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A che gioco gioca il Pd? L’emendamento di otto senatori sarebbe stato utile ad Abbate: Elly Schlein personalmente interpellata non ha saputo dirci niente. Adesso la sindaca mette le mani sul Comune sotto la guida della Holding dei Minardo e vara il Monisteri-bis annunciandolo come una svolta. Il Pd voleva entrarci ma all’ultimo frena: dieci mesi fa il segretario Poidomani dipinse Maria Monisteri come campionessa di “trasparenza e di legalità”, vittima di un complotto di Abbate. Ma fino alla dichiarazione di dissesto imposta dalla Corte dei conti ha eseguito ogni sua volontà anche perorando bilanci falsi e ogni tipo di violazioni alla giunta e alla maggioranza in Consiglio. Tutte le carte del dissesto e la ricerca dei vari colpevoli: Abbate, Monisteri, Ficano, ma devono rispondere anche il noto Giampiero Bella, per otto anni capo del settore finanziario, e Maria Di Martino subentratagli il 5 giugno 2023 e ‘garante’ del falso conto consuntivo 2021 approvato un anno fa. Tutti e tre i dirigenti in carica (Caccamo, Di Martino e Paolino) sono abusivi, assunti ‘contra legem’ dalla commissaria Ficano (ora lo mettono nero su bianco perfino i dodici di Abbate) e dal 30 gennaio decaduti ma Monisteri li tiene in servizio: li pagherà di tasca propria? I precedenti specifici delle condanne per il dissesto di Acate e Catania, alcuni illuminanti incroci della cronaca, la tutela legale offerta dal Comune di Modica ad inconfessabili interessi privati con i soldi dei contribuenti come nell’affaire Zimmardo-Bellamagna. La città rimane ostaggio di gruppi di potere che se la passano di mano in mano. Le dimissioni possono solo essere date e dal basso nessuno è capace d’imporle. Ma perchè il Pd non le ha mai neanche richieste? Magari quell’incrollabile ‘argine di legalità’, memore della lettera d’amore politico del suo segretario, gli avrebbe risposto Sì

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Per alcune settimane, tra novembre e dicembre scorsi, Ignazio Abbate rimase aggrappato ad un emendamento alla legge di stabilità che avrebbe salvato il Comune di Modica dal dissesto. Una proposta di poche righe con una sola firma in calce, del deputato alla Camera Nino Minardo, semplicemente presentata, come lettrici e lettori di In Sicilia Report ben sanno. A supporto nessun atto parlamentare, nessuna adesione, neanche una parola di sostegno: un documento buttato lì perché il suo firmatario potesse dire, appunto, di averlo …buttato lì.

Meglio così, comunque, perché se mai la proposta emendativa fosse stata portata avanti sul serio e se mai, per assurdo, la norma in essa contenuta fosse stata approvata, poiché totalmente e palesemente illegittima come confermano le tante sentenze della Corte costituzionale da noi richiamate, avrebbe avuto vita breve, utile solo per qualche mese a fare confusione.

Il che forse ad Abbate sarebbe pure bastato nello stile collaudato che l’ha visto, per quasi dodici anni, da giugno 2013 a dicembre 2024, disastrare l’ente e imbrogliare le carte pur di comprare tempo a lui prezioso per costruire la propria carriera politica e coltivare affari privati, devastando così il Comune direttamente da sindaco per nove anni e poi da ‘ex‘, capace di dettare, come affiliato al partito di Totò Cuffaro, la nomina e l’operato della commissaria straordinaria Domenica Ficano; capace anche di imporre e fare eleggere come proprio successore, e di manovrare passo dopo passo, la fida Maria Monisteri la quale, a dire il vero, almeno fino a tutto dicembre 2024 è stata entusiasta, e perfino orgogliosa, di proseguire l’opera scellerata del proprio mentore che ha portato la città al dissesto infliggendo nell’intero arco dei quasi dodici anni trascorsi un colpo letale alla sua dignità civile e alla sua tenuta democratica. Cosa ancora ben più grave della mera condizione finanziaria finalmente smascherata e da noi denunciata da anni quando andava ‘tutto bene madama la marchesa’, nella citazione delle parole, rese celebri da una nota canzone francese, del fedele servitore che così riferiva alla sua padrona (‘tutto bene …‘ appunto) il suicidio del marito, l’incendio del palazzo e la morte del cavallo: per uno stuolo, purtroppo molto numeroso, di ‘fedeli servitori’ di un imbroglione eletto a loro padrone andava tutto bene …‘madama la città’.

Nell’articolo pubblicato da In Sicilia Report il 19 dicembre scorso (qui) quando ancora a Modica Abbate faceva circolare la trovata dell’emendamento-Minardo che avrebbe messo a posto ogni cosa, scrissi come stavano le cose e quale sarebbe stato l’esito inevitabile dell’emendamento: carta straccia nei cestini portarifiuti di Montecitorio. E così fu confermato dal voto finale in aula dieci giorni dopo.

Non per questo Abbate si è arreso. Piuttosto ha continuato la propria linea di difesa, da sempre un attacco alla città sferrato in modalità ‘Cavallo di Troia’, cercando di impedire con ogni mezzo la dichiarazione di dissesto e il ricorso alla necessaria terapia d’urto.  E’ solo a questo punto e in questo momento – gennaio 2025 – e non prima che Monisteri, responsabile in prima persona di tutti gli atti sciagurati portati avanti nei diciannove mesi precedenti dalla sua amministrazione, si dissocia dal califfo cuffariano con il quale, anche in quanto califfo cuffariano, era sempre andata d’amore e d’accordo. Basti ricordare, a tutti gli smemorati, che nei quattro anni da assessora aveva firmato ogni delibera di giunta dell’Abbate-bis senza mai fiatare e senza mai un dubbio di coscienza o un sussulto di dignità, e con la commissaria Ficano era addirittura solita accompagnarsi fuori dal Comune e in momenti conviviali extra-istituzionali, ostentando un’intima amicizia privata quale segno, tangibile e ulteriore, di continuità con Abbate il quale ne perorò la nomina: e infatti la commissaria di Bagheria fece di tutto perchè al Comune, a parte pagare lo stipendio ad alcuni propri fedeli concittadini uno dei quali standosene comodamente a casa sarà in busta paga di palazzo San Domenico fino a tutto il 2028, nulla cambiasse rispetto ai nove anni precedenti.

La dichiarazione di dissesto ha aperto un varco tra Abbate e Monisteri e ha messo la sindaca, direttamente, nelle mani del gruppo-Minardo, il che non riesce ad impedirle – talentuosa transformer – di presentarsi come l’icona di una svolta   

Ora i due, A&M, stanno giocando da avversari una partita nuova. Al fianco di Abbate rimangono dodici consiglieri: questo, almeno finora, è il numero, ovviamente suscettibile di oscillazioni e modifiche per cambi di campo e di casacca sempre possibili dinanzi ad argomenti convincenti. Gli altri nove della maggioranza di 21, sull’intero consiglio di 24, uscita dalle urne a maggio 2023, continuano a sostenere la Monisteri nella nuova versione anti-Abbate, degna di una talentuosa transformer in scena a fianco di Leopoldo Fregoli, sotto l’ombrello protettivo di quello che a Modica è molto più di un partito o di un gruppo di partiti o di una potente fazione: la famiglia Minardo il cui strapotere economico e la cui dimensione affaristica, uniti ad un collaudato modus operandi nel proprio intervento sul territorio e nel suo spazio civico, a prescindere da ogni singolo atto dei propri emissari nei luoghi della decisione politica impediscono alla radice anche la sola parvenza di un minimo di tutela dell’interesse della Polis, ovvero quello generale della comunità che vive nell’onestà delle persone libere e dignitose e con le risorse mediamente accessibili a comuni cittadini nel rispetto delle norme.

I nove divenuti anti-Abbate al seguito della Monisteri potrebbero trovare nuovi compagni di strada nei tre consiglieri cosiddetti d’opposizione e quindi nel Pd. Non sappiamo se e in che forma e misura ciò accadrà. Ma la sola ipotesi, fino a ieri venerdì 14 febbraio tutt’altro che improbabile, che potesse concretarsi addirittura con un ingresso in giunta dovrebbe essere comunque, anche per il futuro, materia di studio da psicologia del profondo. Per il momento ci asteniamo e andiamo avanti.

Quindi in questo momento, in attesa di conoscere le mosse della cosiddetta opposizione, si sono formati due fronti in consiglio comunale, con il gruppo Abbate in teoria più numeroso, dodici contro nove, ma destinato a non reggere la concorrenza del nuovo e potente avversario e a non riuscire a rinserrare le file della sua … ‘dozzina’ in odore di abbandoni. Che poi la soccombenza ben presto possa cedere il posto ad un patteggiamento e ad una rimodulazione dei rapporti, d’affari e di potere locale, ancora una volta sulla pelle della città, è cosa prossima alla realtà.

Intanto Abbate prova a giocare le sue carte e per riuscire ha bisogno innanzitutto di rimanere in campo e di schivare le conseguenze del dissesto che egli ha determinato con la complicità di tutti i corresponsabili – Monisteri in prima fila – che l’hanno seguito fino a poche settimane fa.

Eccolo quindi nei giorni scorsi aggrappato ad un altro emendamento che però, sin dalla sua presentazione il 21 gennaio scorso, presentava molteplici differenze rispetto a quello ricordato all’inizio ed ampiamente trattato nell’articolo del 19 dicembre scorso. In effetti la presa sul salvacondotto parlamentare pare sia sfuggita all’ex sindaco dopo il no di due giorni fa in Senato, ma l’emendamento non scade come uno yogurt e, alla prima occasione, potrà di nuovo scaldare i cuori di dissestatori e dissestatrici dei conti pubblici: tra queste per dovere di cronaca merita di essere annoverata con un ruolo da protagonista anche la commissaria Domenica Ficano per la quale non sappiamo quale minaccia possa rappresentare un’incandidabilità a cariche elettive, ma la gamma delle misure interdittive è molto ampia precludendo per un decennio anche gli <<incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati>>; comunque, in ogni caso, rimangono le responsabilità primarie in sede civile, penale e contabile.

Mentre quello firmato da Nino Minardo mirava ad offrire agli enti locali dotati di piani di riequilibrio finanziario pluriennale, come appunto Modica dal 2012, tempi più lunghi nel risanamento dei conti prima di dovere dichiarare il dissesto, questo invece punta dritto alla cancellazione, o a limitarne fortemente il rischio, della conseguenza dell’incandidabilità dei sindaci e presidenti di Provincia responsabili del dissesto. Norma in effetti utile non solo ad Abbate ma anche a Monisteri e ad altri complici passibili della sanzione dettata dall’art. 248, 5° comma, del Tuel, il Testo unico enti locali: <<… gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del parlamento e del parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici…>>. Questa è la norma vigente, presente nel Tuel e introdotta come vedremo nel 2011 rispetto alla quale però il decreto legislativo n. 174 del 2012 ha apportato alcune modifiche tra cui la cancellazione del limite dei cinque anni nell’imputabilità a ritroso degli atti ritenuti concorrenti al dissesto.

Il salvacondotto confezionato dal Pd per i sindaci responsabili di dissesto: pochi i casi aperti cui si sarebbe applicato. Tra questi il più importante era proprio quello riguardante il Comune di Modica e il duo Ignazio Abbate – Maria Monisteri

L’emendamento cui in questi giorni si è aggrappato Abbate (ma anche la sindaca avrebbe tutte le ragioni per seguirne gli sviluppi con speranza e senso di comprensibile conforto) punta ad inserire una piccola coda alla norma che abbiamo appena visto. Poche parole, eccole: <<… ad eccezione degli amministratori che, in assenza di dolo, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, approvato dalla Corte dei Conti”…>>. Il decreto legislativo richiamato è il Tuel che all’art. 243 disciplina il piano di riequilibrio finanziario pliriennale (Prfp).

Vedremo gli effetti della nuova norma proposta e la sfera d’applicazione, ma intanto – a prescindere dal nulla di fatto registratosi in Senato e dal quasi certo esito analogo alla Camera –  focalizziamone i termini affinché non vi siano dubbi sul significato.

L’emendamento interviene sull’iter di conversione del decreto legge cosiddetto ‘milleproroghe’, il n. 202 del 2024, approvato dal governo il 27 dicembre scorso: decadrebbe tra dieci giorni, esattamente il 25 febbraio, se il Parlamento non provvedesse con un proprio voto a trasformarlo appunto in legge. Ciò significa che entro tale data conosceremo l’esito del tentativo in atto che comunque, dopo il voto di fiducia in Senato giovedì 13 febbraio e l’immodificabilità del testo alla Camera, appare scontato.

In effetti la norma, come altre a dire il vero, avrebbe dovuto essere respinta prima ancora di essere esaminata e, se mai per assurdo approvata, dovrebbe trovare il semaforo rosso del presidente della Repubblica prima della firma di promulgazione perché non ha alcuna attinenza nè coerenza tematica con la materia del decreto legge da convertire, il 202 del 204 denominato ‘disposizioni urgenti in materia di proroga di termini normativi’. L’emendamento infatti propone di aggiungere una norma nuova (art. 1 comma 9 bis) a quella già esistente nel testo del decreto legge, art. 1 comma 9, che <<limitatamente ai fatti commessi dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al…>> (era il 31 dicembre ’24, il decreto milleproroghe protrae la scadenza al 30 aprile ’25) fa slittare appunto di quattro mesi il termine fino al quale <<la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica per l’azione di responsabilità … è limitata ai casi in cui la produzione del danno conseguente alla condotta del soggetto agente è da lui dolosamente voluta. La limitazione di responsabilità prevista dal primo periodo non si applica per i danni cagionati da omissione o inerzia del soggetto agente…>>.

Ora una cosa è per il legislatore prorogare un termine, esattamente ciò che fa appunto il decreto ‘milleproroghe’, altra cosa approfittare di questo contenitore omnibus per modificare norme di merito sostanziali concernenti i presupposti della responsabilità per danno erariale: oggi anche colpa grave, in seguito – se passasse l’emendamento – solo per dolo. Perciò ad esso si è aggrappato Abbate, convinto, nel suo smisurato ottimismo e nella smodata fiducia in se stesso, che la prova del dolo gli lasci qualche chance altrimenti preclusa.

Chiarita quindi la proroga di quattro mesi, breve concessione di nuovo termine di mera routine, contenuta nel decreto già in vigore ma da convertire, abbiamo visto cosa prevede l’emendamento al quale è ancorato il futuro politico di Abbate, e non solo: <<Dopo il comma 9 (che abbiamo già visto: dispone la mera proroga di quattro mesi di un termine, n.d.r.), aggiungere il seguente: «9-bis. All’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, dopo le parole: “colpa grave” sono aggiunte le seguenti: “ad eccezione degli amministratori che, in assenza di dolo, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, approvato dalla Corte dei Conti”».

Senza farsi distrarre né sviare dai tanti rimandi a commi e articoli di leggi varie, qui basti considerare che il decreto legislativo richiamato (149 del 2011), è quello che, (con l’art. 6 comma 1) ha dettato la norma oggi vigente (art. 248, quinto comma del Tuel) la quale commina ai sindaci, per gli atti compiuti nei cinque anni precedenti il dissesto, la sanzione dell’incandidabilità per dieci anni nei termini che abbiamo visto:  <<…I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di… (in pratica tutte, dal consiglio comunale al parlamento europeo, n.d.r.)>>. Ora esattamente a questo punto della norma, vigente da 14 anni, l’emendamento propone di aggiungere le seguenti parole: <<ad eccezione degli amministratori che, in assenza di dolo, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi dell’articolo 243-bis del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, approvato dalla Corte dei Conti>>.

Se l’emendamento venisse approvato (cosa ormai da escludere, almeno con il treno del ‘milleproroghe’, ma altri ne passeranno) cambierebbe la valutazione di responsabilità che la Corte dei conti sta già operando in riferimento al dissesto del Comune di Modica dichiarato dal consiglio comunale il 30 gennaio scorso?

