Caso Mineo (corruzione giudiziaria) e ‘Sistema-Siracusa’: assolto il giornalista Angelo Di Natale imputato del reato di diffamazione a mezzo stampa. La sentenza emessa dal Tribunale di Ragusa ‘perchè il fatto non sussiste’ chiude un processo durato sei anni e scaturito da una querela di Maria Sgarlata, moglie dell’ex giudice del Cga arrestato e poi condannato. La donna, allora capo della polizia locale di Scicli, non gradì di essere citata da La Prima Tv diretta da Di Natale il quale, autore anche di approfondimenti sulla vicenda, ha sempre rivendicato la scelta: necessario riferire quell’informazione, elemento essenziale della notizia. Assoluzione piena anche per Carmelo Riccotti La Rocca, autore del servizio e vittima d’aggressione da parte del figlio della dirigente comunale nel silenzio del sindaco
Si è concluso con una sentenza di assoluzione con formula piena il processo per diffamazione a mezzo stampa che, dinanzi al Tribunale di Ragusa, ha visto imputati i giornalisti Angelo Di Natale e Carmelo Riccotti La Rocca per fatti avvenuti nel 2018, a partire dal 4 luglio, giorno in cui fu arrestato l’ex giudice amministrativo Giuseppe Mineo, poi condannato per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio.
Di Natale, direttore responsabile de La Prima Tv, e Riccotti La Rocca giornalista della redazione, furono querelati da Maria Sgarlata, moglie di Mineo e dirigente della polizia comunale di Scicli, città in cui la coppia risiedeva e dove Mineo – politico e docente universitario nonchè ex giudice amministrativo in quanto membro del Cga, il Consiglio di giustizia amministrativa – all’alba del 4 luglio 2018 fu raggiunto da ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Il Tribunale di Ragusa in composizione monocratica (giudice Francesca Aprile) all’esito dell’udienza conclusiva del 17 aprile scorso ha emesso il dispositivo di assoluzione nei confronti dei due imputati ‘perchè il fatto non sussiste’, così come richiesto dalla difesa (Giovanni Cassarino per Di Natale e Michele Savarese per Riccotti La Rocca), mentre il pm (vpo Patrizia Pino) aveva invocato la condanna di entrambi ad una multa di € 800,00 e la difesa di parte civile (Edoardo Cappello) si era associata alla posizione dell’accusa.
E’ stato l’avvocato Cassarino nell’arringa finale a focalizzare i temi e i motivi salienti del processo, dimostrando l’insussistenza del fatto ipotizzato come reato: per l’incontestabile verità delle informazioni riportate nel Tg e nelle varie trasmissioni televisive dell’emittente; per la pertinenza data dall’indiscusso interesse pubblico della vicenda; per la continenza osservata, sempre rispettosa dei confini posti dalla giurisprudenza di legittimità al diritto di cronaca e – soprattutto per quanto riguarda Di Natale autore di diversi commenti – alla libertà di critica.
La notizia dell’arresto di Mineo fu in primo piano nell’informazione di testate locali e nazionali fin dalla mattina del 4 luglio 2018. Oggetto della querela innanzitutto il primo servizio trasmesso nell’immediato dal Tg de La Prima Tv nel quale si riferiva che Mineo era stato arrestato nell’abitazione nella quale viveva a Scicli con la moglie Maria Sgarlata citata, nel servizio di cronaca a firma di Carmelo Riccotti La Rocca, in relazione alla pubblica funzione esercitata quale comandante della polizia locale nel territorio di Scicli.
Dopo la trasmsissione del servizio, il figlio della dirigente comunale si rese protagonista di un tentativo di aggressione con minacce reiterate per diverse ore, al punto che sono dovuti intervenire i Carabinieri, nell’abitazione di Riccotti La Rocca dinanzi alla moglie terrorizzata e al figlio piccolo mentre il giornalista era assente.
