ne risulta frustrata. In questo ambito il Comune ha dato talvolta pessime prove di se come per esempio nella vicenda dell’affidamento dei servizi ausiliari della sottomisura 7.5 Gal Terra Barocca del complesso Castello di Donnafugata alla Kairos, associazione di promozione sociale facente capo a Giovanni Corigliano (candidato, non eletto, al consiglio comunale con la lista Insieme di Maurizio Tumino nel 2018 e con la lista Costruiamo il futuro, collegata al candidato a sindaco Francesco Barone, nel 2013). Una vicenda di pasticci, di bandi a vuoto, di selezione dell’affidatario con modalità discutibili, da parte di qualche dirigente comunale non sempre apparso imparziale e però capace di impegnare il Comune anche dinanzi al Tar a sostegno di scelte produttive della pessima situazione descritta. Il tutto con soldi pubblici, 350 mila euro del Gal per servizi di infopoint, bookshop e bistrot cui se ne sono aggiunti altri cinquantamila con un’integrazione finalizzata ai servizi di biglietteria ma rimasta sospesa nel via vai dirigenziale. Per la cronaca il Gal Terra Barocca è la società consortile a capitale misto (cinque comuni tra cui Ragusa che è l’ente maggiore ma in posizione subalterna rispetto a Modica, e soci privati) imbastita nel 2014 dall’allora sindaco di Modica Ignazio Abbate a misura delle sue mire di espansione sovracomunale del proprio potere, e nel cui consiglio d’amministrazione siede l’assessore comunale di Ragusa Giovanni Gurrieri, ex M5S passato sotto l’ala protettiva di Abbate, esponente della Dc di Cuffaro, schieratosi lo scorso anno a sostegno di Cassì.

Peraltro con mezzo milione di euro di fondi europei del Pnrr giunti attraverso la Regione, nel complesso di Donnafugata è stato ristrutturato il Museo del contadino ma anche questa è una storiaccia di elusioni e pasticci. In luogo del Museo del contadino cui era finalizzato il finanziamento, è stata allestita una sorta di  ‘museo del prodotto contadino’, un museo-mercato (‘Farmuseum’) più in linea con l’atmosfera da mercatino rionale o da suk nelle serate di grande flusso che con le finalità insite nel finanziamento. Il tutto, anche in questo caso, con bandi a vuoto e affidamenti per decisione residuale.

Nonostante l’importanza del finanziamento da 350 mila euro del Gal Terra Barocca i servizi di infopoint (due, di cui uno a Marina di Ragusa) bookshop e bistrot nello standard attuale non sono in linea con l’immagine e l’atmosfera dei luoghi. Il visitatore non di rado viene inseguito da addetti i quali, animati da furore commerciale (si vende qualunque cosa tranne ciò che si dovrebbe) capita che lascino incustodito proprio l’infopoint, presidio fondamentale che oltre alla qualità del servizio (difficile nelle condizioni date) richiede, almeno, la presenza.

Su questo punto hanno ragione Civita e Logos nel ritenere inadeguata l’offerta di tali servizi cui infatti, alla scadenza, annunciano di volere provvedere direttamente. Ma per risolvere questo problema (peraltro solo alla scadenza, ancora lontana nel tempo, di tale affidamento alla Kairos) non c’è affatto bisogno di cedere a privati l’intera gestione del complesso con tutto ciò che la cosa comporta.

E’ sufficiente che il Comune si riappropri della coscienza – e se non riesce, almeno della consapevolezza – ed anche della responsabilità, di essere proprietario di un patrimonio di enorme valore economico e culturale, materiale e immateriale, e lo tratti come tale nell’unico interesse che abbia il dovere di tutelare: il proprio di ente pubblico e, per esso, quello dell’intera collettività, dei propri abitanti e dei tanti altri che da ogni parte del mondo possano apprezzarlo.