Certamente sì, perché l’ente ha adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale (Prfp) ai sensi dell’art 243-bis del Tuel e tale piano è stato approvato dalla Corte dei conti. E’ il Prfp che, come ampiamente illustrato nell’articolo del 19 dicembre scorso, il Comune di Modica ha adottato con delibera del consiglio comunale n. 32 del 20 febbraio 2018 e la Corte dei conti ha approvato il 20 dicembre 2022. Dunque nessun dubbio che l’emendamento darebbe ad Ignazio Abbate un solido appiglio nel tentare, come può sempre fare qualunque mentitore privo di freni e di scrupoli, di respingere le accuse di dolo. Egli, indifendibile nella sostanza, vedrebbe qualche concreto spiraglio grazie alla nuova norma così formulata, in vigenza della quale non si potrebbe escludere del tutto che egli potesse avere buon gioco nei luoghi formali della giurisdizione dove la verità giudizialmente accertabile spesso è cosa diversa da quella, pur conclamata e d’incontrovertibile evidenza logica e sostanziale – sotto gli occhi di tutti e Abbate per primo la conosce bene –  dei suoi atti malestrui compiuti per bulimia di potere personale in danno di una città che, incredibilmente, lo ha sostenuto per così tanto tempo.

L’emendamento in questione è stato all’esame, in sede referente, della prima Commissione permanente del Senato (Affari costituzionali, affari della Presidenza del Consiglio e dell’Interno, ordinamento generale dello Stato e della Pubblica Amministrazione, editoria, digitalizzazione).

Abbiamo visto che esso, se approvato, salverebbe Abbate, così come salverebbe gli amministratori (quindi sindaci, presidenti di provincia, assessori, commissari straordinari) dichiarati responsabili di dissesto – o suscettibili di esserlo – per atti compiuti nei cinque anni precedenti. Quello che abbiamo analizzato è il testo prescelto dagli aspiranti emendatori i quali scrivono: <<…”dopo le parole ‘colpa grave’ sono aggiunte le seguenti” … “… ad eccezione…>> ma la dizione ‘colpa grave’ esiste letteralmente solo nella prima versione dell’art. 248 del Tuel del 2011 contenente il limite dei cinque anni ai fini dell’imputabilità dei danni cagionati fonte della responsabilità colpita da misura interdittiva. I proponenti innestano erroneamente la proposta emendativa su un punto letterale non più esistente, ma all’occorrenza prevarrebbe l’interpretazione logico-sostanziale: il limite dei cinque anni non c’è più, cancellato nel 2012 da una norma che ha modificato il testo introdotto l’anno prima e che alle parole ‘dolo o colpa grave’ ha sostituito “condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive”. In ogni caso l’intenzione riformatrice è chiara e chiarissime ne sono le finalità.

Quanti saranno gli amministratori interessati? Lo vedremo tra poco affidandoci ai dati disponibili e ad ogni indizio utile, ma intanto conviene scoprire chi ha piazzato questo emendamento così deflagrante lungo il percorso del decreto milleproroghe.

In effetti l’emendamento è uno e trino, nel senso che ne sono stati presentati ben tre, identici anche nelle virgole: ognuno è il copiato dell’altro o, più probabilmente, ognuno è il copiato di una velina suggerita da altri, come vedremo.

In Senato stop all’emendamento ma conviene capire a che gioco giochi il Pd tra la lobby dell’Anci, il partito dei sindaci, intrecci allarmanti e manovre parlamentari fuori dai riflettori. Ecco chi sono i proponenti e cosa si muove con loro

Il primo dei tre emendamenti in fotocopia ad essere presentato porta la firma di otto senatori del Partito democratico (Parrini, Manca, Giorgis, Lorenzin, Meloni, Misiani, Nicita, Valente), il secondo quella di due senatori di Forza Italia (Ternullo, Paroli), il terzo di un senatore di Azione (Lombardo). Il suggeritore invece è l’Anci, l’Associazione nazionale comuni d’Italia nella quale è proprio il Pd il partito nettamente più forte e che al suo interno conta di più avendo nel proprio seno il più alto numero di sindaci e di titolari di cariche cui spetti l’accesso agli organismi dirigenti.

L’Anci, che vanta 124 anni di storia e associa 7.134 comuni su 7.904 pari al 94,7 della popolazione, dal 20 novembre scorso è guidata dal sindaco di Napoli Gaetano Manfredi mentre fra i 38 componenti dell’ufficio di presidenza, dei quali 14 sono anche vice presidenti, troviamo un solo siciliano: Ignazio Messina, presidente del consiglio comunale di Sciacca, di ‘Noi moderati’, la formazione che in Sicilia è affiliata alla Dc di Totò Cuffaro.

Per la cronaca Messina è stato fondatore de La Rete di Leoluca Orlando nel 1991, sindaco di Sciacca nel ’93; rieletto con Rifondazione comunista nel ’97, passato nel ’98 all’Italia dei valori di Antonio di Pietro e sfiduciato due anni prima di concludere il mandato; ancora candidato a sindaco nel 2004 con Verdi e Rifondazione comunista ma, escluso dal ballottaggio, passa al centro destra e apparenta la propria lista con il candidato di Forza Italia risultando decisivo per l’elezione di questi la quale gli frutta la poltrona di vice presidente del consiglio comunale; nel 2008 è eletto con l’Italia dei valori deputato alla Camera e il 30 giugno 2013, dopo l’abbandono di Di Pietro, ne diviene segretario, carica che non gli impedisce nel 2022 di candidarsi ancora a sindaco di Sciacca, questa volta con Lega e FdI. Errori nel verbale di uno scrutinio lo danno per eletto al primo turno ma presto si scopre l’imbroglio e, ripristinati i numeri corretti, va al ballottaggio: è sconfitto ma diventa presidente del consiglio comunale, carica che sa … mettere in valore divenendo l’unico siciliano nella tolda di comando dell’Anci che pure contiene ben 38 postazioni di vertice. Oggi Messina è, contemporaneamente, segretario di Italia dei Valori (un guscio vuoto ma pur sempre una sigla all’occorrenza utile nel mercato dei simboli dentro e fuori il Parlamento) nonché portavoce di ‘Noi moderati’, il partito centrista di Maurizio Lupi in Sicilia a fianco della Dc di Cuffaro.

Se nessun siciliano, oltre a Ignazio Messina, figura nel board dell’Anci, è invece siciliana, di Catania, la potente segretaria generale, Veronica Nicotra, figura non elettiva ma ruolo di carriera professionale peraltro mai assunto prima da una donna. La super-burocrate dell’Anci è figlia di Benedetto Vincenzo Nicotra di Lentini, deputato Dc alla Camera dal 1987 al ’92.

E’ stata proprio l’Anci a concepire l’emendamento e a farne oggetto di lobbing in Parlamento: il primo partito a rispondere, peraltro in forze e con figure non secondarie come vedremo tra poco, è stato proprio il Pd. Ecco come l’Associazione dei Comuni spiega la pretesa di chiudere un occhio su sindaci, presidenti di provincia e amministratori vari responsabili di dissesto consentendo loro di continuare a candidarsi e magari a dissestare ancora i conti degli enti, gli stessi o altri: <<La norma, anche nelle more di una revisione della disciplina prevista nella bozza di legge delega del Governo in materia – spiega l’Anci – serve a circoscrivere la sanzione sproporzionata oggi prevista dal Tuel, con una deroga per i soli amministratori che, in assenza di dolo, abbiano adottato un piano di riequilibrio economico finanziario approvato dalla Corte dei conti>>.

A giudicare dalle firme sembra che il Pd abbia fatto del proprio meglio per sostenere con convinzione la norma.

Dario Parrini, senatore toscano alla terza legislatura, è vice presidente della Commissione Affari costituzionali; Daniele Manca, emiliano, è segretario della commissione parlamentare per le questioni regionali, nonché membro delle commissioni bilancio, di quella per la vigilanza sull’anagrafe tributaria e di quella per l’attuazione per il federalismo fiscale; Andrea Giorgis, piemontese, professore di diritto costituzionale, è componente della commissione Affari costituzionali e di quella per la semplificazione, materia nella quale rientrano i provvedimenti che nel tempo intrecciano proroghe e scadenze, pretesto del colpo di spugna; Beatrice Lorenzin, ex ministra berlusconiana della Salute poi passata al Nuovo centrodestra di Angelino Alfano e quindi al Pd, è vice presidente del gruppo parlamentare; Marco Meloni, avvocato sardo, è membro della commissioni Affari costituzionali; Antonio Misiani, lombardo, alla quinta legislatura, è vice presidente della commissione Bilancio e figura di punta nel partito come membro della segreteria nazionale con delega nei settori Economia, finanze, imprese e infrastrutture; Valeria Valente, avvocata napoletana eletta in Puglia, al terzo mandato parlamentare, siede in commissione Affari costituzionali; infine Antonio Nicita, siciliano di Siracusa, è vice presidente del gruppo parlamentare Pd, al suo primo mandato parlamentare ma già commissario dell’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, eletto dalla Camera dei deputati per il quinquennio 2014-2019: è figlio dell’ex presidente della Regione Santi Nicita – Dc, in carica sei mesi a palazzo d’Orléans da ottobre 1983 a marzo ’84 – nonchè cugino di Stefania Prestigiacomo deputata berlusconiana per 28 anni di seguito dal 1994 al 2022, nonchè ministra per quasi nove anni, alle Pari opportunità dal 2001 al 2006 e all’Ambiente da maggio 2008 a novembre 2011.

Secondo il ‘partito dei sindaci’ l’incandidabilità per dieci anni dei sindaci medesimi riconosciuti responsabili di dissesto (misura interdittiva introdotta nel 2011 in tempi di emergenza finanziaria e di necessità di rigore nella tenuta dei conti pubblici) è ‘sproporzionata’ e va eliminata: il che equivale alla naturale pretesa di un’associazione di rapinatori di eliminare il reato di rapina o, almeno, cancellare o alleviare la misura interdittiva per codesti rapinatori del divieto di avvicinarsi ai luoghi simili, o provvisti di ‘tentazioni’ analoghe, a quelli in cui sono stati riconosciuti responsabili di rapina. Insomma il Daspo va bene per i tifosi che disturbano allo stadio ma non per i sindaci e gli amministratori che portano al dissesto comuni e province.

Come il Pd guidato da Elly Schlein, per le cose che fa e dice, possa sostenere questa linea o anche solo avere permesso un siffatto emendamento appare incomprensibile.

Per completezza di cronaca gli altri tre firmatari sono Marco Lombardo, docente universitario calabrese nato a Locri e residente a Bologna, eletto con Azione, segretario della presidenza del Senato, e due forzisti: Daniela Ternullo, subentrata in Senato a gennaio ’23 a Gianfranco Miccichè, segretaria della presidenza di palazzo Madama e componente della commissione Affari costituzionali; Adriano Paroli, avvocato bresciano al sesto mandato parlamentare, vice presidente vicario del gruppo Fi.

Ternullo, oltre a Nicita del Pd, siracusana come lui è l’unica firma siciliana, sul totale di 11, in calce all’emendamento nelle sue tre versioni-fotocopia. Subentrata a palazzo Madama proprio a Miccichè per effetto della sua opzione all’Assemblea regionale siciliana dopo la doppia elezione il 25 settembre 2022 a Palermo e a Roma, la senatrice ha nel proprio staff Giancarlo Migliorisi, ex politico ragusano e da decenni titolare di incarichi dirigenziali in organi istituzionali su nomina fiduciaria ad personam di Gianfranco Miccichè. Ad aprile 2023 le cronache hanno dovuto occuparsene in quanto, nell’ambito di un’inchiesta per truffa e peculato nei confronti di Miccichè, è emerso che Migliorisi con l’auto blu dell’Assemblea regionale siciliana e relativo autista andava ad acquistare dosi di droga da uno spacciatore poi arrestato. Indotto a dimettersi dal presidente dell’Ars Gaetano Galvagno, nel cui ufficio di presidenza lavorava ‘in quota-Miccichè’, Migliorisi è stato poi prontamente assunto dalla neo senatrice siracusana negli uffici del Senato della Repubblica.

Tutto ciò che c’è da sapere sulla norma che protegge i cittadini da amministratori senza scrupoli come la banda Abbate-Ficano-Monisteri e sull’emendamento del Pd che l’avrebbe salvata. Il caso Enzo Bianco a Catania per il dissesto del 2018 

Tornando al merito della norma e agli effetti che, se approvata, essa dispiegherebbe, a parte le situazioni future, nella realtà attuale appare molto ristretto l’ambito interessato: pochissimi i casi in quanto la nuova norma agirebbe soltanto su quelli aperti e nel contempo concernenti enti in dissesto in virtù di una dichiarazione intervenuta in tempi necessariamente molto recenti per delibera del consiglio, comunale o provinciale, o per atto di commissario nominato dal prefetto, in quanto il giudizio di responsabilità della Corte dei conti è molto rapido, almeno nel primo pronunciamento immediatamente esecutivo, come dimostra la giurisprudenza relativa all’applicazione della norma, sull’incandidabilità e sull’interdizione all’accesso a varie cariche per dieci anni, che l’emendamento vuole modificare.

Veramente pochi i casi attuali aperti che ricadrebbero nel prevedibile ambito d’applicazione. Se prendiamo le dichiarazioni di dissesto intervenute nell’ultimo biennio, dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2024, esse sono, in tutta Italia, 56. Ma se consideriamo i tempi del giudizio di responsabilità conviene tenere presenti solo quelle del 2024 che sono 27, di cui 11 in Sicilia. Di tali 11 comuni siciliani che nel 2024 hanno dichiarato lo stato di dissesto il maggiore è Licata con 34 mila abitanti, seguono Villabate con 19 mila, Scordia con 16 mila, Campobello di Mazara e Melfi con 11 mila.  Gli altri sono minuscoli, fino a Roccella Valdemone che ha 500 abitanti. E’ tutta qui, oltre al Comune di Modica, l’area siciliana d’interesse al colpo di spugna sull’incandidabilità. Anche tra i 16 casi fuori dalla Sicilia la situazione non è diversa: il Comune più grande è Lusciano, in provincia di Caserta, 16 mila abitanti; segue Cetraro nel Cosentino con 9 mila, Stornara nel Foggiano con 5 mila, due comuni hanno 3 mila residenti e gli altri meno, fino ai 59 di Rondanina in provincia di Genova.

E se anche volessimo andare indietro al 2023 troveremmo Gela, 70 mila abitanti, Chieti 48 mila, Barcellona Pozzo di Gotto 39 mila, Mazzarino 10 mila, Santa Venerina e Chiaramonte Gulfi 8 mila e poi centri minuscoli. A Chiaramonte Gulfi il cui dissesto è stato dichiarato il 15 settembre 2023 non risultano ancora accertati i responsabili ma c’è da dire che qui la dichiarazione è stata oggetto di un intenso e prolungato contenzioso. E in ogni caso, se volessimo, ad abundantiam, volgere lo sguardo indietro all’ultimo quinquennio, il numero totale dei dissesti attivati in Italia è di 137, con meno di dieci comuni al di sopra dei 15 mila abitanti, mentre il totale dei casi ancora aperti (non per l’accertamento dei responsabili ma per il riequilibrio in corso) è di 212, anche in questo caso con pochissimi enti di un certo peso ed il resto di minuscole dimensioni rispetto alle quali Modica riveste un ruolo di primissimo piano. E comunque non bisogna dimenticare che quelli per i quali è ancora sub iudice il giudizio di responsabilità della magistratura contabile sono pochissimi e Modica ha un rilievo nettamente preminente.

La città in assoluto più importante incappata nel dissesto nei 36 anni di vigenza della legge che lo disciplina è Catania, con dichiarazione il 12 dicembre 2018, sei mesi dopo l’insediamento del sindaco di centrodestra Salvo Pogliese: a subirne l’incandidabilità è stato l’ex sindaco Enzo Bianco in carica dal 2013 al 2018, condannato anche al risarcimento del danno dalla Corte dei conti, in primo grado il 15 settembre 2020 e in appello il 31 marzo ’23, assolto poi in Cassazione il 14 maggio 2024. Per tale ragione l’ex ministro dell’Interno ed ex presidente dell’Anci, a maggio 2023 non potè candidarsi al Comune di Catania nelle elezioni vinte da Enrico Trantino di Fratelli d’Italia, lo stesso giorno in cui a Modica trionfava Monisteri. Per tutti gli assessori della sua giunta scattò il divieto di ricoprire <<la carica di assessore comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici>>: è una delle tre misure interdittive differenziate, dettate dall’art. 248 del Tuel che vedremo di seguito in dettaglio.

