Dal giovedì 6 a domenica 9 giugno circa 340 milioni di europei di 27 Stati nazionali confederati – il più grande corpo elettorale democratico transnazionale del mondo – andranno al voto per scegliere i 720 deputati del nuovo Parlamento, il decimo a suffragio diretto, 45 anni dopo il primo eletto dal 7 al 10 giugno 1979. In Italia si voterà il pomeriggio di sabato 8 e l’intera giornata di domenica 9 giugno e dalle schede imbucate nelle urne deriverà l’elezione di 76 deputati, lo stesso numero della rappresentannza uscente. L’Italia è, con la Grecia, il solo paese dell’Ue a richiedere l’età di 25 anni ai candidati e mantiene il limite della maggiore età per l’esercizio dell’elettorato attivo, mentre diversi paesi tra cui la Germania aprono le urne anche ai sedicenni.
Votare per l’Europarlamento è un obbligo solo in Belgio, Lussemburgo, Bulgaria e Grecia, ma l’Italia ha sempre avuto un’affluenza superiore alla media, pur in forte discesa, dalla prima volta quando toccò l’85,7% all’ultima (54,5%), sempre in caduta tra un’elezione e quella successiva, tranne che nel ’99 quando rispetto al ’94 fece registrare un lieve incremento. Di contro l’affluenza alle urne nell’Unione europea nel 2019 è stata del 50,7%, oltre otto punti in più del 2014 (42,6%).
La pandemia degli anni ’20-’21 e la guerra esplosa a febbraio 2022 con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia hanno fortemente segnato il quinquennio appena trascorso e posto le istituzioni europee dinanzi ad un bivio: è maturo il tempo dell’abbandono di miopie ed egoismi per dar vita ad una vera Federazione di Stati capace di dare risposte europee ai bisogni essenziali di una popolazione di 446 milioni di persone, in uno spazio di 4 milioni e 200 mila chilometri quadrati – fonte e terra di sedimentazione nonchè incrocio fecondo di alcune delle più importanti civiltà dell’uomo – in un percorso di ampliamento e integrazione capace di riunire su un comune standard di sviluppo, pace, diritti, giustizia sociale, inclusione e solidarietà tutti i paesi e i popoli del continente? Il bisogno appare molto avvertito, una risposta risolutiva una necessità della storia, ma i dubbi che ve ne siano le condizioni sono molto forti.
Poichè la cultura in tutte le sue forme – dalla letteratura all’arte – è il portato principale della civiltà umana nel vecchio continente, sottoponiamo il tema al poeta e scrittore Domenico Pisana che è nato e vive a Modica, la città del Nobel Quasimodo a cui è intitolato il Caffè letterario che presiede, promotore di un’incessante azione di impegno civile e culturale e protagonista di scambi e di momenti di fervido confronto con autori del Mediterraneo.
Cosa potrà accadere con queste elezioni?
<<Ritengo che oggi l’Europa sia percepita come una casa comune. Sono convinto che sia in atto un forte mutamento di coscienza e di atteggiamento dei cittadini italiani nei riguardi della Comunità Europea: prima l’Europa la si considerava una entità astratta e lontana, tant’è che il voto per le Europee non riscuoteva molto interesse; oggi, sicuramente, si è risvegliato l’interesse e il coinvolgimento dei cittadini, dei giovani e delle famiglie verso l’Europa; questo spiega il perché in Italia quasi tutti i leaders politici di primo piano si sono candidati: pur sapendo che non potranno assolvere il compito in caso di elezione, vogliono valutare la tenuta dei loro partiti.
<<Credo che sia oggi importante cercare di capire le ragioni dell’Europeismo, perché riscoprire tali ragioni significa, per una realtà come quella siciliana, crescere politicamente, avere degli interlocutori in Europa, favorire un processo di sviluppo economico efficace ed articolato. Oggi più che mai occorre una politica in grado di portare in Europa la voce e le ragioni delle nostre popolazioni. Ricordiamoci che il Parlamento Europeo ha assunto, con il trattato di Amsterdam, maggiori poteri e che, quindi, è divenuto un vero “soggetto legislatore” in tutti i campi: dall’agricoltura alla formazione, dai beni culturali all’importazione, etc…Questo significa che avere uomini della Sicilia al Parlamento Europeo vuol dire avvicinare la Sicilia all’Europa, creando, così, i presupposti perché la Sicilia, cuore del Mediterraneo, non rimanga la piccola cenerentola, ma possa crescere e decollare con il supporto di provvedimenti legislativi non di mera assistenza ma di sviluppo>>.
L’Europa che conosciamo è il meglio possibile, oppure può essere costruito un modello nuovo?
