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Ragusa, il processo (falsità in atti pubblici commessi da pubblici ufficiali) al capo di gabinetto del sindaco Cassì e ad altri dirigenti e funzionari. La ‘colpa istituzionale’ del silenzio e il dovere della stampa. Perchè il Comune non si è costituito parte civile nel giudizio? Le intercettazioni erano state disposte per l’inchiesta sull’appalto per la gestione della piscina comunale e del campo da rugby.

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Ha suscitato interesse, curiosità, grande attenzione, oltre a polemiche e critiche di varia natura, l’articolo pubblicato ieri (qui) e relativo al processo in corso dinanzi al Tribunale che vede imputati dirigenti e funzionari del Comune di Ragusa, insieme ad un privato, promotore di un progetto di basket con i detenuti, in relazione alle falsità che sarebbero state commesse al fine di erogargli un contributo.

‘In Sicilia Report’ ha appreso la notizia a seguito dell’udienza dibattimentale di martedì scorso, 23 maggio. E’ questa data, decisa dal tribunale, che ha consentito che diventasse pubblica una vicenda che risale al 2019, oggetto d’inchiesta dal 2020, sfociata nel giudizio di sei imputati a novembre 2022 ma finora incredibilmente taciuta da coloro che ne erano a conoscenza.

Ovviamente nessuno contesta agli imputati il silenzio pubblico sulla vicenda ma, proprio per l’essenza e le dinamiche dei fatti, il Comune di Ragusa, per dovere di trasparenza verso i cittadini, avrebbe dovuto scegliere ben altra condotta che la reticenza, osservata peraltro con cura, a giudicare dall’effetto tombale prodottosi per almeno tre anni.

Proprio perché ‘In Sicilia Report’ ha appreso della vicenda dall’udienza dibattimentale di martedì scorso a porte aperte – peraltro non durante il suo svolgimento ma nelle ore successive – ha potuto, utilizzando ogni mezzo di ricerca e di scrupolosa diligenza, avere visione del decreto di rinvio a giudizio depositato a dicembre 2022 dalla Gup Eleonora Schininà a seguito dell’udienza preliminare di novembre, ampiamente riportato nell’articolo di ieri. Da tale decreto si apprendeva che il giudice rinviava a giudizio quattro dei sei imputati, mentre <<si procedeva separatamente per gli altri due>>, il che ovviamente significa che loro avevano optato per riti alternativi, come correttamente riportato da ‘In Sicilia Report’.

Ora, grazie all’articolo da noi pubblicato ieri e all’attenzione pubblica su una vicenda incredibilmente finora da tutti taciuta, apprendiamo che uno dei due imputati, il dirigente Francesco Lumiera, accusato in quanto capo settore ma in effetti estraneo a responsabilità effettive non avendo preso parte all’azione di falsificazione, è stato prosciolto già nell’udienza preliminare sfociata nel processo per quattro imputati, mentre l’altro, Giovanni Nicita, Rup del procedimento, è stato assolto con rito abbreviato (avendo appunto scelto tale rito alternativo) <<per non avere commesso il fatto>> in quanto anch’egli risultato estraneo a responsabilità concrete in quella sequenza di atti che, da quanto disposto dal giudice, chiamano in causa più direttamente i quattro imputati a processo con rito ordinario, ovvero Nunzio Basile, capo di gabinetto del sindaco Giuseppe Cassì; Salvatore Giuffrida, capo servizio del settore sviluppo economico; Gaudenzio Occhipinti, istruttore amministrativo nello stesso settore comunale; Alessandro Lorefice, psicologo promotore del progetto.