La cosa singolare, perfino surreale, è che Bianco, escluso dalle liste e poi comunque totalmente assolto in Cassazione (la riabilitazione varrà per le prossime elezioni!) era stato il sindaco capace di risanare i conti disastrati ricevuti in eredità nel 2013 dall’amministrazione di Raffaele Stancanelli (oggi FdI, allora Lega e ancora prima An-Pdl) e da quelle precedenti di Umberto Scapagnini (Fi) ma tentò in tutti i modi di evitare il dissesto e quando questo fu dichiarato sei mesi dopo il ritorno del centrodestra alla guida della città con Pogliese (FdI) i cinque anni precedenti nei quali rintracciare i responsabili, non potendo andare indietro fino a Stancanelli, per i magistrati contabili furono quelli della giunta-Bianco. In questo caso fu un errore di giudizio, anche per eccesso di giurisdizione, come sancito dalla Corte di Cassazione: tutte le colpe del dissesto stavano nei predecessori. Situazione completamente diversa a Modica dove il quinquennio che precede la dichiarazione di dissesto incrocia i 20 mesi di amministrazione-Monisteri, i dodici di gestione commissariale Ficano e due anni e mezzo, 29 mesi per l’esattezza, dell’Abbate-bis, oltre alle cinque settimane d’intermezzo della reggenza del vice Rosario Viola dopo la decadenza di Abbate e prima dell’insediamento di Ficano. In ogni caso, nell’ordinamento vigente (emendamenti sempre in agguato, permettendo!), non c’è poi il limite dei cinque anni e la ricerca delle responsabilità non ha confini temporali.

Per capire in quale direzione l’emendamento, se mai fosse approvato, dispiegherebbe i suoi effetti, risultano in dissesto (dati 2024), e con il rendiconto della gestione ancora da approvare da parte degli organismi straordinari di liquidazione, 212 comuni e 2 province, Siracusa e Ascoli Piceno. Alla stessa data sono in procedura di riequilibrio finanziario 278 comuni, 6 province (Alessandria, Catanzaro, La Spezia, Salerno, Verbano-Cusio-Ossola, Vibo Valentia) e 1 città metropolitana, Catania.

Non sappiamo perché l’Anci, al quindicesimo anno di vigore della norma che applica ai sindaci responsabili di dissesto la misura dell’incandidabilità per dieci anni e agli amministratori analoga interdizione ad una serie di cariche, la trovi oggi ‘sproporzionata’ e voglia graziarli, dal momento che la prova del dolo, dentro le aule di giustizia e non secondo i comuni istintivi naturali parametri di onestà dei cittadini per bene, può risultare difficile. Del resto, perché alla coscienza di ethos politico di questo drappello di senatori del Pd non dovrebbe bastare la ‘colpa grave’ per allontanare i responsabili del dissesto dai luoghi in cui hanno già dimostrato di essere un pericolo per l’erario pubblico?

Non potendo rispondere con certezza alla domanda ‘perché adesso?’, si può pensare che l’emendamento guardi al futuro e negli intenti dei proponenti rappresenti uno scudo generale per tutti i sindaci e gli amministratori che il Pd ritiene debbano continuare a candidarsi anche dopo che sia stata accertata la loro diretta responsabilità nel dissesto degli enti amministrati.

Certo è però che la norma sembra scritta su misura per la situazione di Abbate e Monisteri. Entro il 25 febbraio la conversione del decreto milleproroghe sarà legge e, se mai venisse approvata, evenienza comunque da escludere per le ragioni spiegate, la norma proposta con l’emendamento citato sarebbe stata subito operativa. In tempo perché la Corte dei conti, a cui entro cinque giorni la sindaca Monisteri ha dovuto inviare la delibera del consiglio comunale del 30 gennaio, dovesse applicarla nel giudizio di accertamento dei responsabili.

Tragicommedia in casa Pd sulla norma salva-Abbate. Iniziativa di otto senatori o posizione di partito? Interpellati personalmente da In Sicilia Report non sanno che dire i dirigenti nazionali Furfaro (vittima in tv del ‘Bau Bau’ di Montaruli, pregiudicata, FdI) e Provenzano, il proponente Nicita e nemmeno Elly Schlein

Un’altra domanda senza risposta è cosa pensi il Pd di Modica. Abbiamo visto che non c’è Comune in Italia più importante ad avere interesse attuale alla nuova norma. Eppure, mentre dopo quasi dodici anni il ‘sistema Abbate’ è smascherato anche nei numeri e nelle modalità quale responsabile di una ‘bancarotta fraudolenta’ cui l’ex sindaco ha condotto l’ente con la complicità decisiva della dirigenza (Giampiero Bella e Maria Di Martino i due capi settore di più lungo corso, il primo dal 22 ottobre 2015 al 5 giugno 2023, la seconda proprio da questa data che è la stessa dell’insediamento della sindaca Monisteri) il Pd sembra non abbia né voce né parole da dire sul blitz parlamentare che pure, per le ragioni a questo punto ben chiare, dovrebbe conoscere più di ogni altro partito e della stessa maggioranza di governo alla quale, tra i firmatari, sono riconducibili solo due senatori di Fi.

Non ne ha – di voce e di parole da dire – né a Roma, né in Sicilia nè, in particolare, nella città più interessata d’Italia, Modica. Qui silenzio, sul nodo-emendamento, da parte degli organismi locali del Pd i quali proprio ieri, 14 febbraio,  hanno sentito il bisogno di assicurare di non essere disponibili ad entrare nella giunta in allestimento ‘Monisteri-bis‘: c’è da tenerne conto, rispetto allo scenario descritto all’inizio di questo articolo, e ovviamente ci sarà da seguirne gli sviluppi anche in riferimento alle future posizioni in consiglio sugli atti del nuovo esecutivo.

Il Pd dunque silente a Modica, silente a Palermo e silente anche a Roma dove l’emendamento porta le sue impronte, ben chiare e ben più forti di quelle di Fi o di Azione.

Perciò appena l’emendamento irrompe a palazzo Madama pongo, personalmente e de visu,  una precisa domanda (‘la posizione degli otto senatori è quella del partito?’) ad alcuni dirigenti nazionali. Marco Furfaro, vicinissimo ad Elly Schlein e nel nucleo fidato della segreteria centrale con delega alle Iniziative politiche nonchè al contrasto alle disuguaglianze e welfare, mi dice di non saperne niente, cade dalle nuvole e non nasconde di non avere alcuna voglia di occuparsene. Furfaro è il deputato la cui faccia, allibita, in questi giorni fa il giro del web per essere stato – mercoledì 5 febbraio, lo stesso giorno in cui lo incrocio a Montecitorio in Transatlantico e lo interpello sull’emendamento – ospite nel salotto Tv di Tagadà su La7, interrotto e costretto a non potere proseguire il suo intervento dal ‘bau bau‘ frenetico e incessante di Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia, pregiudicata per peculato in quanto condannata definitivamente a febbraio 2023 per i rimborsi illeciti nel consiglio regionale del Piemonte (tra le spese a scrocco, regali, oggetti vari, cene prive di finalità istituzionale ed il libro di letteratura erotica Sexploration) dimessasi dalla carica di sottotosegretaria all’Università e Ricerca nel governo-Meloni ma non da parlamentare. A Furfaro che le faceva presente la condanna, Montaruli con il suo bau bau ad alto volume molesto e petulante, ripetuto 28 volte, intendeva ricordare la storia dei 24 mila euro in contanti (48 banconote da 500) trovati nell’estate 2021 nella cuccia del cane da operai al lavoro durante i lavori di ristrutturazione della villa dell’allora senatrice Pd Monica Cirinnà (porta il suo nome la legge sulle unioni civili del 2016) e del marito Esterino Montino allora sindaco di Fiumicino, ex vice presidente della Regione Lazio, ex senatore Pd e dirgente di partito: vicenda senza reati ma con molte illazioni e qualche maldicenza.

In mancanza di risposte lo stesso giorno pongo la domanda, sempre de visu, a Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud e la coesione territoriale nel governo-Conte II, numero due del Pd con Enrico Letta, in atto deputato alla Camera e figura centrale nel gruppo che conta della segreteria-Schlein. Anche lui si mostra all’oscuro di tutto e non meno infastidito che gli si possa chiedere quale sia la posizione del partito: del resto come dare torto al deputato nisseno del minuscolo comune di Milena visto che le sue deleghe in via del Nazareno sono Esteri, Europa e Cooperazione internazionale? Rispetto a ciò cosa vuoi che sia il dissesto di comuni e province provocato da sindaci come il modicano, tutt’altro che modico, Ignazio Abbate?

Non mi resta perciò che chiedere direttamente a Elly Schlein. Lo faccio personalmente e la sua risposta, priva di ogni giudizio di merito, è di mero rimando a Parrini, il senatore primo firmatario. E’ il segno evidente che non capisce la domanda. Spiego quindi che il testo dell’emendamento mi è chiaro e non ho nulla da chiedere al suo proponente, mentre vorrei solo sapere se la posizione di Parrini e degli altri sette firmatari corrisponda o meno a quella del Pd: sul punto anche da Elly Schlein silenzio assoluto, con l’analoga sensazione che non ne sappia nulla ed anche che – almeno fino a futura prova contraria – non abbia alcuna voglia di occuparsene: vedremo.

Ergo l’unica posizione del Pd per il momento è quella scritta nell’emendamento, fin troppo chiaro. Per completezza devo riferire di avere interpellato per primo, quando la notizia appare con grande evidenza la mattina del 5 febbraio su Il Fatto quotidiano, Antonio Nicita, uno degli otto proponenti, l’unico siciliano come abbiamo visto. Anche da lui la risposta è di non saperne nulla come spesso accade a parlamentari che sottoscrivano testi in fiducia verso il primo firmatario e per adesione. Mi dice comunque che verificherà l’effetto che io gli segnalo, ovvero libertà ai sindaci responsabili di dissesto di potersi candidare ancora, in assenza di prova certa di dolo. Finora, dieci giorni dopo, anche da lui silenzio: evidentemente sta ancora verificando cosa abbia firmato!

Sull’emendamento, in primo piano sulla stampa nazionale, silenzio anche dal Pd di Modica che però in privato pare rassicuri i propri iscritti, allarmati e indignati, con la menzogna che esso non si sarebbe applicato al Comune di Modica

A Modica, la notizia dell’emendamento, pubblicata dalla stampa nazionale come abbiamo visto già mercoledì 5 febbraio – con un titolo, su Il Fatto, a tutta pagina in doppia riga ‘Colpo di spugna di Fi&Pd per i sindaci che dissestano’ – suscita la preoccupazione di iscritti cui sta a cuore la città e che ben conoscono il livello delle responsabilità di Abbate nel dissesto. Perciò, ci segnala uno di loro – un giovane ricercatore universitario con master in ‘Diritto pubblico, finanza e ordinamento degli enti territoriali’ – vengono chiesti lumi a dirigenti locali del partito e pare si sentano rispondere che l’emendamento non riguardi Abbate perché all’ente (da lui dissestato aggiungiamo noi) non sarebbe applicabile.

Ora, se veramente a Modica o in provincia di Ragusa esistesse un dirigente del Pd che abbia potuto dare tale risposta, essa, com’è di tutta evidenza, sarebbe una balla (abbiamo passato ai raggi x l’emendamento in questione) e non sfigurerebbe dinanzi alle tante raccontate da Abbate in quasi dodici anni. Però rispetto ad essa – la risposta del dirigente locale del Pd che rassicura: ‘tranquilli, non riguarda Modica, nè Abbate’ – il dubbio che si tratti solo di ignoranza crassa e di contestuale incapacità di intendere una realtà lampante non si può escludere del tutto. Diversamente l’affare si complicherebbe interpellando le categorie della disonestà e della mala fede e imporrebbe di partire da una domanda, in questo caso con riferimento a Modica: a che gioco gioca il Pd?

Con una nota del segretario locale Salvatore Poidomani, ieri il Pd ha interrotto un lungo silenzio frammisto ad un ambiguo balbettìo intermittente, tattico o attendista che fosse, mentre circolavano nomi di possibili assessori in quota Pd nel Monisteri-bis, balbettìo nel quale mai sono risuonate le parole più ovvie e sensate, di questo tipo: si dimettano sindaco, giunta e maggioranza consiliare responsabili del dissesto, nessun’alternativa a questa via obbligata, almeno secondo l’attuale minoranza; poi Monisteri e il suo entourage o chi per loro facciano ciò che vogliono e ne risponderanno.

Peraltro tempo fa il Pd lanciò una dichiarazione d’amore a Monisteri, dipinta come eroina combattente contro l’oppressivo ‘sistema-Abbate’ che lei era impegnata a scacciare dal Comune. Sembra incredibile ma va riletto il comunicato stampa dell’11 aprile 2024 contenente una dichiarazione del segretario Salvatore Poidomani che a suo tempo lascia perplesso Il Domani ibleo (qui l’articolo) cui non sfuggono ‘l’arringa difensiva’ pronunciata in favore della sindaca e dichiarazioni come <<è in corso una lotta. Un duro scontro sulla e per la legalità. Da una parte c’è Maria Monisteri, che si muove su un terreno piano e aperto. Trasparente. Dall’altra Abbate, abituato a guazzare nei campi tortuosi e fallosi>>: parola del segretario del Pd per il quale – annota il quotidiano – Maria Monisteri <<sarebbe vittima del sistema Abbate il quale si crede ancora il sindaco della città e pensa di poter fare e disfare con gli stessi metodi dei dieci anni precedenti>>

Stupefacente la scoperta, fatta da Poidomani oltre dieci mesi fa, della svolta operata dalla sindaca campionessa di legalità e buona amministrazione contro Abbate: <<Ma, per sua sfortuna e per fortuna della città, in questi pochi mesi – affermava l’esponente locale del Pd – sono sorti degli argini: i dirigenti e la sindaca. E quindi Abbate, non potendo manovrare a suo piacimento i dirigenti come ha fatto in passato con una buona parte dei funzionari, è arrivato ai ricatti politici. Non sostiene più la sindaca e, utilizzando i tiratori scelti, fa di tutto per sfiduciarla agli occhi dei cittadini. Con lui c’è una buona parte dei consiglieri comunali e quasi tutta la giunta: fedelissimi e fedelissime (e la solidarietà femminile?)…Insomma, un vero e proprio complotto contro la sindaca che sarebbe circondata da traditori, almeno così vengono descritti i componenti della Giunta, che sarebbero tutti con Abbate, messi li per ostacolare il lavoro del primo cittadino… Ma il Partito democratico se la prende anche con i consiglieri e dichiara: “sempre nell’ambito della maggioranza ci sono consiglieri che non si espongono, pur non condividendo il progetto di Abbate. Si nascondono. Per ignavia. Costoro, invece, dovrebbero manifestare apertamente e pubblicamente la solidarietà a Maria Monisteri, con uno scatto d’orgoglio e di responsabilità>>.

L’amore ‘visionario’ del Pd di Modica per la sindaca Monisteri, dipinta dieci mesi fa come campionessa di ‘trasparenza e di legalità’ vittima del complotto di Abbate: ma era impegnata a portare avanti volentieri falsi in bilancio e violazioni varie 

Per dovere di cronaca e di verità, va detto che fino al mese scorso non c’è mai stato un solo atto (il primo è la dichiarazione di dissesto del 30 gennaio 2025, preceduto di poche settimane dalla delibera di giunta che il 7 la propone) di discontinuità della sindaca rispetto alla decennale zavorra del proprio mentore Abbate alla quale si è sempre allacciata volentieri e della quale fino a gennaio ’25 ha riproposto e proseguito tutti i misfatti: naturalmente e coerentemente.

Non è stata lei, da assessora a trovarsi sempre d’accordo con Abbate per quattro anni? A servire e compiacere poi per un anno la commissaria Ficano fatta nominare da Abbate con i servigi di Silvio&Totò Cuffaro (il primo proprio ieri confermatissimo dirigente generale alle Finanze della Regione)? Ad assicurare che Abbate era stato per nove anni un sindaco eccellente e che lei a maggio 2023 chiedeva il voto alla città per completarne l’opera meravigliosa?