<<Il modello che si è costruito in questi ultimi anni è sbilanciato, perché è quello dell’Europa dei banchieri, della moneta, dell’economia e non dell’Europa politica, sociale, dei popoli, dell’Europa che rispecchia le vocazioni territoriali e che evita l’accentramento di gruppi di interesse e il rischio di essere governati da multinazionali.
<<Io da siciliano penso e desidererei un’Europa dove ogni stato membro abbia riconosciuto il suo spazio per crescere e dove si determinino le condizioni per non essere oggetto di assistenza ma protagonisti; non serve la politica assistenziale, occorre invertire la tendenza con la politica dei progetti che diventano investimenti. Si pensi, ad esempio, ai beni culturali europei! L’80% si trova in Italia, e di questo 80% molta parte in Sicilia, alla quale, però, l’Europa dà solo le briciole. L’Europa dei valori, della sussidiarietà e della solidarietà sociale è quella che auspico.
<<Senza un progetto valoriale, culturale e di solidarietà tra i popoli non è possibile costruire un’Europa autentica e con un’anima; costruiremo l’Europa delle banche, dei mercati e delle grandi lobby economiche, ma non una comunità europea in cui possa affermarsi il rispetto della diversità e in cui venga salvaguardato il diritto alla vita e siano tutelati i valori della libertà e della democrazia. Dunque, un’Europa dei valori è quella che bisogna far nascere dalle elezioni di giugno, un’Europa dove la libertà e la democrazia vengano tutelate dagli attacchi del terrorismo con un sistema di difesa che in atto la comunità europea non è riuscita a darsi>>.
L’Europa unita è utopia?
<<L’Europa difficilmente potrà essere unita. Dire “Unione europea” è solo uno slogan, significa parlare di una realtà che non esiste e non esisterà mai per la semplice ragione che all’interno di essa le diverse culture politiche non cercano il dialogo e il confronto né mostrano rispetto le une verso le altre. E’ diventato infatti di casa lo scontro tra la cultura liberale, la culturale conservatrice e moderata, la cultura socialista e quella riformista. Dentro queste culture si esprimono, oggi, forze e gruppi politici che una volta facevano riferimento a partiti di destra, di centro e di sinistra, ma che oggi navigano in una liquidità di azione e di pensiero che ancora usa queste nomenclature ideologiche in modo strumentale per captare il consenso.
<<C’è in Europa un gioco di parole divisivo che la stampa accende, e che usa termini come identitarismo, conservatorismo, sovranismo, atlantismo, popolarismo, progressismo, relativismo quasi a voler insinuare che nella Comunità Europea gli stati membri debbano rinunciare alla propria identità e sovranità di popolo e di nazioni europee per far posto ad una “globalismo” che va oltre le differenze. Ci sono, così, partiti che parlano di “degenerazioni nazionaliste” e partiti che si radicano nelle radici culturali e giudaico-cristiane dell’Europa, per preservare l’identità dei popoli europei, valorizzando le differenze senza annullarle. E’ vero che ci sono in Europa anche gruppi nazionalisti, ma si tratta di un nazionalismo che nulla ha a che vedere con i principi su cui si basa la nostra civiltà – la libertà, l’uguaglianza, la democrazia, il diritto, l’incontro tra fede e ragione – e che pertanto deve essere contrastato democraticamente e non con la criminalizzazione. Gli italiani dovranno eleggere quelle persone che in Europa ritengono possano essere capaci di realizzare l’interesse nazionale e di rappresentare degnamente l’Italia accanto agli altri grandi paesi; insomma uomini e donne capaci di costruire una Europa per l’Italia e un’Italia per l’Europa>>.
Quali le priorità del nuovo Parlamento europeo?
<<I problemi che più ci toccano da vicino sono quelli del lavoro, dell’agricoltura e dell’alimentazione; in quest’ultimo caso non è possibile annullare le enogastronomie dei popoli ed imporre, per fare un esempio, di mangiare insetti, carni chimiche e quant’altro; e ancora il problema della salute, della natalità, dell’indipendenza energetica, dei diritti civili, il tema dell’intelligenza artificiale, dell’accoglienza e dell’immigrazione, del cambiamento climatico, il problema delle diseguaglianze sociali, del potenziamento degli scambi culturali ed artistici, la questione della digitalizzazione. Le problematiche da affrontare non mancano e in effetti tutti i gruppi e movimenti politici che sono in campo li hanno messi al centro dei loro programmi, offrendo, ognuno la propria visione e il proprio orizzonte. Purtroppo di programmi si parla poco, perché, come da consuetudine elettorale, prevalgono spesso gli insulti e le offese personali tra politici, tra cittadini tifosi, tra giornalisti e salottieri, tra gruppi contrapposti che mostrano ira, livore e acredine affastellati in un linguaggio bellico e militare: “battere le destre dicono a sinistra, sconfiggere le sinistre dicono a destra: vincere…vincere…sconfiggere…sconfiggere!!. Vincere e sconfiggere che cosa? Che squallore! Altro che costruire la nuova Europa, cercare il confronto onesto e democratico!>>.