La Prima Tv – oltre a riferire puntualmente con servizi, commenti ed approfondimenti, anche a cura del direttore Di Natale, tutti gli sviluppi e i dettagli del caso giudiziario riguardante l’ex giudice amministrativo – trattò ampiamente la vicenda dell’aggressione come attacco, grave ed inquietante, alla libertà di stampa e al diritto della comunità ad essere informata, dando conto del dibattito pubblico che in sede locale ne scaturì. Il sindaco Vincenzo Giannone non spese mai una parola di condanna dell’aggressione, nè di solidarietà al giornalista e alla testata, e la maggioranza consiliare, facendo mancare ad ogni occasione il numero legale, non votò mai un ordine del giorno presentato in proposito da consiglieri di minoranza. Su questi aspetti della vicenda in dibattimento hanno testimoniato, fornendo un contributo alla verità, Concetta Morana e Maria Teresa Iurato, all’epoca consiglieri comunali rispettivamente del M5S e della lista Scicli Bene comune.
<<Prendo atto del dispositivo di assoluzione – afferma Angelo Di Natale – in attesa di conoscere le scelte che, dopo il deposito della sentenza, faranno la Procura e, nel proprio ambito d’azione, la parte civile in ordine ad un’eventuale prosecuzione del processo. Intanto la decisione del Tribunale, dopo sei anni e diverse udienze dibattimentali, rende giustizia spazzando via ogni dubbio su quale sia la funzione – e, aggiungo io, il dovere – della stampa. La Prima Tv fu l’unica testata a ritenere di dovere riferire al pubblico che quel ‘soggetto di cronaca’ fosse il coniuge del capo della polizia locale a Scicli. Mineo infatti – osserva Di Natale – non solo era un ex giudice amministrativo arrestato per corruzione in atti giudiziari, ma era anche: un noto docente universitario molto influente negli affari in città; un politico già indicato anni prima come possibile assessore proprio dal sindaco Giannone quando, candidato in un’occasione precedente, non era stato eletto e che, proprio poche settimane prima dell’arresto, nelle elezioni del 10 giugno 2018, era in lista con la Lega per il consiglio comunale di Catania; infine, proprio a Scicli, era lobbista per conto dell’Acif al tempo dell’assalto al Comune, tra i cui dirigenti figurava la consorte, portato avanti dai ‘signori delle discariche’ contro il territorio, l’ambiente, la città e la salute dei suoi abitanti. Assalto sfociato nello scioglimento del consiglio comunale disposto nel 2015 (governo Renzi, ministro dell’Interno Angelino Alfano) con la motivazione fasulla, come attestato in sentenze definitive, che nel Comune ci fossero infiltrazioni mafiose ma, in effetti, maturato per ‘esigenze’ opposte: ovvero piegare l’ente che, con il suo sindaco Francesco Susino, la giunta e il consiglio, aveva respinto pressioni affaristiche ed infiltrazione d’interessi illeciti e si era opposto appunto ai voleri di quei cosiddetti ‘signori delle discariche’ che abbiamo conosciuto per esempio nel ‘Sistema-Montante’ avente a capo l’imprenditore e noto impostore antimafia al quale il ministro Alfano, come è sancito nella sentenza di un tribunale della Repubblica, era ‘istituzionalmente genuflesso’ e non poteva dire di no.
<<Con le armi del ‘Sistema Siracusa’ di cui Mineo era una pedina e del ‘Sistema Montante’ – sostenuto dall’allora senatore del Pd Beppe Lumia, grande fautore dello scioglimento nonchè fan e ispiratore del giornalista Paolo Borrometi – furono spazzati via gli organi democraticamente eletti, ‘colpevoli’ solo di avere difeso gli interessi della città, al culmine di una vicenda dai risvolti propri di una spy-story, dalla misteriosa irruzione di 007 negli uffici comunali a tante altre anomalie, che per via istituzionale abbattè il muro eretto dagli onesti che impediva all’Acif , di cui – ripete Di Natale – Mineo era riconosciuto e influente pubblico lobbista, di realizzare una discarica contro le norme di legge e contro gli interessi sani della città.