E quale sarebbe ad aprile ’24 la svolta dei dirigenti? Basta leggere l’articolo di In Sicilia Report del 19 dicembre 2024 con tutte le citazioni documentali del caso per capire come avessero operato fino a quel momento. Se vogliamo soffermarci sull’ambito più critico del settore finanziario, fino alla svolta del 15 novembre ’24 imposta dalla Corte dei conti che ne smascherava le menzogne, la dirigente Di Martino era impegnatissima ad avallare per conto della sindaca Monisteri le stesse falsità di bilancio costruite da Giampiero Bella per Abbate e da lei portate avanti e ribadite ancora per un anno e mezzo sotto la responsabilità politica della sindaca così cara dieci mesi fa al principale partito d’opposizione al punto che il suo segretario Poidomani, in un sincero moto di solidarietà, la vede ‘bersaglio di tiratori scelti’ e in pericolo perchè Abbate <<fa di tutto per sfiduciarla agli occhi dei cittadini>>.

Perciò Poidomani, preoccupato per le sorti politiche della sindaca e dell’amministrazione da lei guidata, allarmato, per conto e nell’interesse di Monisteri, che con Abbate ci sia <<una buona parte dei consiglieri comunali e quasi tutta la giunta: fedelissimi e fedelissime>> si chiede indignato <<e la solidarietà femminle?>>; quindi denuncia alla città <<un vero e proprio complotto contro la sindaca che sarebbe circondata da traditori, almeno così vengono descritti i componenti della Giunta, che sarebbero tutti con Abbate, messi li per ostacolare il lavoro del primo cittadino>>.

Il segretario del Pd ne ha anche per i consiglieri di maggiorannza che non prendono posizione a favore della sindaca (non si confondano lettori e lettrici di In Sicilia Report: non è la sindaca del Pd, è sempre Maria Monisteri, la sindaca fatta eleggere da Abbate, n.d.r.). Perciò li scova e li sfida: <<non si espongono, pur non condividendo il progetto di Abbate. Si nascondono. Per ignavia. Costoro, invece, dovrebbero manifestare apertamente e pubblicamente la solidarietà a Maria Monisteri, con uno scatto d’orgoglio e di responsabilità>>.

Illuminante anche la lettura che della dichiarazione di Poidomani fa Video Regione, emittente tv di proprietà della holding Minardo e parte della galassia affaristica che da oltre trent’anni ha impiantato solide basi nella politica siciliana e nella gestione della cosa pubblica. Per la testata giornalistica (qui) addirittura l’allarme lanciato da Poidomani svela un complotto contro la sindaca di Modica.

Ovvio che con quelle parole di Poidomani collimi pienamente il sogno Pd di un abbraccio a Monisteri, finalmente a gennaio ’25 svincolatasi da Abbate, sicchè quel sogno possa diventare progetto. Non sappiamo se nei silenzi e nei balbetii delle scorse settimane da parte del Pd, insieme alle voci sul toto-assessori di propria emanazione, si possano scorgere i segni della metamorfosi, del sogno in progetto: è molto probabile ed anche logico e verosimile ma a volte il desiderio deve fare i conti con la realtà e, al momento del dunque, con l’azzeramento della giunta-Monisteri giovedì 13 febbraio e l’apertura del cantiere per il Monisteri-bis, quel silenzio imbarazzante richiede una prova. Ed eccola nelle parole del segretario di ieri, 14 febbraio, con cui  il Pd smentisce le voci che lo vogliono alleato dell’amministrazione e assicura: <<non entrerà in giunta, non indicherà assessori, nè darà il beneplacito a quelli che saranno nominati dalla sindaca>>. C’è da prenderne atto in attesa degli eventi, magari sperando in qualche silenzio in meno e qualche azione in più a difesa della città anestetizzata e spolpata da dodici anni.

Intanto però, sul presente, due considerazioni finali s’impongono. La prima: il Pd rivendica una propria linea di chiarezza <<sin dal momento in cui il consiglio comunale ha deliberato il dissesto finanziario>>, ovvero da quindici giorni (tra silenzio e balbetii come abbiamo visto) sicchè prima…

La seconda: inoltre <<il partito, come ha sempre fatto negli ultimi anni, è determinato a svolgere un’opposizione seria, senza ambiguità, e nel contempo propositiva>>. Come ha sempre fatto negli ultimi anni? Anche ad aprile 2024 quando, concludendo quell’incredibile crociata pro-Monisteri, il Pd affermava che <<in questo scontro … perderanno i cittadini e la città>>? Quindi senza di quello scontro (che, quale che sia il momento in cui è cominciato, ha prodotto segni di divergenza negli atti di gestione del Comune solo a gennaio 2025), con Monisteri adagiata sugli interessi di Abbate, la città poteva continuare a vincere?

Nei giorni scorsi, emendamento a parte e prima di questa nota di ieri del segretario Poidomani, lo scenario è sembrato aprirsi su un orizzonte ancora incerto nel quale taluni vedevano il Pd marciare spedito con almeno un proprio assessore già designato in una nuova giunta-Monisteri in versione transformer a fianco della truppa di nove consiglieri emanazione politico-elettorale della famiglia-Minardo (nessun’altra sigla o denominazione di lista civica potrebbe meglio definirne l’identità); altri invece confidavano in un Pd finalmente dalla schiena dritta, lineare nel suo ruolo di alternativa al sistema-Abbate, sistema oggi divenuto ‘Abbate-Monisteri-Minardo’ come lucidamente indicato con nettezza fin dalla prima ora dall’appello di Piero Gugliotta e da altri cittadini di limpida coscienza democratica. L’ordine dei tre nomi si può declinare come si crede ma non v’è dubbio che il più pesante sia sempre quello del grande gruppo imprenditoriale con la ‘passione’ per la politica: infatti sempre aleggiante sulla città ed ora meglio riconoscibile nella gestione diretta del Comune.  Le speranze in un Pd dalla schiena dritta sono le stesse che vogliono il partito coerente con il corso, ormai quasi biennale, di Elly Sclhein (sorvoliamo sulla sua afonia in tema di emendamento) la quale cerca di fare quello che può, per esempio allontanando da sè in esilii dorati cacicchi e figure troppo a loro agio nella gestione di assetti e incrostati interessi materiali, ma molto meno nell’elaborazione di risposte politiche alla complessità di bisogni civili e sociali nella nuova società liquida.

Con il più irruente e ingombrante dei cacicchi, Vincenzo De Luca, Elly avrà vita dura ma forse la quasi certa rottura sul terzo mandato le verrà in soccorso, e così accadrà probabilmente anche con Michele Emiliano, ma intanto, proprio colonnelli o ex di primo piano dell’Anci hanno avuto a giugno scorso il foglio di via per Strasburgo e Bruxelles, perché potessero disturbare il meno possibile: da Stefano Bonaccini a Nicola Zingaretti, da Matteo Ricci a Dario Nardella, da Giorgio Gori a mister mezzo milione di preferenze in una sola circoscrizione Antonio De Caro, ultimo capo dell’Anci prima del neo eletto Gaetano Manfredi, sindaco di Napoli. Che poi Schlein riesca a dare voce e corpo ad un’alternativa al governo-Meloni, il più lontano dalla Costituzione in 77 anni di storia e perciò un pericolo grave e sempre incombente per la nostra fragile e malmessa democrazia, è scommessa azzardata e i segnali incoraggianti sono pochi o nulli.

Ecco perchè l’emendamento Pd avrebbe potuto salvare, almeno dall’incandidabilità per dieci anni, i responsabili del dissesto. La genesi del debito, il piano di riequilibrio cambiato sei volte e le delibere della Corte dei conti

Peraltro proprio il Pd di Modica si era spellato le mani per Elly Schlein, vincitrice nei gazebo su Bonaccini con il 53,7% (prima in 12 regioni su 20, in pratica tutto il centro nord, Lazio compreso ed Emilia Romagna esclusa e, per il resto, solo in Sicilia) ma, pur vincente nell’isola, battuta in provincia di Ragusa, con l’eccezione dei comuni di Santa Croce Camerina, Ispica, Scicli e, appunto, Modica.

Seguirono parole di giubilo di vari ras di partito per la straordinaria novità, dal segretario regionale Anthony Barbagallo ai dirigenti locali nella città della Contea con parole d’ordine come cambiamento, rigenerazione, bisogno di sinistra, partecipazione democratica partendo dai giovani under ’30, alternativa alla giunta Abbate. Del resto proprio il numero uno del Pd in Sicilia Barbagallo viene dal centrodestra: nell’Udc dal 2002, sindaco di Pedara dal 2005 al 2010 eletto in una coalizione di centrodestra, poi passato al centrosinistra, quindi assessore regionale nella giunta-Crocetta, dal 2020 segretario regionale Pd e nel 2023 fan di Schlein. E da fan della segretaria eletta nei gazebo dopo essere stata sconfitta da Bonaccini dentro il partito nelle primarie di due anni fa, il numero uno del Pd in Sicilia Barbagallo è impegnato da mesi in uno scontro interno all’arma bianca contro l’area Bonaccini, tra minacce insulti e carte bollate, per escludere – proprio lui, sostenitore di Schlein – i gazebo aperti a tutti, ed imporre la via unica del voto degli iscritti nel congresso regionale nel quale egli punta alla riconferma.

Tornando a Modica, molti hanno temuto sul serio, almeno fino alla nota del Pd di ieri,  che il partito stesse andando a braccetto in giunta (o comunque assicurasse piani di morbidezza in consiglio all’amata sindaca e questo rimane un capitolo aperto) con il cascame di Abbate e la propria protesi impiantata a palazzo San Domenico a maggio 2023 e rimasta tale fino alla dichiarazione di dissesto (dove sarebbero, prima, gli atti di discontinuità?) nonché con la truppa consiliare emanazione della lobby Minardo eletta in liste a supporto di Abbate-Monisteri: qualcosa di impossibile da credersi ma fino a ieri tutt’altro che evenienza campata in aria.

Peraltro i cattivi pensieri sul conto del Pd viaggiavano insieme alla presa d’atto che qualche suo dirigente locale riuscisse ad assicurare ai propri iscritti, allarmati e indignati, che l’emendamento in questione non valesse per il Comune di Modica e per Abbate-Monisteri.

Abbiamo chiarito ciò che in effetti era già chiarissimo ad una semplice lettura immediata – elementare ed univoca – ma, per doverosa risposta alla domanda specifica postaci dal giovane ricercatore universitario (uno degli under 30 cui il Pd di Modica ha dedicato la vittoria di Elly Schlein) abbiamo voluto eccedere nella precisione esegetica, formale e logico-sostanziale, dell’emendamento. Del resto, basta leggere o anche solo dare uno sguardo ai tanti documenti risalenti al Piano di riequilibrio finanziario pluriennale del 2012, soprattutto quelli prodotti dalla Corte dei conti, ben più affidabili di certe cialtronate burocratiche partorite da Giampiero Bella prima e Maria Di Martino dopo, ‘scambisti’ in giochi di ruolo al fine di moltiplicazione del rispettvo potere personale sull’asse Modica-Acate come documentato da In Sicilia Report (alla fine gli articoli precedenti) per non avere dubbi sull’applicabilità naturale, ed anzi necessaria e ineludibile della norma al Comune di Modica: tanto è preciso il vestito dell’emendamento sul corpo di Abbate, il quale con ogni probabilità lo indosserebbe subito come abito da cerimonia per festeggiare. Stesso discorso vale per Monisteri in riferimento ai venti mesi di carica precedenti la dichiarazione di dissesto.

La Corte dei conti ha emesso nove deliberazioni sulla genesi del Prfp, quello consegnato nel 2013 dal sindaco Antonello Buscema al successore Abbate con annesso portafoglio di 64 milioni, sufficienti per azzerare il debito accertato, perché ne facesse buon uso e, con lineare semplicità, rispettando le norme, portasse velocemente il Comune fuori da tutti i problemi finanziari pregressi. Cosa abbia invece fatto Abbate è ben noto a lettori e lettrici di In Sicilia Report e la Corte dei conti lo sancisce nelle nove deliberazioni che scandiscono l’evoluzione di quel piano: l’amministrazione Abbate lo ha cambiato sei volte, rimodulandolo in ultimo il 9 gennaio 2018 e, con la delibera del 20 febbraio 2018, estendendolo a 15 anni e quindi facendolo diventare un piano da calare nei quindici esercizi finanziari 2013-2027 (la stessa Corte deve rilevare che chi emana le delibere a palazzo San Domenico non sa neanche contare perché questo piano spesso è denominato, fin nella copertina copyright Giampiero Bella, ‘2013-2028’).

Il piano, modificato nel contenuto il 14-7-2013, il 24-1-14, il 1-9-14, il 28-12-16, il 30-5-17, il 20-2-18 e variamente rimodulato, tecnicamente è il piano del Comune di Modica, appunto adottato dall’ente nella rimodulazione finale il 20-2-2018 e in ultimo approvato dalla Corte dei conti (magistrato relatore Massimo Giuseppe Urso, presidente Salvatore Pilato) nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022 e depositato il 10 gennaio 2023. Quindi Abbate e Monisteri rientrano perfettamente sotto l’ombrello aperto dall’emendamento: stessa cosa vale per Domenica Ficano. La prima adozione era avvenuta il 31 ottobre 2012 con approvazione della Corte dei conti il 30 dicembre dello stesso anno, in tempo perché già con l’esercizio 2013 e con in cassa tutti i soldi per azzerare i debiti accertati l’ente potesse cominciare una vita nuova.

Proprio nella delibera citata la Corte dei conti <<rammenta agli Organi di governo e di vertice dell’Ente (non solo quindi sindaco e giunta, ma anche la dirigenza investita di specifiche e autonome funzioni fonte di diretta e correlativa responsabilità, n.d.r.) quanto più volte sancito dalla giurisprudenza amministrativa e contabile in ordine al fatto che “il ricorso alla procedura di riequilibrio non può rivelarsi un artificioso escamotage con il quale si evita la dichiarazione di dissesto, protraendosi indebitamente, nella quale già sussistono i presupposti richiesti dal legislatore”…>>.

Pertanto <<il Collegio ammonisce che è dovere dell’amministrazione e della dirigenza dell’ente locale (ancora un doppio richiamo nelle due distinte direzioni, n.d.r.)….. La Sezione procederà a una rigorosa verifica degli impegni assunti e del rispetto delle prescrizioni contenute nella presente deliberazione nell’ambito del monitoraggio semestrale, volto a verificare l’attuazione del piano di riequilibrio ed il conseguimento degli obiettivi intermedi relativi alle singole annualità del piano stesso… Si rammenta che il reiterato e grave mancato rispetto di tali obiettivi, accertato da questa Sezione ai sensi del comma 7 dell’art. 243-quater del Tuel, determina l’applicazione dell’art. 6, c. 2, del d.lgs. n. 149/2011 e la conseguente dichiarazione dello stato di dissesto, con le conseguenti responsabilità previste dall’ordinamento…>>.

E’ proprio questa la norma che il famigerato emendamento punta a modificare restringendo il campo applicativo delle sanzioni: <<…ad eccezione degli amministratori che, in assenza di dolo, abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale ai sensi…>>.

Il testo finale, nel caso di approvazione dell’emendamento ormai da escludere almeno nel ‘milleproroghe’, sarebbe questo: <<… gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto responsabili, anche in primo grado, di danni cagionati con dolo o colpa grave, ad eccezione degli amministratori che in assenza di dolo abbiano adottato un piano di riequilibrio finanziario pluriennale, nei cinque anni precedenti il verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati, ove la Corte, valutate le circostanze e le cause che hanno determinato il dissesto, accerti che questo è diretta conseguenza delle azioni od omissioni per le quali l’amministratore è stato riconosciuto responsabile. I sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili ai sensi del periodo precedente, inoltre, non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di Giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del Parlamento e del Parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell’attività del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata. La Corte dei conti trasmette l’esito dell’accertamento anche all’ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all’eventuale avvio di procedimenti disciplinari>>. Abbiamo per verità formale riportato questa versione testuale, frutto però di un errore dei proponenti perchè il limite dei cinque anni, agganciato al testo originario dell’art. 248 del Tuel, 5° comma introdotto nel 2011 e contenente le parole ‘dolo o colpa grave’,  non vige più nel nostro ordinamento, cancellato nel 2012.