Le politiche sull’immigrazione e, da più di due anni ormai, la guerra sono i fronti più caldi dell’Europa. Cosa fare?
<<Che strano, l’Europa si trova spesso “unità” nella guerra, nella corsa agli armamenti, quasi a dire che non esistono altre vie idonee a trovare accordi di pace: l’unica strada per fermare la violenza e le guerre in corso sono le armi. Rispetto chi la pensa così, ma io mi vergogno, perché credo nel dialogo, nella ragione, nel negoziato, e da laico cattolico condivido l’appello di Papa Francesco che ha dichiarato: “L’aumento della spesa per le armi è pazzia, mi sono vergognato”. Sì anche io mi vergogno! Che un paese debba avere un budget finanziario per spese militari che servono a mantenere l’esercito, le forze di polizia e strutture di difesa che spesso intervengono in operazioni umanitarie in caso di terremoti, eventi calamitosi e disastri ambientali, ci sta pure, ma investire nella fabbricazione di armi per finanziare guerre è una follia.
<<L’Unione Europea, relativamente alle guerre in corso, esce sconfitta perché non è stata in grado di promuovere incisive azioni diplomatiche volte all’immediato “cessate il fuoco” e all’avvio di negoziati finalizzati a proporre una soluzione politica giusta ed equilibrata che spenga il conflitto. Dal nuovo Parlamento Europeo ci si aspetta pertanto, mediante la costituzione di appositi organismi, di un rilancio del multilateralismo come strumento di dialogo e di cooperazione nonché una affermazione del primato del diritto internazionale sulla base della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani>>.
In tema di diritti civili, di libertà di pensiero, di libertà religiosa, di immigrazione, forze e movimenti politici nazionali si muovono spesso su posizioni contrapposte. Che Europa vediamo all’opera su questo terreno?
<<Rimango perplesso e disorientato! L’Europa usa due pesi e due misure: si unisce per dichiarare guerra, per conflitti armati, per inviare armi, interviene per tutelare interessi economici e salvare banche, e poi dimentica, scandalosamente, che di fronte al dramma dell’immigrazione, dei cinquemila migranti che giacciono nei fondali del Mediterraneo non riesce a trovare l’unità, dicendo spesso all’Italia: pensaci tu, mia cara! Mi vergogno, al pensare che l’Europa è disunita sulla politica dell’accoglienza e dell’immigrazione mentre riesce ad essere unita nel trovare miliardi da investire in armamenti. E la solidarietà? Utopia degli idealisti, dei pacifisti!
<<Si rimane sconcertati di fronte ad una politica europea disunita per l’accoglienza, (a parole certo tutto è perfetto, la solidarietà è assicurata su base volontaria, salvo nei fatti, poi, ogni stato membro a pensar per sé) e unita negli investimenti militari per operazioni di guerra.
<<Come possono dirsi pacifisti e custodi della costituzione i responsabili istituzionali dell’Italia, se poi cadono in contraddizione con loro stessi, tradendo l’art.11 della Costituzione italiana, che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
<<Se questa è l’Europa che con il voto vogliamo costruire, non sono europeista. Io credo in un’altra Europa. Io credo nell’Europa politica, sociale e dei popoli, nell’Europa dei valori, dei diritti, della sussidiarietà e della solidarietà sociale, dotata di un progetto valoriale, culturale e di accoglienza reciproca che per essere realizzato non deve necessariamente ricorrere alle armi ma deve seguire la via del negoziato. Anche sul tema religioso c’è una tendenza discutibile. Sta pendendo sempre più forza l’idea che dall’Unione Europea siano da bandire segni e simboli che facciano riferimento alla cultura giudaico-cristiana, perché questo può impedire il dialogo tra culture religiose diverse. Si invoca pertanto la laicità, un’Europa secolarizzata dove non si parli più di Dio: mi sembra la strada che si vuole seguire, che rispetto, ma che non mi trova d’accordo. Condivido invece quanto diceva Papa Giovanni Paolo II, e cioè che “l’Italia, in virtù della sua storia, della sua cultura, della sua attuale vitalità cristiana”, ha la possibilità di “un grande ruolo per non far perdere all’Europa le proprie radici spirituali”.