<<Sono stato io – prosegue Di Natale – nel momento dell’arresto di Mineo il 4 luglio 2018, a ritenere che fosse preciso dovere della stampa non sottacere quel legame, giuridico e pubblico, dell’indagato con il coniuge, e ciò solo in ragione del ruolo di responsabilità esercitato da questi nel Comune. Già solo questo legame, stante l’ufficio esercitato dalla dirigente della polizia locale, sarebbe bastato a giustificare la necessità della completezza della notizia. Inoltre lo scenario che ho appena descritto e noto già allora rendeva ancora più pressante tale necessità: il che non significava affatto estendere le imputazioni di Mineo alle persone a lui vicine, ma semplicemente presidiare il diritto della comunità locale di conoscere e valutare al meglio ogni dinamica possibile nelle vicende del pubblico potere e degli interessi privati nello spazio cittadino. Per questi motivi il nostro Tg, unica testata a farlo, ritenne doveroso citare quel legame. La scelta fu mia, quale direttore responsabile, come ho dichiarato, rivendicandola con orgoglio, nel corso del dibattimento in tribunale, anche al fine di escludere per oggettiva verità delle cose la responsabilità di Carmelo Riccotti La Rocca>>.
Nella querela la dirigente comunale si era lamentata anche dei servizi critici sulle modalità di accesso al ruolo. In proposito La Prima Tv, soprattutto negli editoriali di Di Natale e negli spazi di commento e d’approfondimento, aveva criticato il Comune e i vari sindaci succedutesi dal 2010 in poi (Giovanni Venticinque dal 2008, Francesco Susino dal 2012, Vincenzo Giannone dal 2016) per avere assegnato con incarico diretto, e poi via via prorogato, un ruolo di così delicata responsabilità – quello, appunto, di capo della polizia locale – senza alcun concorso.
Su tutti gli aspetti della vicenda Di Natale è lungamente intervenuto nel processo ed in seguito, il 25 luglio 2022, ha riassunto gli elementi più significativi in uno spazio d’informazione dell’emittente In Sicilia Tv di cui è direttore (qui).
Per la cronaca Giuseppe Mineo, accusato di vendere le proprie sentenze, il 2 ottobre 2022 è stato condannato dal Tribunale di Messina a 6 anni e 6 mesi di reclusione per corruzione in atti giudiziari e rivelazione di segreti d’ufficio. In precedenza aveva subito un’altra condanna, in sede penale a sei mesi per omissione d’atti d’ufficio, e in sede contabile al pagamento di 315.364,00 mila euro, in relazione al sistematico ritardo di deposito delle sentenze. In pratica nei sei anni di mandato dal 2010 al 2016, retribuito con oltre 16 mila euro al mese, Mineo era sistematicamente inadempiente, spesso rasentando il 100%, nel deposito delle sentenze, nonostante gli ammonimenti e le contestazioni disciplinari. La somma di 315.364 euro equivale al 70 per cento della retribuzione percepita in due anni, da giugno 2014 al 26 agosto 2016. In effetti nei quattro anni precedenti la violazione era stata anche superiore, il 100% nel primo anno ed oltre il 90% nei successivi, ma il tempo trascorso ha aiutato l’incolpato.
Proprio tali contestazioni gli impedirono, una volta esaurito nel 2016 il periodo di carica in Cga – che in Sicilia è giudice amministrativo d’appello in luogo del Consiglio di Stato che opera nel resto d’Italia – di essere nominato membro proprio del Consiglio di Stato, traguardo di fatto conseguito dopo essere entrato nell’elenco di nomi proposto dal Consiglio dei ministri presieduto da Matteo Renzi e sfumato solo per i suoi imbarazzanti precedenti disciplinari in Cga. A farlo inserire nell’elenco di Palazzo Chigi, come ha rivelato il processo sul ‘Sistema Siracusa’, era stato Denis Verdini – ex plenipotenziario berlusconiano poi stampella parlamentare del governo Renzi, quindi suocero di Matteo Salvini e pluripregiudicato in carcere – in cambio di 300 mila euro versati dal grande corruttore del sistema, l’avvocato Piero Amara di Augusta, il quale poi con il suo socio e collega Giuseppe Calafiore, avrebbe messo a frutto l’investimento dettando a Mineo le sentenze di cui il ‘sistema’ avrebbe avuto bisogno.