Insomma Abbate è responsabile del dissesto nonché di “danni cagionati …” (in proposito aspettiamo il verdetto della magistratura contabile la quale tuttavia lo ha già scritto in tutte le lingue), il Comune da lui amministrato ha adottato un Prfp approvato dalla Corte dei conti, sicché il colpo di spugna sull’incandidabilità (fatta salva la prova del dolo) in caso di approvazione dell’emendamento varrebbe anche per lui, anzi, soprattutto per lui.

Abbiamo già visto nell’articolo precedente del 19 dicembre scorso (qui) il complesso delle norme che dispiegano sanzioni e/o misure interdittive in varie direzioni: in quella degli amministratori riconosciuti responsabili (quindi non solo sindaci e presidenti di provincia ma anche assessori e commissari straordinari); quella, specifica e aggiuntiva, di sindaci e presidenti di provincia; quella dei componenti il collegio dei revisori.

In primo luogo gli amministratori responsabili, quindi sindaci, assessori e commissari dichiarati tali: <<gli amministratori che la Corte dei conti ha riconosciuto, anche in primo grado, responsabili di aver contribuito con condotte, dolose o gravemente colpose, sia omissive che commissive, al verificarsi del dissesto finanziario, non possono ricoprire, per un periodo di dieci anni, incarichi di assessore, di revisore dei conti di enti locali e di rappresentante di enti locali presso altri enti, istituzioni ed organismi pubblici e privati>>.

In secondo luogo, e nuovamente, i sindaci e i presidenti di provincia i quali, se dichiarati responsabili <<non sono candidabili, per un periodo di dieci anni, alle cariche di sindaco, di presidente di provincia, di presidente di giunta regionale, nonché di membro dei consigli comunali, dei consigli provinciali, delle assemblee e dei consigli regionali, del parlamento e del parlamento europeo. Non possono altresì ricoprire per un periodo di tempo di dieci anni la carica di assessore comunale, provinciale o regionale né alcuna carica in enti vigilati o partecipati da enti pubblici. Ai medesimi soggetti, ove riconosciuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione…>>.

In terzo luogo i componenti il collegio dei revisori: <<qualora, a seguito della dichiarazione di dissesto, la Corte dei conti accerti gravi responsabilità nello svolgimento dell’attività del collegio dei revisori, o ritardata o mancata comunicazione, secondo le normative vigenti, delle informazioni, i componenti del collegio riconosciuti responsabili in sede di giudizio della predetta Corte non possono essere nominati nel collegio dei revisori degli enti locali e degli enti ed organismi agli stessi riconducibili fino a dieci anni, in funzione della gravità accertata. La Corte dei conti trasmette l’esito dell’accertamento anche all’ordine professionale di appartenenza dei revisori per valutazioni inerenti all’eventuale avvio di procedimenti disciplinari, nonché al Ministero dell’interno per la conseguente sospensione dall’elenco di cui all’articolo 16, comma 25, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. Ai medesimi soggetti, ove ritenuti responsabili, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione>>.

Insomma nella normativa vigente abbiamo tre gruppi di soggetti cui sono destinate sanzioni e misure interdittive. L’emendamento, cucinato dal partito dei sindaci (l’Anci) interviene su quelle dirette specificamente solo ad uno dei tre gruppi, proprio quello dei sindaci, per salvare i sindaci medesimi i quali in questo modo si fanno la legge ad personas, peraltro portata a spalle dentro il Parlamento da quello che dovrebbe essere il principale partito d’opposizione a questo governo segnalatosi per perseguitare i cittadini e favorire i potenti, per criminalizzare il legittimo dissenso democratico, per accentuare nel nostro ordinamento i tratti propri di una giustizia classista, per rendere più difficili le indagini sui reati dei colletti bianchi, in qualche caso cancellandoli come l’abuso d’ufficio che è il delitto più odioso del quale possano risultare vittime cittadini indifesi: l’abuso d’ufficio è abuso di potere commesso con gli strumenti dell’ufficio che invece dovrebbe tutelare l’interesse collettivo in quanto pubblica amministrazione che la Costituzione impone imparziale.

Peraltro proprio dall’Anci, storicamente a guida Pd o comunque progressista nella cosiddetta ‘seconda Repubblica’, da tempo si levavano (Matteo Ricci allora sindaco di Pesaro, Antonio Decaro, Bari) voci a sostegno della cancellazione del reato di abuso d’ufficio. Ed ecco il governo guidato da chi racconta di avere cominciato, quindicenne nel ’92, l’attività politica  in nome di Paolo Borsellino proprio quando veniva ucciso dalla mafia, cancellare il reato d’abuso d’ufficio mettendo milioni di cittadini onesti e indifesi nelle grinfie di non pochi ‘abusatori’ del potere loro concesso per servire la res publica e gli interessi dei cittadini medesimi. Quanto al riferimento a Giorgia Meloni e al suo precoce impegno politico lei, appunto quindicenne nel ’92, scelse il partito di ispirazione fascista spesso coinvolto con diversi suoi esponenti nelle trame eversive e nelle stragi della strategia della tensione volte a sovvertire l’ordine costituzionale antifascista fondato su democrazia, libertà, uguaglianza.

Non solo sindaci e commissaria tra i responsabili. Al Comune di Modica il disastro finanziario nasce e cresce per le tante violazioni di legge e i falsi bilanci confezionati da Giampiero Bella e, con Monisteri, da Maria Di Martino. La dirigenza ha funzioni separate, poteri autonomi e responsabilità dirette

Ovviamente nei danni prodotti dall’amministrazione-Abbate in tutte le sue forme, incluse la gestione commissariale-Ficano di un anno dal 10 giugno 2022 al 5 giugno ’23 e la successiva sindacatura-consiliatura-Monisteri negli oltre venti mesi già trascorsi, un ruolo non secondario, anzi determinante e spesso decisivo, hanno gli atti prodotti dalla dirigenza che, se vogliamo concentrarci sul settore economico-finanziario, l’ambito che ovviamente riguarda il dissesto, rimanda al tandem Bella-Di Martino.

Peraltro con la legge 142 del 1990 (“spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, che la legge o lo statuto non riservino espressamente agli organi di governo” art. 51, 2°c.) partiva una serie di riforme finalizzate ad investire la dirigenza di poteri rilevanti e autonomi dal vertice politico, sicché autonome e dirette sono divenute le sue responsabilità.

Tre anni dopo, il decreto legislativo 29 del ’93 estendeva questo principio della separazione tra funzioni politiche e gestionali a tutte le pubbliche amministrazioni: “gli organi di governo definiscono gli obiettivi e i programmi da attuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle direttive generali impartite” mentre ai dirigenti, responsabili della gestione e dei relativi risultati, spetta in generale “la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo” (art. 3). Il principio è stato poi ripreso e rafforzato dalla legge 127 del ’97 (nota come Bassanini-bis) che elenca una serie di provvedimenti la cui adozione è esplicitamente riservata ai dirigenti e inoltre  introduce una disciplina che rende applicabile il principio anche nei comuni di minori dimensioni demografiche privi della dirigenza. Peraltro tutte le amministrazioni, compresi gli enti locali, sono destinatarie dell’obbligo, espressamente sancito dal D.Lgs. 80/98 (art. 17, che inserisce nel D.lgs. 29/93 l’art. 27 bis) di adeguare i propri ordinamenti al principio di separazione “nell’esercizio della propria potestà statutaria e regolamentare […] tenendo conto delle relative peculiarità”.

Questo principio della separazione tra funzioni politiche e gestionali, che trova il suo fondamento nell’art. 97 della Costituzione, parve una rivoluzione e addirittura fu bollato come privatizzazione della pubblica amministrazione. Le successive quattro leggi-Bassanini – il ministro alla Funzione pubblica del primo governo-Prodi, Franco Bassanini giurista ex Psi poi indipendente del Pci, artefice di profonde riforme in tema di semplificazione, decentramento, sussidiarietà, federalismo amministrativo, trasparenza della pubblica amministrazione, accesso civico, ecc…- lo hanno ulteriormente sviluppato provocando una conseguenza distorta: una maggiore politicizzazione della dirigenza che, quale corpo separato dal ceto politico, finiva per posizionarsi su linee di surrettizia appartenenza o di contiguità da spendere nel mercato delle nomine, visto che la separazione comportava anche la precarietà degli incarichi.

Poi con l’esecutivo di centrodestra, nel 2001 arriva, già in nuce nel principio della separazione tra politica e dirigenza e quindi in alcune delle norme del pacchetto-Bassanini, lo spoils system, introdotto da Franco Frattini, già titolare della Funzione pubblica nel dicastero-Dini. Letteralmente è il sistema delle spoglie, cioè del bottino (il bottino di guerra … elettorale) che il governo-Berlusconi importa dagli Usa dove oggi ha due secoli di storia: risale a un discorso del 1826, presidente Andrew Jackson, la frase “to the victors belong the spoils” (le spoglie appartengono ai vincitori).

Quella della separazione parve, e avrebbe dovuto essere, una rivoluzione virtuosa, senonché in parte fu fittizia perché aggirando le norme il potere politico riusciva a disporre anche in una certa misura del controllo sulla funzione gestionale ovviamente con la complicità di quest’ultima in uno scambio corruttivo e, quando ciò non accadeva, vedeva spesso comunque i dirigenti inclini, nel proprio interesse diretto, a deragliare dai doveri della pubblica amministrazione perpetrando per proprio tornaconto violazioni e abusi in danno dell’interesse generale dei cittadini.

Con l’avvento dello spoils system, ed il vasto corollario di flessibilità che ha precarizzato una parte rilevante dei rapporti di servizio nella pubblica amministrazione introducendo una percentuale altissima di figure di diretta emanazione dal potere politico ad esso legate da mero rapporto di fedeltà fiduciaria, ne è risultato un quadro devastante per le attese dei cittadini onesti e per gli interessi della comunità amministrata: il rapporto Abbate-Bella dentro il Comune di Modica per oltre otto anni e l’intreccio Bella-Di Martino sul piano delle gravissime responsabilità del dissesto ne sono la riprova.

In proposito sul terreno delle responsabilità del dissesto non ci sono antidoti, né deterrenti specifici per la dirigenza, del tipo che abbiamo visto per amministratori e revisori contabili.

In ogni caso valgono le norme generali, civili e penali, sia in ordine al risarcimento del danno prodotto, che ai reati eventualmente accertati, il primo dei quali è il falso in bilancio come da anni segnalato da In Sicilia Report: impossibile non vederlo in numerosi atti, nella sequenza standard che parte dalle determinazioi della dirigenza, sfocia quindi nelle determinazioni del sindaco o nelle delibere di giunta e, se del caso, del consiglio comunale.

Se la magistratura inquirente volesse contestare reati di falso in bilancio avrebbe solo l’imbarazzo della scelta nella lunga serie di atti degli ultimi dieci anni. Da poco più di un mese, per bizzarri  effetti del contrappasso o scherzi forse concepiti da una certa nemesi della storia, a capo dell’autorità giudiziaria inquirente nell’intera provincia di Ragusa c’è quel procuratore – allora in azione nel distretto di Modica – cui furono sfilati l’ufficio e la titolarità dell’azione penale mentre la stava esercitando contro taluni politici di primo piano ed altri influenti ras del territorio: era il 2013 e Francesco Puleio fu ridotto all’impotenza, confinato al rango di sostituto a Ragusa, dalla soppressione del Tribunale di Modica e della relativa Procura. L’8 gennaio scorso si è insediato a capo dell’Autorità inquirente nell’intera provincia, mentre rimane il disastro di quell’accorpamento, il più sconsiderato oltre che irragionevole e suicida da parte dello Stato verso il proprio servizo Giustizia, rientrante nella misura di un pacchetto di trenta chiusure complessive. In Sicilia Report ne ha riferito il 2 febbraio scorso nell’articolo-inchiesta su una vicenda recente che ruota intorno al Comune di Ispica (qui) ed anche in altri in relazione ad inchieste di quegli anni della Procura di Modica.

Per la cronaca oggi pare che il governo-Meloni in carica voglia rimediare a quell’errore. Il dossier è nelle mani del sottosegretario alla Giustizia, il vercellese Andrea Del Mastro, imputato per rivelazione di segreto d’ufficio nell caso-Cospito; coinvolto ma senza proprie responsabilità personali negli spari della notte di San Silvestro del 2023; già in passato penalmente condannato per vicende mai rivelate: è sopravvenuta l’estinzione. Il rimedio in atto però pare riguardi solo quattro casi su trenta, secondo ‘equa’ distribuzione di rispettive soddisfazioni elettorali dei partiti di maggioranza. E così dovrebbero tornare in vita i Tribunali di Alba, 30 mila abitanti in provincia di Cuneo (caro a ‘Noi moderati’ e centristi vari);  Lucera, centro di 30 mila abitanti nel Foggiano (Forza Italia); Bassano del Grappa, 42 mila abitanti in provincia di Vicenza (Lega); Rossano, allora comune di 36 mila abitanti nel Cosentino, dal 2018 frazione del comune di Corigliano-Rossano che ne conta 74 mila (Fratelli d’Italia).

Gli atti nei quali la Procura del nuovo corso, in relazione al dissesto del Comune di Modica potrebbe imbattersi, sono quelli che per otto anni portano la firma del badante-complice di Abbate, il super-tutore Giampiero Bella nella doppia veste di segretario generale e capo del settore economico-finanziario: perfino, comicamente, responsabile anticorruzione mentre era imputato, non assolto ma salvato dalla prescrizione, di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, truffa aggravata, frode nelle pubbliche forniture: qui l’articolo di In Sicilia Report.

Ma rilevanti sono anche gli atti firmati negli ultimi due anni, certamente da giugno 2023, dalla dirigente che gli è succeduta Maria Di Martino: ricordate il conto consuntivo del 2021 (da noi denunciato prima della sua approvazione nello stesso articolo appena richiamato a proposito delle performances di Bella, qui) totalmente e palesemente falso, sulla cui veridicità invece, mentendo, la Di Martino ha messo la mano sul fuoco, sbracciandosi in consiglio comunale per indurre i perplessi a votarlo e firmando, insieme a Bella segretario generale, una nota fraudolenta per confutare i rilievi trancianti del collegio dei revisori e  fingere che quel preventivo fosse credibile? Non sappiamo in quale sfera di responsabilità possano ricadere siffatti provvedimenti, ma è certo che per essi non vi sia bisogno delle norme dell’art. 248 del Tuel, aggiuntive e rivolte ai tre gruppi di soggetti che abbiamo passato in rassegna.

Per tutti, amministratori, dirigenti, figure di controllo, valgono anche le norme in tema di responsabilità civile per il risarcimento del danno, quelle penali per i reali eventualmente commessi (il falso in bilancio fuoriesce dagli atti con frequenza inarrestabile anche ad una prima distratta lettura) quelle contabili per danno erariale, oltre alle misure interdittive passate in rassegna.

Quello della dirigenza è uno dei problemi capitali del sistema perverso che da quasi dodici anni caratterizza l’amministrazione comunale di Modica. Appena insediato, nel 2013, il neo sindaco mise in tutti i posti di vertice figure a lui asservite e, purtroppo, anche totalmente incompetenti e disposte a qualunque violazione pur di compiacere il capo e di appagarne interessi e bisogni privati, e nel contempo emarginò, discriminò, dequalificò e perseguitò i migliori per capacità e requisiti professionali, i quali erano anche quelli meno inclini ad assecondare le sue pretese contra legem. Da allora il Comune di Modica ha cominciato ad essere un deserto di competenze e di disponibilità di servizio alla città, fino al quadro sconsolante di oggi retto da tre dirigenti tutti illegittimamente assunti, tutti abusivi e fuori legge, tutti peraltro responsabili di innumerevoli violazioni di obblighi inderogabili di legge per le quali, se mai legittimamente assunti, sarebbero da tempo decaduti. Dal primo giugno 2023 (Francesco Paolino a capo del settore tecnico), e dal 5 giugno 2023 (Rosario Caccamo capo settore Affari generali e Maria Di Martino, settore finanziario e tributi), date alle quali risale il loro rispettivo insediamento, tutti i loro atti sono nulli e non sanabili ex tunc. Eppure l’amministrazione va avanti come se nulla fosse.