<<Più che pensare ad eliminare, bisogna invece rispettare e permettere il dialogo e l’ espressione delle varie culture religiose, perché hanno la capacità di ispirare rinnovamento nella società, rappresentano, salvaguardano e alimentano gli aspetti fondamentali, spirituali e religiosi, che sono alla base della costruzione dell’Europa. Anche sul tema dei diritti civili e delle questioni etiche in materia di maternità, famiglia e famiglie omogenitoriali, aborto, eutanasia, maternità surrogata, omosessualità, gender, bioetica, l’Unione Europea ha un compito delicato; non è facile trovare una linea unica, ma occorre perseguire una strada che eviti di violare la singola libertà di coscienza e che non consenta di porre in essere inaccettabili discriminazioni>>.
Questi temi sono sentiti dalla maggioranza degli elettori o questioni più concrete e urgenti come il lavoro, la sicurezza, l’alimentazione, le tecnologie prendono il sopravvento?
<<Può essere anche così, ma non possono eludersi. Sono, secondo me, problemi importanti che vanno di pari passo con la costruzione di una Europa del lavoro e del federalismo. Dalle elezioni dell’8 e 9 giugno mi auguro che esca un’ Europa del lavoro e dell’occupazione, capace di creare le condizioni di investimento nelle imprese, nella scuola, nella ricerca e nella formazione a partire dalle singole unità territoriali in una prospettiva di federalismo solidale. Sogno una visione federale dell’Europa, che significa in altre parole: richiesta di modifiche delle autonomie già previste dalle leggi vigenti; richiesta di spazi, mezzi, poteri ordinari e straordinari affinché le autonomie, dove esistono, diventino effettivamente operanti. Federalismo europeo non significa rottura di una unità e chiusura in un gretto nazionalismo, ma capacità di allargamento dei poteri in vista di un maggiore snellimento del percorso politico degli stati membri.
<<La politica deve dare la speranza che si possa aprire la strada verso una Europa sociale e dei popoli in cui la Sicilia possa essere rispettata nel suo processo di autonomia, valorizzata e rilanciata nella sua specifica vocazione culturale, territoriale ed economica. Perché l’Europa sia davvero una casa comune è necessario che siano eletti al Parlamento Europeo uomini capaci di favorire un processo reale di sviluppo economico, sociale, culturale, ambientale di ogni paese membro, e con organismi di protezione e difesa dei cittadini.
<<Se pensiamo che il Parlamento Europeo è divenuto, come già detto, un vero “soggetto legislatore” in tutti i campi: dall’agricoltura alla formazione, dai beni culturali all’importazione, dalla sanità all’immigrazione, dall’inclusione al fisco, dal clima agli investimenti, dall’economia alla politica monetaria, dalla sicurezza al contrasto al terrorismo, è su questi temi che bisogna trovare l’unità, non sulla guerra. E’ questa l’Europa che deve “andare avanti” e crescere unita: di guerra si può solo morire e ritornare indietro!>>.
Quale augurio per una nuova Unione Europea?
<<L’augurio che faccio, prendendo a prestito le parole della Conferenza Episcopale Italiana, è che “questa tornata elettorale diventi davvero un’occasione di rilancio, un risveglio di entusiasmo per un cammino comune che contiene già, in sé e nella visione che proietta, un senso vivo di speranza e di impegno motivato e convinto da parte dei cittadini.”
<<Spero che questo augurio possa avere effetti concreti e invogliare tutte le parti in campo alle prossime Elezioni Europee a deporre gli insulti e a innalzare il livello del confronto politico, ad allontanare la sfiducia, ad evitare di puntare il dito perché non esistono partiti, persone, politici, giornalisti, intellettuali, opinionisti che possano vantare una superiorità morale, né esistono responsabili di Istituzioni senza “pagliuzza” o senza “trave”; l’una e l’altra ora convivono, ora si alternano, né stanno entrambi da una sola parte; non esistono partiti, gruppi e movimenti politici, categorie sociali, professionali e aggregazioni che possano dire di essere senza “pagliuzza” o “trave”: chi lo dice , dice il falso; e l’affermazione di questa falsità è spesso la causa scatenante dell’ incomprensione, della confusione e del malessere profondo che serpeggia nella nostra società e nel nostro Occidente.
<<Nel caso in cui la nuova Europa che vorremmo non verrà, non ci resterà che cantare le parole di Mina… Che cosa sei, che cosa sei, che cosa sei, Cosa sei / Non cambi mai, non cambi mai, non cambi mai/… Parole, parole, parole /Parole parole, parole / Soltanto parole / Parole tra noi>>.