Uno dei tanti motivi di illegittimità dell’assunzione e della permanenza in servizio dei tre dirigenti, nonchè di conseguente nullità di tutti gli atti adottati, è denunciato perfino dai dodici consiglieri, i fedelissimi di Abbate, nel documento da loro sottoscritto e depositato agli atti del consiglio comunale durante la seduta del 30 gennaio ’25 sfociata nella dichiarazione di dissesto da loro non votata (otto sono usciti dall’aula, quattro si sono astenuti).

Nella nota, di 19 pagine, (qui la delibera cui è allegato) i dodici consiglieri attestano, per esempio, che il rendiconto del 2021 è stato approvato solo il 10 gennaio 2024 e che, nel frattempo, a giugno 2023 erano stati immessi in servizio i tre dirigenti: una confessione, anche se, leggendo l’intero documento, è chiaro il tentatvo di Abbate di scaricare ogni responsabilità sulla sindaca Monisteri e sulla commissaria Ficano: è sotto la gestione commissariale che vengono nominate come esperte Adriana Sciortino e Maria Di Martino, quindi chiamato anche il marito della prima Piervincenzo Tripoli, poi assunti i tre dirigenti, inoltre esperita la gara di aggiudicazione della riscossione dei tributi alla Creset – altro disastro di sprechi e violazione di norme – e tanto altro ancora.

Di Martino divenne capo settore ad Acate, subentrando al funzionario decaduto per la dichiarazione di dissesto: la stessa situazione in cui si trova lei a Modica ma fa finta di niente. Eppure allora negò la copertura finanziaria pretesa dal sindaco, poi condannato: sulla stessa strada è incamminata Maria Monisteri 

C’è un fatto nuovo in questo quadro antico di violazioni e illegalità.

A prescindere da tutto quanto rilevato, la sera del 30 gennaio 2025, i tre dirigenti sono comunque decaduti. E’ la conseguenza ope legis della dichiarazione dello stato di dissesto con il quale è incompatibile la sussistenza di rapporti di lavoro a tempo determinato. I tre dirigenti ricadono in questa fattispecie e, appena la presidente del consiglio comunale Mariacristina Minardo ha dichiarato approvata la delibera peraltro con la clausola di immediata esecutività, quindi la sera stessa del 30 gennaio, la sindaca Monisteri avrebbe dovuto comunicare ai tre dirigenti la decadenza immediata e la cessazione del rapporto di lavoro. Non serve un atto, determinazione o delibera, per produrre tali effetti che sono già in re ipsa. La sindaca deve solo darne comunicazione ai tre dirigenti affinchè all’istante lascino l’ufficio. Da quel momento, anche senza volere qui ribadire ulteriormente tutti i pregressi motivi di illegittimità dell’assunzione e della permanenza in carica nei venti mesi trascorsi, i tre sono abusivamente in servizio e abusivamente vengono retribuiti. La sindaca Monisteri potrà e dovrà essere chiamata a rifondere personalmente il Comune dei danni arrecati con la propria condotta omissiva che non ha alcuna base di giustificazione.

In effetti c’è da dire che fin da quando, con la relazione del 15 novembre 2024 della dirigente Di Martino – la quale con colpevolissimo ritardo decise solo allora per la prima volta di scrivere la verità piuttosto che cedere al collaudato vizio del falso in bilancio – cominciò a farsi strada anche nelle stanze dei fedelissimi di Abbate-Monisteri lo spettro del dissesto, a palazzo San Domenico i tre dirigenti assicuravano ai loro amici che sarebbero rimasti in servizio anche dopo. Insomma per loro, come notificato o intimato dai bravi di Don Rodrigo a Don Abbondio, la decadenza imposta per legge non s’aveva e non s’ha da fare. Ed è così, ancora oggi, quindici giorni dopo.

Eppure la norma è chiara, dettata dal 4° comma dell’art. 110 del Tuel il quale nei commi precedenti disciplina termini, presupposti e condizioni dell’incarico a tempo determinato, comunque mai oltre la scadenza del mandato elettivo del sindaco, per i dirigenti: <<Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie>>.

Non c’è dubbio, né spazio di discussione alcuna come peraltro sa bene proprio Maria Di Martino, la quale, allora dipendente a tempo indeterminato del Comune di Acate, a settembre 2016 fu nominata responsabile dei servizi finanziari proprio per subentrare al titolare di ‘Po’, posizione organizzativa per la quale valgono le stesse norme previste per i dirigenti, cessato per questo motivo: era a tempo determinato e il Comune, il 12 agosto 2016, aveva dichiarato lo stato di dissesto.

In effetti in quel caso la Di Martino poté subentrare al funzionario capo settore perché dimissionario e non perché decaduto. Infatti in quel caso il sindaco Francesco Raffo pretese di sfidare la legge e l’evidenza dei fatti tenendo in servizio i tre funzionari apicali e scontrandosi duramente con il segretario generale Michelangelo Calabrese, burocrate onesto e rispettoso delle norme il quale non si piegò mai ai diktat minacciosi del capo dell’amministrazione (in seguito anche ad Acate venne il tempo di Giampiero Bella).

Infatti Raffo fu il solo condannato, peraltro per dolo, con sentenza della Corte dei conti, la n. 875 del 2021 (qui) per il danno erariale prodotto dal mantenimento in servizio dei tre funzionari: € 142.543,60, pari alla retribuzione complessiva erogata a Carmelo Sidoti rimasto in servizio fino al 31 dicembre 2017, a Giuseppe Maganuco, fino al 13 giugno 2018, e a Michelangelo Guzzardi per meno di un mese, fino al 9 settembre 2016 quando si dimise volontariamente dinanzi alle giuste obiezioni del segretario generale che si rifiutava di avallare l’imposizione del sindaco. Fu allora che Maria Di Martino, ragioniere dipendente a tempo indeterminato, in quel momento peraltro in aspettativa, fu nominata capo settore dei servizi finanziari. In quei giorni Di Martino, chiamata per una supplenza, insegnava economia aziendale in un istituto tecnico di Bollate (Mi), ma dal 2002 era dipendente del Comune di Acate, rimanendo tale fino a dicembre 2023 quando, nominata dirigente sei mesi prima a Modica, ha rassegato le dimissioni.

Al Comune di Acate Di Martino giunge, l’1 marzo 2002, dopo un impiego nell’azienda privata Consorzio impianti petroli di Acate ed un incarico d’insegnamento nella scuola paritaria secondaria ‘Guglielmo Marconi’ di Vittoria. In effetti la funzionaria nei quasi 22 anni di dipendenza dal Comune di Acate colleziona incarichi esterni: è ‘esperta’ del Comune di Scicli da giugno 2013 a ottobre 2015, il periodo in cui matura la drammatica vicenda criminale dello scioglimento, disposto il 29 aprile 2015 dopo due anni di aggressione agli organi democraticamente eletti falsamente accusati e calunniati; ancora due anni nel Comune di Trecastagni dal 2018 al 2020 quale sovraordinata in Affari generali; segretaria nel Comune di Buscemi da marzo 2021 a dicembre 2022; nell’Organismo straordinario di liquidazione dei Comune in dissesto di Floridia da dicembre 2021 e di Caltagirone da ottobre 2022; quindi esperta per quattro mesi nel Comune di Modica da gennaio ad aprile 2023, chiamata dalla commissaria Ficano in sostituzione della precedente ‘esperta’ Adriana Sciortino, di Bagheria, nominata da settembre a dicembre 2022 dalla stessa commissaria, sua concittadina, nel periodo in cui anche il suo consorte Piervincenzo Tripoli stringe un rapporto sempre più saldo con palazzo San Domenico per guidare, di concerto con Di Martino e Bella, la gara d’appalto da nove milioni di euro per la riscossione dei tributi: un disastro per l’ente che frutta a Tripoli un contratto quinquennale con il Comune di Modica da 125 mila euro (qui).

L’accidentale intreccio di casi di cronaca a volte regala divagazioni sorprendenti con vista su vicende oscure, ombre inquietanti, misteri irrisolti e casi aperti: il Comune di Modica tra l’esempio ‘effetti del dissesto’ in arrivo da Acate, la condanna dell’ex sindaco Raffo, l’affaire Zimmardo-Bellamagna e il proprio sconsiderato intervento in giudizio dinanzi al Tar e al Cga con i soldi dei contribuenti ma a difesa di interessi privatissimi e inconfessabili

Per curiosità di cronaca, nel giudizio dinanzi alla Corte dei conti il sindaco di Acate Raffo fu difeso da Antonio Barone, professore ordinario di diritto amministrativo dell’Università di Catania, lo stesso legale prescelto dal Comune di Modica nel giudizio in cui l’ente – sciaguratamente per decisione di Ignazio Abbate affidata per la firma subito dopo le dimissioni al proprio fedele vice Rosario Viola – si costituì dinanzi al Cga, Consiglio di giustizia amministrativa in Sicilia organo d’appello in luogo del Consiglio di Stato, (dopo averlo fatto in primo grado dinanzi al Tar con il proprio funzionario dell’ufficio legale Miriam Dell’Ali) per sostenere, nell’affaire Zimmardo-Bellamagna relativo ad un impianto di metano con trattamento di scarti animali d’impatto devastante su un’area di pregio ambientale alle porte di Pozzallo, l’interesse di Biometano ibleo srl, società che si dichiara ‘agricola’ (ma il progetto prettamente industriale stravolgerebbe un sito agricolo di rara bellezza anche paesaggistica) avente quale socio di maggioranza Sviluppo biometano Sicilia, società per metà di Snam (primo operatore europeo nel trasporto e stoccaggio di gas naturale, ex gruppo Eni, oggi controllata dalla Cassa depositi e prestiti) e per metà di due professori dell’Università di Catania il più influente dei quali è Giovanni La Via che dal 2019 è anche direttore generale dell’ateneo.

Assessore regionale all’agricoltura in quota Forza Italia dal 2006 al 2009 nel secondo governo-Cuffaro (quando questi era già sotto processo imputato di reati commessi con aggravante mafiosa) e nella prima fase del governo di Raffaele Lombardo allora imputato di concorso in associazione mafiosa, La Via dal 2009 è parlamentare europeo del Pdl, rieletto cinque anni dopo con il ‘Nuovo centro destra’ di Angelino Alfano, proposto vice presidente designato nelle regionali 2017 dalla cosiddetta coalizione di centrosinistra che candida a palazzo d’Orléans un rettore d’università, Fabrizio Micari (ma vince Musumeci), quindi tornato in Forza Italia per tentare nel 2019 il terzo mandato a Strasburgo ma Gianfranco Miccichè, allora capo del partito in Sicilia gli sbarra la strada in lista e il ‘barone’ campione di intrecci tra politica, atenei e affari ripiega sull’incarico di direttore generale della gloriosa Università di Catania ricca di quasi sei secoli, 591 anni per l’esattezza, di storia.

L’affaire-Bellamagna è un violento abuso confezionato dentro il Comune di Modica e ordito contro la città di Pozzallo e la sua comunità per compiacere interessi privati dentro un puzzle vischioso e maleodorante nel quale, nonostante l’incredibile avallo di Legambiente imposto da Roma e da Palermo al circolo locale che infatti viene sciolto, fanno capolino minacce al sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna, tentativi di corruzione, spy stories di lobbisti in associazione con esponenti mafiosi catanesi e contrabbandieri di gasolio – rubato nella raffineria di Zawyia, località nota per il centro di detenzione-lager in cui vengono trattenuti e torturati i migranti, a  40 Km ad ovest di Tripoli – dalla Libia e da Malta verso la Sicilia: è l’operazione Dirty Oil sfociata nel 2017 in 6 arresti (di due libici, due maltesi e quattro italiani), in un processo ancora in corso e nell’inquietante denuncia di Ammatuna alla Commissione antimafia sul tentativo di Rosanna La Duca, una delle sei persone arrestate nell’operazione, di convincerlo in vari modi, forte di declamati robusti agganci al Dipartimento Energia della Regione (per onestà va detto che l’emissaria non ha esplicitato quale fosse … la via di tali agganci) a dire sì all’impianto di biometano che di ‘bio’ ha solo gli interessi privati, ‘vitali’, dell’affare tanto caro a imprenditori, lobbisti associati a contrabbandieri internazionali in concorso con mafiosi, figure di vertice dell’Università etnea alla quale peraltro si sono disinvoltamente affidati i giudici amministrativi bisognosi di consulenze per decidere chi avesse torto o ragione tra i ricorrenti in difesa della comunità di Pozzallo (il Consorzio autostradale Zimmardo-Bellamagna, l’associazione Rifiuti zero Sicilia, eroici cittadini intervenuti a proprie spese come Giuseppe Iemmolo) da una parte e i promotori dell’affaire dall’altra: hanno vinto questi ultimi.

La Di Martino smemorata rispetto al dissesto di Acate, il precedente incandidabilità per Enzo Bianco e a Catania il processo Università-bandita sui concorsi truccati, sospeso (dopo la richiesta di 39 condanne e 12 assoluzioni) per la questione di legittimità costituzionale dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio

Abbiamo casualmente citato Antonio Barone perché legale dell’ex sindaco di Acate Francesco Raffo dinanzi alla Corte dei Conti nel giudizio che qui ci interessa per capire cosa stia accadendo oggi nel Comune di Modica, e richiamato poi per completezza d’informazione l’incarico conferito da palazzo San Domenico allo stesso professionista, iscritto dal 2009 nell’albo speciale degli avvocati cassazionisti e giurisdizioni superiori (la dipendente del Comune Dell’Ali non lo è) a maggio 2022 con atto del segretario Giampiero Bella su determinazione sindacale subito dopo le dimissioni di Abbate, per assistere il Comune di Modica resistente in giudizio dinanzi al Cga contro i ricorsi a difesa della comunità di Pozzallo: due mila euro per i contributi unificati per legge e 25 mila euro di onorario a Barone, di cui la metà pagata anticipatamente nel momento stesso dell’incarico, atto degno di un Comune pienamente in … sesto, e saldo immediato a fine giudizio. Il tutto dopo un originario impegno di spesa per una cifra largamente superiore all’inizio del procedimento dinanzi al Tar. Serviva alla città tale atto di mero sostegno della Biometano ibleo srl della quale abbiamo descritto interessi, relazioni, combinazioni e l’inquietante contesto in cui si muovono certe lobbies in difesa dell’affaire Zimmardo-Bellamagna?

Per delle capricciose casualità di certi intrecci della cronaca che racconta la realtà sempre in movimento, il nome di Barone entra nello scandalo gigantesco che nel 2019 si abbatte sull’Università di Catania: è l’inchiesta ‘Università bandita’ sui concorsi truccati e le ambitissime cattedre ordinarie patteggiate tra baroni accademici e distribuite a tavolino, con finte regolari selezioni, secondo criteri di patronato dinastico o, appunto, baronato familistico. Per la cronaca il processo in corso – dopo la richiesta di condanna da parte del pubblico ministero per 39 dei 51 imputati, a pene che vanno da due a 10 anni (per reati vari, i più ricorrenti dei quali corruzione, turbativa d’asta e abuso d’ufficio) – è fermo in attesa della sentenza della Corte costituzionale investita dal Tribunale di Catania della questione di legittimità concernente l’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio, uno di quelli contestati a molti imputati (qui un articolo sulla questione di legittimità costituzionale sollevata nel processo a ‘Università bandita’).

Laurea in giurisprudenza all’Università di Catania nel 1999, dottorato in diritto amministrativo nel 2003, nel biennio 2003-2005 Antonio Barone è assegnista di ricerca in diritto amministrativo non nella Facoltà di Giurisprudenza ma in quella di Scienze politiche dell’Università di Catania e, nel contempo, ricercatore di diritto amministrativo alla Lum Jean Monnet di Casamassima, Bari. La Lum che ha sede in questo piccolo centro pugliese di 19 mila abitanti è l’ateneo privato Libera Università Mediterranea, oggi intitolato a Giuseppe Degennaro che lo fondò nel 1995 (poi istituito con decreto ministeriale nel 1999, mentre statuto e regolamento sono approvati dal Miur nel 2000 con due sole facoltà, Economia e Giurisprudenza) ma fino al 2020 denominato Lum Jean Monnet, dal nome del francese commerciante di cognac il quale, abbandonati gli studi a 16 anni, nei decenni dalla prima alla seconda guerra mondiale divenne politico di primo piano internazionale, nel board della Società delle Nazioni, antifascista ed euro-atlantista al fianco di Franklin Delano Roosevelt e poi di Charles de Gaulle nonchè, autore della dichiarazione di Schuman del 1950, padre fondatore dell’Unione europea.

In questa università privata pugliese Barone nel 2005 diviene ricercatore di diritto amministrativo, nel 2010 professore associato di diritto amministrativo, nel 2013 professore straordinario, dal 2012 al 2017 anche pro rettore, nel 2016 direttore del Master universitario di II Livello in ‘Anticorruzione, trasparenza e valutazione della performance nella pubblica amministrazione’, dal 2008 al 2017 direttore della Scuola di specializzazione per le professioni legali, ma, soprattutto, dal 2010 è anche professore ordinario fino al 30 settembre 2017 quando lascia per assumere il giorno dopo, 1 ottobre 2017, la carica analoga (di ‘professore ordinario di Diritto amministrativo,  governance accademica, ricerca scientifica, docenza, dirigenza pubblica) nell’Università di Catania, uno dei più importanti tra i 61 atenei statali d’Italia: non però nel dipartimento di Giurisprudenza bensì in quello di Economia e Impresa.

Proprio l’assegnazione di questa cattedra (qui un articolo di Cataniatoday sulla vicenda), per effetto del singolare concorso che la determina, incappa nell’inchiesta ‘Università bandita’ che investe tra gli altri tre ex rettori e sette direttori di dipartimento tra i quali Giuseppe Barone, padre di Antonio, come lui indagato e attualmente imputato: è, rispettivamente, di 4 anni e di 3 anni di reclusione la pena richiesta dal pubblico ministero nell’ultima udienza prima che, in seguito all’abolizione del reato di abuso d’ufficio intervenuta il 25 agosto scorso, il tribunale sospendesse il processo in attesa della pronuncia della Corte costituzionale. Per la cronaca Giuseppe Barone, dal 1987 professore ordinario di Storia contemporanea, dal 1992 direttore del Dipartimento di Analisi dei processi politici, sociali e istituzionali dell’Università di Catania, dal 2009 preside della Facaoltà di scienze poltiche, al tempo dei fatti era direttore del Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’ateneo catanese.

Nello stesso giudizio era imputato un ex alto magistrato – Vincenzo D’Agata procuratore capo di Catania fino al 2011, deceduto venti giorni fa – per le pressioni a beneficio della figlia: in questo caso la pena richiesta dall’accusa era di 3 anni per l’illustre genitore, mentre è di 5 anni e 6 mesi per la diretta congiunta. Uno degli imputati più noti è Enzo Bianco, l’ex sindaco di Catania che abbiamo  citato in precedenza per il dissesto del Comune e l’incandidabilità inflittagli dalla Corte dei conti poi annullata dalla Cassazione. In ‘Università bandita’ è accusato di avere fatto pressioni in favore del docente universitario e assessore nella propria giunta Orazio Licandro, colpito anche lui peraltro dalla misura interdittiva per il dissesto del Comune. Nel processo penale per i concorsi truccati nell’ateneo il pubblico ministero ha chiesto la condanna a 3 anni e 6 mesi per entrambi.

Per la cronaca la sanzione più pesante, 10 anni e otto mesi di reclusione, è quella invocata per l’ex rettore Francesco Basile il quale, in riferimento al concorso per la cattedra di diritto amministrativo assegnata ad Antonio Barone, ereditò la pratica – confezionata con metodi criminali secondo l’accusa avallata in sede di rinvio a giudizio, purtroppo ampiamente diffusi e ‘ordinari’ come il posto da assegnare – dal predecessore Giacomo Pignataro (4 anni la pena richiesta per lui): un rettore che l’inchiesta dipinge come disposto a tutto, con pressioni varie e perfino con l’emanazione di interpelli seguita da caldo e convincente invito ai più titolati a non partecipare, pur di condurre in porto l’operazione che poi rimane incagliata nell’azzeramento delle cariche e transita al successore, Basile, il quale alla fine onora l’impegno e la consegna al beneficiario designato fin dal 2016 quando, sotto la finzione di concorsi, il rettore e i suoi sodali decidono d’imperio cariche e carriere, cosicché le intercettazioni fotografano ciò che da sempre tutti sanno e vedono e che somiglia ad una regola non scritta nel mondo di baroni e di famigli dentro le università, luogo naturale di formazione civile e culturale dei cittadini e delle loro classi dirigenti (qui un articolo del settimanale l’Espresso).

Per verità e chiarezza contro possibili dubbi, la Lum di Casamassima, dalla fondazione e fino ad agosto 2020 denominata Jean Monnet, per quanto nel 2021 abbia istituito corsi di laurea in medicina, non ha nulla a che vedere con il Dipartimento tecnico-scientifico di studi europei Jean Monnet, sigla utilizzata da un sedicente rettore di questo ateneo on line, il palermitano Salvatore Messina, imputato per una colossale truffa tra la Sicilia e la Bosnia-Erzegovina, consistita nel rilascio di diplomi di laurea in medicina ed altre professioni sanitarie non validi in Italia ma costati decine di migliaia di euro ed anni di frequenza a ciascuno dei tanti giovani i quali avevano scelto l’istituto che il docente siciliano assicurava essere convenzionato con l’Università di Gorazde a suo dire riconosciuta anche in Italia. Era invece una sigla fantasma, con sede legale in Svizzera, base operativa in Bosnia e un corpo docenti tutto italiano, soprattutto palermitano con tanti ‘prof’ zelanti promotori a caccia di iscrizioni e disposti a giurare sulla qualità e validtà dei corsi. Dopo l’inchiesta partita dalla Bosnia e divenuta pubblica a marzo 2024 molte delle vittime hanno presentato a Londra una class action: almeno 800 gli iscritti truffati, con rette che andavano da 4 a 26 mila euro. Al sedicente professore, amico di governanti e alti burocrati della Regione siciliana in questi anni di giunta-Schifani, Salvatore Messina, il quale nella truffa si è avvalso anche di due suoi figli, sono stati sequestrati 3 milioni e mezzo di euro ma si aggirerebbero almeno a nove milioni i proventi delle iscrizioni mai dichiarate al fisco.

Nessuna analogia, né rapporto tra le due realtà accademiche, accomunate solo dal fatto che entrambe avevano scelto l’abbinamento della propria identità alla stessa figura: ad agosto 2020 però la Lum ha sostituito il nome dell’incolpevole europeista.

I tre dirigenti assunti dalla commissaria Domenica Ficano a giugno 2023 (illegittimamente, pertanto abusivi) sono decaduti con effetto immediato il 30 gennaio, ma la sindaca li tiene ancora in servizio: li pagherà di tasca propria?

Tornando alle vicende del Comune di Modica e alla condanna dell’ex sindaco di Acate Raffo, singolare e totalmente perdente la sua difesa in giudizio centrata soprattutto su un supposto carattere politico dei suoi provvedimenti finalizzati a mantenere in servizio contra legem i tre dirigenti, come se ad un sindaco potesse bastare invocare una presunta clausola di coscienza o rifugiarsi in una pretesa esimente capace di originarsi da semplice fantasiosa auto-qualificazione di un proprio atto, per delinquere impunemente o comunque, in questo caso, per violare norme fondamentali e inequivoche del diritto amministrativo, preziose per il buon andamento della pubblica amministrazione e la tutela delle risorse dell’ente pubblico più vicino di tutti ai cittadini nel proprio ambito territoriale. il Comune.

Tutto ciò oltre trent’anni dopo l’avvio normativo, dettagliatamente disciplinato, della separazione della funzione politica da quella gestionale degli enti locali e, con le quattro leggi-Bassanini, dell’intera pubblica amministrazione.

Peraltro proprio Maria Di Martino, subentrata il 9 settembre 2016 a Michelangelo Guzzardi alla guida del settore finanziario del Comune di Acate, giustamente si rifiutò di attestare la copertura finanziaria al mantenimento in servizio degli altri due titolari di ‘posizione organizzativa’ e messi a capo di altrettanti settori, ed infatti è citata nella sentenza che condanna Raffo, sicché, coinvolta direttamente, interessata e a conoscenza del caso dal quale ha ricavato il vantaggio conseguente di vedersi assegnato l’incarico di vertice, è molto strano che oggi, otto anni dopo, al Comune di Modica, a cinquanta chilometri di distanza, nella piena vigenza delle stesse identiche norme, ritenga, insieme a Rosario Caccamo e a Francesco Paolino, a capo rispettivamente dei settori affari generali e tecnico, di potere rimanere in servizio.

La ‘voce d’ordinanza’ fatta circolare nei corridoi di palazzo San Domenico è che tale possibilità sarebbe contemplata dalle deroghe previste dalla normativa in tema di assunzioni finalizzate ai progetti rientranti nel Pnrr, il piano nazionale di ripresa e resilienza varato con fondi europei in piena emergenza Covid. L’appiglio in particolare sarebbe quello contenuto nel decreto legge n. 13 del 24 febbraio 2023 convertito nella legge n. 41 del 21 aprile successivo.

Ma la norma non è qui applicabile in quanto finalizzata a <<consentire agli enti locali di fronteggiare le esigenze connesse ai complessivi adempimenti riferiti al Pnrr e, in particolare, di garantire l’attuazione delle procedure di gestione, erogazione, monitoraggio, controllo e rendicontazione delle risorse del medesimo Piano ad essi assegnate>> tant’è che essa eleva dal 30 al 50% la percentuale di personale a tempo determinato <<limitatamente agli enti locali incaricati dell’attuazione di interventi finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del Pnrr>> e ne esclude la decadenza immediata negli enti in dissesto sancita dalla norma citata <<al fine di assicurare la continuità dell’azione amministrativa e facilitare la realizzazione degli investimenti finanziati, in tutto o in parte, con le risorse del Pnrr ovvero con le risorse dei programmi cofinanziati dall’Unione europea e dei programmi operativi complementari …>>.

Peraltro non c’è traccia di riferimenti a progetti Pnrr nell’intero procedimento di assunzione dei tre dirigenti, avvenuta ex art. 110 del Tuel e non ai sensi della normativa citata in tema di Pnrr la quale prevede la chiusura immediata, nel momento della conclusione del progetto,  dei rapporti di collaborazione appositamente instaurati, senza alcuna possibilità di destinazione del personale impiegato a funzioni dirigenziali di gestione ordinaria.

A Modica i tre dirigenti sono stati assunti in via ordinaria, per le mansioni ordinarie di gestione dell’ente, a carico del bilancio comunale come dimostrano i tre avvisi di selezione firmati dall’allora segretario, nonché dirigente del settore finanziario e tributi Giampiero Bella, nonchè tutti gli atti successivi e conseguenti fino alla nomina con conferimento d’incarico da parte della commissaria Ficano. Mai un cenno ad alcun progetto del Pnrr che peraltro avrebbe orientato in modo specifico e vincolante l’attività degli assunti al punto che questa sarebbe scaduta alla conclusione del progetto. Nessun possibile appiglio dunque. Peraltro perfino le modalità e i canali di diffusione dell’avviso avrebbero dovuto rispettare la normativa concernente le assunzioni e le relative deroghe per gli obiettivi del Pnrr. In proposito un’apposita circolare del Ragioniere generale dello Stato <<sollecita le Amministrazioni a individuare all’interno del proprio sito web una sezione denominata “Attuazione Misure PNRR” in cui pubblicare gli atti normativi adottati e gli atti amministrativi emanati per l’attuazione delle misure di competenza, specificando gli elementi indicati al paragrafo 10 del documento allegato>>. Nulla di tutto ciò si rinviene nell’assunzione dei tre dirigenti, né nel ‘trattamento’ dei loro servizi al Comune di Modica e nessun aggancio ad alcun progetto.

Anche le linee guida dell’Anci in materia abbondano e vanno nella stessa direzione in tema di assunzioni a tempo determinato con l’ausilio delle deroghe oggi invocate a sproposito: <<Le assunzioni devono riguardare esclusivamente il personale destinato a realizzare i progetti Pnrr, e si collocano al di fuori di quelle già espressamente previste dal piano medesimo. Le assunzioni riguardano: 1. assunzione di personale a tempo determinato da reclutare mediante procedure concorsuali (art. 1, c. 4, D.L. n. 80/2021); 2. personale in possesso di alta specializzazione da reclutare da appositi elenchi (art. 1, c. 5, lett. b, D.L. n. 80/2021); 3. personale con qualifica non dirigenziale in possesso di specifiche professionalità (art. 31-bis, D.L. n. 152/2021). 15 Per un quadro esaustivo si rinvia al Quaderno operativo ANCI n. 31 di Febbraio 2022>>.

Anche le leggi emanate per orientare la pubblica amministrazione, chiarissime, non lasciano spazio a dubbi. Dispone l’art. 1 del decreto legge 80/21: <<i contratti di collaborazione di cui al presente articolo possono essere stipulati per un periodo complessivo anche superiore a trentasei mesi, ma non eccedente la durata di attuazione dei progetti di competenza delle singole amministrazioni e comunque non eccedente il 31 dicembre 2026. Tali contratti indicano, a pena di nullità, il progetto del Pnrr al quale è riferita la prestazione lavorativa e possono essere rinnovati o prorogati, anche per una durata diversa da quella iniziale, per non più di una volta>>. Ad adiuvandum precisa in proposito l’Anci: <<L’art. 9, comma 18-bis, del D.L. n. 152/2021 innova in modo significativo l’art. 1 del D.L. n. 80/2021, che ha previsto la possibilità per le amministrazioni titolari dei singoli interventi previsti nel Pnrr di imputare nel relativo quadro economico i costi per il personale assunto a tempo determinato e specificamente destinato a realizzare i progetti di cui le medesime amministrazioni hanno la diretta titolarità di attuazione>>.

E’ invece del tutto evidente come il Comune di Modica abbia stipulato il contratto dei dirigenti, in coerenza con l’intero procedimento avviato nel 2022 con la pubblicazione dei relativi avvisi a firma di Bella, “ai sensi dell’art. 110 del Tuel” il quale al comma 4 afferma che i contratti, appunto stipulati ai sensi del medesimo articolo, si sciolgono di diritto in caso di dissesto. Essi sono stati stipulati per ricoprire il ruolo di dirigente di area e non per la realizzazione di un progetto. Il loro costo è a carico del bilancio comunale e nell’atto di nomina non si fa riferimento ad alcun progetto. Come mai sarebbe possibile la loro cessazione dal servizio – imposta di rigore dalle norme sul Pnrr – nel momento della chiusura del progetto se esso non è neanche indicato?

Del resto nello stesso periodo, proprio alla luce della normativa destinata alle assunzioni per i progetti Pnrr, venivano emanati avvisi da parte di decine di enti in Italia con l’esplicita indicazione necessaria. Possiamo prenderne uno a caso, tra i tanti: <<Selezione pubblica, per titoli e colloquio, per l’assunzione, a tempo determinato, di n. 1 dirigente responsabile dell’unità specialistica denominata Piano nazionale di ripresa e resilienza’… (Comune di Varese). In un altro (Provincia di Pistoia), atto del 20 marzo 2023, periodo in cui è pienamente operante e ormai a regime l’intero pacchetto di deroghe e benefici da Pnrr, che è lo stesso periodo in cui il Comune di Modica seleziona i tre dirigenti, già nel frontespizio si legge: Oggetto, selezione pubblica per l’assunzione a tempo pieno e determinato di personale da collocare presso la funzione edilizia provinciale che concorre alla realizzazione dei progetti approvati nell’ambito del Pnrr…approvazione verbali e graduatoria ….>>.

Perfino dove le norme per il Pnrr sembrano concedere ampie deroghe in realtà sono vincolanti, come in relazione al “budget aggiuntivo per le assunzioni straordinarie a tempo determinato a valere su proprie risorse di bilancio (articolo 31-bis comma 1)”. E così, al fine di <<agevolare l’attuazione dei progetti previsti dal PNRR, il comma 1 dell’articolo 31- bis, introduce importanti deroghe agli ordinari vincoli sia di carattere ordinamentale che di carattere finanziario in materia di assunzioni di personale, per i Comuni che provvedono alla realizzazione di tali interventi. La norma prevede che tali deroghe si applichino solo alle assunzioni a tempo determinato di personale non dirigenziale dotato di specifiche professionalità>>.

Ancora, ecco una norma, peraltro indicata a caratteri cubitali nel Dossier Italia domani,Vademecum della presidenza del Consiglio dei ministri e delle strutture dello Stato al servizio dei progetti Pnrr: <<I contratti in questione devono indicare, a pena di nullità, il progetto del Pnrr al quale è riferita la prestazione lavorativa e possono essere rinnovati o prorogati, anche per una durata diversa da quella iniziale e per non più di una volta>>. Con altre circolari del Viminale viene addirittura fornito un modulo standard, da compilare con tutte le indicazioni necessarie e da allegare a pena di negazione dei benefici delle deroghe nel caso di assunzioni rientranti nel progetti Pnrr.

Ecco i progetti Pnrr del Comune di Modica: 21 per un totale di € 22.691.700, dai più ricchi (Palascherma, Albergo dei poveri e Palazzo Campailla per 9 milioni in totale) a quelli di poche decine di migliaia di euro per la cittadinanza digitale. Grave ritardo nell’esecuzione: erogati meno di due milioni (€ 1.913.020).

Per la cronaca il Comune di Modica è impegnato in alcuni progetti finanziati con fondi Pnrr ma questi nulla hanno a che fare con l’attività, né con l’assunzione e relativo titolo di imputazione dell’immissione in servizio, dei tre dipendenti che peraltro sono i soli dirigenti dell’ente in quanto in tutti gli altri settori la responsabilità è posta in capo a funzionari più o meno senza titolo cui è attribuita la posizione di Eq (Elevata qualificazione).

Per mera completezza i progetti Pnrr del Comune di Modica sono 21, per un totale di € 22.691.700,00, in forte ritardo d’esecuzione: finora erogati finanziamenti per meno di un decimo, € 1.913.020,00.

Il maggiore è finanziato con € 3.200.000,00 e riguarda i lavori di ristrutturazione e di efficientamento energetico del Palascherma (inclusione sociale); seguono 3 milioni per il riuso e la rifunzionalizzazione dell’albergo dei poveri di corso Regina Margherita (povertà ed edilizia sociale); 2,27 milioni per ristrutturazione e riqualificazione edilizia di palazzo Campailla di via Albanese e spazi esterni annessi per il potenziamento dei servizi culturali (povertà ed edilizia sociale); 2,16 milioni per il completamento dell’impianto sportivo Pietro Scollo di contrada Caitina (inclusione sociale); 1,63 milioni per la ristrutturazione di palazzo degli studi di corso Umberto per destinazione scuola elementare e media (povertà ed edilizia sociale); 1,61 milioni per la riqualificazione di palazzo De Naro Papa di piazza San Giovanni a Modica Alta da destinare a casa dell’associazionismo e del volontariato (povertà ed edilizia sociale;, 1,2 milioni per la ristrutturazione e la riconversione dell’asilo comunale di piazzale Beniamino Scucces (strutture scolastiche); ancora 1,12 milioni per la ristrutturazione e l’efficientamento energetico dell’impianto sportivo Pietro Scollo di contrada Caitina (inclusione sociale); 1,08 milioni per la costruzione di un asilo nido in via Don Minzoni a Modica Alta (strutture scolastiche); 797 mila euro per la rifunzionalizzazione e la riqualificazione dell’area del mercato ortofrutticolo di viale medaglie d’Oro per adeguamento alla funzione di aggregazione sociale (povertà ed edilizia sociale); 700 mila euro per la rifunzionalizzazione e riqualificazione di piazza Mediterraneo a Marina di Modica (povertà ed edilizia sociale); 600 mila euro per la ristrutturazione e riconversione dell’asilo comunale e dell’edificio auditorium Mediterraneo di via Falconara a Marina di Modica (strutture scolastiche); 400 mila euro per la ristrutturazione e riconversione dell’asilo comunale di corso Garibaldi (strutture scolastiche;,  352.650,00 euro per la migrazione dei server locali in cloud nel palazzo comunale di piazza Principe di Napoli (amministrazione digitale); € 345.800,00 per la ristrutturazione, rigenerazione e riconversione della scuola dell’infanzia di via Gianforma Frigintini ad asilo nido (strutture scolastiche); 330 mila euro per il sostegno alle persone vulnerabili e prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti, rafforzamento dei servizi domiciliari per garantire la dimissione anticipata assistita, distretto socio sanitario (inclusione sociale); 330 mila euro per la ristrutturazione e riconversione dell’asilo comunale di via Michele Pulino (strutture scolastiche); 210 mila euro per il sostegno alle persone vulnerabili e la prevenzione dell’istituzionalizzazione degli anziani non autosufficienti, rafforzamento dei servizi sociali e prevenzione del burn out (una sorta di stato di stress cronico) tra gli operatori sociali, distretto socio sanitario (inclusione sociale); 162.750,00 euro per la piattaforma digitale nazionale dati (Pdnd) interoperabili delle piattaforme pubbliche in territorio nazionale (cittadinanza digitale); 91.050,00 euro per la piattaforma PagoPa in territorio nazionale e attivazione servizi (cittadinanza digitale); 31.300,00 euro per l’applicazione AppIo in territorio nazionale e attivazione servizi (cittadinanza digitale).

Azzerata la giunta Abbate-Monisteri, si apre il cantiere del nuovo esecutivo Minardo-Monisteri: non ci sarà il Pd che dopo una lunga afasia precisa di volere essere opposizione. Buono a sapersi: sembrava evidente il contrario

In conclusione, per fortuna lo zelo del Pd nel sostenere le insane pretese del ‘partito dei sindaci’, misto all’imbarazzante silenzio dei vertici di via del Nazareno spesso ignari di ciò che accade nella propria cucina parlamentare, pare sia destinato all’insuccesso. La commissione affari costituzionali di palazzo Madama, in cui la truppa degli otto senatori Pd aveva piazzato il suo ordigno per scardinare una delle norme più ragionevoli e giuste di moralità pubblica nella gestione delle finanze locali, ha concluso l’esame in sede referente del disegno di legge di conversione del cosiddetto decreto milleproroghe e ha approvato solo pochi emendamenti, ignorando i tre in fotocopia che abbiamo lungamente analizzato. Giovedì 13 febbraio in aula il testo è stato approvato senza discussione, con l’ennesimo voto su mozione di fiducia posta dal governo. Ovviamente la norma rispunterà da qualche parte, considerata la capacità di lobbing dell’Anci ma è molto improbabile che la sede giusta possa essere il pacchetto ‘milleproroghe’ che la prossima settimana, comunque entro martedì 25 febbraio, avrà il via libera della Camera, con imposizione di fiducia-bis, nello stesso identico testo.

Dentro il Comune di Modica invece nelle prossime ore prenderà forma la giunta Monisteri-bis, forte del sostegno, almeno per il momento, di appena nove consiglieri sul totale di 24, e con due teoriche opposizioni: quella dei 12 del gruppo-Abbate, in pratica metà dell’intero consesso, e quella dei tre della piccolissima minoranza uscita dalle urne. La sindaca-camaleonte tenterà di confondere le acque e di far dimenticare chi sia, chi sia stata e cosa abbia fatto fino a poche settimane fa a palazzo San Domenico; e così varerà la nuova giunta secondo un solo criterio che ha imparato alla perfezione da ‘mastro Ignazio’ suo maestro: la fedeltà personale, a sè, alle proprie decisioni quali che siano, ai propri affari, alle proprie ambizioni personali, al proprio istinto di sopravvivenza. E’ tutta res privata come la roba verghiana: di res publica neanche l’ombra.

E così dalla giunta spariranno quelli che la sindaca riterrà in qualche misura inclini ad ascoltare più  il verbo di Abbate (esercizio nel quale lei, sempre prona e mai un cambio di posizione, per sette anni si è rivelata imbattibile) che i propri desiderata impartiti dalla poltrona più alta di palazzo San Domenico che ora sente sua per intero e senza interposizioni: ma dovrebbe ben sapere che non è così e se non lo sa presto lo scoprirà. Ed è molto improbabile che quel giorno le verrà in soccorso un partito ‘d’opposizione’.

Insomma la sindaca che ad Abbate ha dato tutto prostituendo la funzione istituzionale ricevuta dai cittadini, ovviamente perchè la esercitasse nell’interesse di tutti, ora punisce e silura gli abbatiani: paradosso che rileviamo non già per attenuare le responsabilità dell’ex sindaco – enormi, primarie, delittuose verso la città e la democrazia in 12 anni di potere quasi assoluto – ma per non coprire quelle della sindaca, così come la lunga sequenza dei fatti e degli atti ricostruiti in questo articolo e nei precedenti documenta.

In questo passaggio interno, dentro un sistema di potere cittadino nel quale anche nelle stanze del Comune, più o meno visibilmente, si erge la forza straripante del gruppo-Minardo pienamente schierato con il Monisteri-bis, mancano la città, la sua anima democratica, la sua visione di futuro, la sua dignità sociale, la sua voglia di autodeterminarsi; mancano i giovani perchè anche quelli di talento, se e quando affiorati più o meno accidentalmente nel deserto civile del sistema Abbate-Monisteri-Minardo, sono stati tenuti ai margini ed oggi continuano ad essere trattati e classificati solo in quanto servitori, veri o presunti, di questa o di quella fazione in campo, condannati a non potere esercitare un proprio ruolo con autonomia e dignità.

Bene ha fatto il Pd di Modica a dire, purtroppo solo ieri, che starà all’opposizione: se valessero le parole d’amore dedicate dal suo segretario Poidomani alla sindaca ad aprile scorso, ora che Abbate non è più con lei al suo fianco, dovrebbe invece ficcarsi in giunta e offrire per qualche posto di assessore il meglio che di questi tempi il partito riesca ad assoldare o coinvolgere, come i nomi circolati privatamente nei giorni scorsi, durante la preoccupante afasia pubblica alla quale ad un certo punto, azzerata da Monisteri la giunta di ‘marca Abbate’, è divenuto improcrastinabile porre fine. Non per nulla, non solo dieci mesi fa, ma dieci giorni fa e forse qualche decina di ore fa il borsino delle scommesse pagava molto poco la puntata, perchè probabile, su un Pd diretto in giunta: meglio così perchè poco è meglio di niente e rispetto ad ogni male ne è sempre possibile uno peggiore.

Ma il futuro merita ben altro e andrebbe costruito partendo dalla città, dalla sua anima democratica che sembra assente e smarrita perchè frustrata dal livello estremo del degrado impossessatosi della sua massima istituzione: è ciò che accade quando scemano la coscienza del bene comune, la partecipazione alla cosa pubblica, l’ambizione ad una vita migliore riposta nella fiducia nella possibilità di migliorare se stessi migliorando prioritariamente e complessivamente la comunità; in armonia, coesione, libertà, uguaglianza, giustizia sociale all’insegna della trasparenza e della verità su tutto ciò che è di interesse pubblico, che è affare di tutti, che insomma è bene comune.

Infine, poiché la redazione e i bravissimi creativi di In Sicilia Report hanno voluto offrire questo testo a lettori e lettrici citando nella costruzione grafica della foto-copertina Fëdor Dostoevskij, mi piace, per verità filologica, osservare che il titolo di successo ‘Delitto e castigo’ è frutto di un errore mutuato in italiano da un’infedele traduzione in francese. Il grande scrittore russo nella sua lingua originale scelse come titolo per la sua opera ’Il delitto e la pena’. Castigo è cosa diversa dalla pena e peraltro proprio l’autore di questo capolavoro della letteratura universale, in una lettera al direttore della  rivista Russkij Vestnik (Il Messaggero russo) confidò la sua allusione all’idea <<che la pena giuridica comminata per il delitto spaventi il criminale molto meno di quanto pensino i legislatori, in parte perché anche lui stesso, moralmente, la richiede>>. Era il 1866 e, quasi 160 anni dopo, potremmo dire che non abbiamo più i … criminali di una volta, capaci di ispirare il genio della narrativa mondiale! Quelli di oggi purtroppo sono ben diversi.

Mutatis mutandum e applicando ai fatti trattati (il delitto contro la comunità è ben più grave di quello contro singoli individui) le categorie di pensiero del grande romanziere, purtroppo i nostri ‘criminali’ non credo abbiano alcuna voglia di richiedere, neanche solo moralmente, la giusta pena, nè tanto meno di accettarla senza fare carte false pur di sfuggirle.

Tralasciamo qui il doppio crimine commesso dal protagonista creato dalla penna di Dostoevskij, Rodion Romanovič Raskolnikov: quante similitudini con il delitto del dissesto, conseguenza accidentale e incontrollata del delitto originario intenzionale, premeditato e doloso, commesso scientemente per mettere le proprie mani private sui beni comuni, anzi del Comune. E tralasciamo altresì, pensando anche all’altro protagonista Nikolaj Vsevolodovič Stavrogin, l’azione della colpa e della vergogna che scavano l’anima dei due personaggi, logorandola, tormentandola e infine distruggendola.

Purtroppo siamo esattamente nella situazione opposta e la presa d’atto di tale distanza siderale ci offre il migliore punto possibile d’osservazione, di analisi e di azione.  I nostri personaggi, a differenza di quelli di Dostoevskij, non conoscono vergogna e senso di colpa, ma solo salvacondotti, cavilli, espedienti a buon mercato di qualunque tipo purchè utili per non pagare pegno e per continuare come prima senza ravvedimento nè un giorno di sospensione. Di coscienza neanche l’ombra.

Perciò la vicenda dell’emendamento – per fortuna rimasto inefficace ma, occhio!, da qualche parte rispunterà – ci racconta molto più di quanto possa sembrare. E la città si svegli: nessuno dei colpevoli ha voglia di confessare, né di espiare e neanche di fermarsi un po’ magari solo a riflettere. Perciò la rinuncia dei cittadini, in massa, alla partecipazione alla res publica è un castigo, un auto-castigo ingiusto e beffardo inflitto innanzitutto agli onesti i quali vedono la loro onestà nel rapporto con la res publica condannata ad essere minoranza e a soccombere.

Gli articoli precedenti

In Sicilia Report ha pubblicato articoli, sul ‘Sistema Abbate’ e temi collegati, il 12 dicembre 2022 (qui); il 16 gennaio 2023 con riferimento soprattutto ad una gara ‘fuori legge’ da otto milioni di euro (qui); il 17 gennaio 2023, su richiesta di molti lettori, per precisare e chiarire in dettaglio il tipo di favoreggiamento offerto da Cuffaro alla mafia (qui); il 6 febbraio 2023 sull’inquietante lascito di Abbate (qui); il 15 febbraio 2023 ancora sul ‘sistema’ e su affari connessi (qui); il 26 maggio 2023 su un ‘vero e proprio manuale’ del voto di scambio (qui); il 9 giugno 2023 sulla nuova amministrazione definita ‘Abbate ter’ (qui); il  23 dicembre 2023 (qui) e il 5 gennaio 2024 (qui) sul ruolo del segretario comunale Giampiero Bella in quasi nove anni d’attività a Palazzo San Domenico; il 20 aprile 2024 (qui) su una transazione da 13 milioni di euro che raddoppia i costi del Comune, altre gravi illegittimità e l’avvio del nuovo regime di riscossione dei tributi; il 3 ottobre 2024 su una serie di ulteriori casi di illegittimità, violazioni di legge, disastro dei conti pubblici e sugli intrecci relativi allo strano strapotere di un funzionario comunale (qui); il 20 novembre 2024 sull’Istituto professionale di Stato Grimaldi e sulla scuola privata Esfo piegati dal ‘sistema-Abbate’ ai propri interessi privati di potere clientelare, invasivo e opprimente per il tessuto democratico della città (qui); il 19 dicembre 2024 sul dissesto del Comune già in atto e sull’incandidabilità per dieci anni di Ignazio Abbate e dei responsabili (qui).

Affrontano vicende riguardanti il ‘Sistema Abbate’ e il Comune di Modica anche quelli concernenti l’attacco alla libertà di stampa, pubblicati il 9 maggio 2023 (qui) e il 15 giugno 2023 (qui).