L’inchiesta s’è avvalsa anche di notizie provenienti da intercettazioni ambientali dovute a captazioni disposte dalla Procura nel 2018 in relazione ad un’altra ipotesi di reato, la turbata libertà degli incanti nell’appalto della gestione della piscina comunale e del campo da rugby. Gli inquirenti, imbattutisi in questa diversa vicenda, ne hanno ovviamente seguito l’evoluzione esercitando l’azione penale e allegando al materiale investigativo prodotto il contenuto rilevante delle intercettazioni. Tale contenuto fa parte integrante del capo d’imputazione che tale resterà per tutti gli imputati.

Lo ha disposto martedì il Tribunale (in composizione monocratica, giudice Elio Manenti) pronunciandosi sulla duplice richiesta: da parte del pubblico ministero, di trascrizione di tutte le intercettazioni; daa parte della difesa di alcuni imputati, di cancellazione con eccezione di inutilizzabilità. Il giudice le ha respinte entrambe in quanto, per un verso, il capo d’imputazione non è modificabile; per altro verso, poiché tali intercettazioni non sono utilizzabili nel processo in questione essendo state disposte per un’ipotesi di reato diversa anche perché il reato scoperto successivamente non rientra tra quelli che comportano l’obbligo dell’arresto (per quanto contestato ai quattro imputati l’arresto è facoltativo e la pena prevista, in caso di condanna, da tre a dieci anni).

Tale inutilizzabilità, come argomenta il Tribunale, è frutto peraltro del fatto che la norma (riforma-Bonafede) che avrebbe potuto consentire l’utilizzabilità delle intercettazioni nel procedimento in oggetto, secondo il principio del favor rei si applica ai reati commessi successivamente al 31 agosto 2020, mentre nel procedimento in oggetto essi risalgono a luglio dell’anno prima.

Il processo proseguirà quindi senza dell’ausilio delle intercettazioni i cui brani rilevanti riportati dal Gup nel decreto di rinvio a giudizio rimangono comunque nel capo d’imputazione.

Ovviamente l’utilizzabilità o meno di tali intercettazioni nell’economia processuale e ai fini della sentenza, di colpevolezza o innocenza degli imputati, non riguarda in alcun modo la loro pubblicazione tramite la stampa, all’unica condizione che vi sia interesse generale ai fatti che ne sono oggetto e che siano state acquisite lecitamente.

La stampa non è house organ di un ufficio giudiziario e la sua autonomia non è limitata alla redazione di bollettini giudiziari, anche quando si occupa di vicende che siano oggetto di procedimenti giudiziari.

La notizia è sacra, è patrimonio della comunità e, quando vi sia il pubblico interesse (come, oltremisura in questo caso) i giornalisti hanno non solo il diritto ma anche il dovere di pubblicarla: dovunque essa si trovi, purchè acquisita lecitamente come in questo caso (in un pubblico dibattimento) ed anche se dovesse risiedere in materiali giudiziari inutilizzabili. Tale ‘inutilizzabilità’ riguarda infatti il processo penale e la sentenza che ne scaturirà, non di certo il diritto all’informazione dei cittadini, tanto più sugli atti della pubblica amministrazione.

In conclusione, se io, giornalista, vedo dalla finestra una scena e ascolto delle parole, nel caso in cui l’accadimento, di pubblico interesse, diventi oggetto d’inchiesta giudiziaria, posso divulgare gli elementi in mio possesso? Nel farlo, sono libero o no da ogni vincolo inerente la trattazione giudiziaria e l’inserimento in atti utilizzabili o meno nell’economia processuale? Certo che sì: doppiamente. E talvolta quella facoltà è un preciso dovere.

Quando un’intercettazione acquisita lecitamente riferisce fatti di pubblico interesse essi sono sempre divulgabili, a prescindere da posizioni, dinamiche, esigenze, regole processuali.

Il nostro problema è quello opposto. Da dicembre scorso è depositato il decreto di rinvio a giudizio contenente anche i brani rilevanti di quelle intercettazioni, di altissimo interesse pubblico. Come è stato possibile che finora tutto sia stato tenuto nascosto?

Da un Comune trasparente, quindi innanzitutto dal suo sindaco, stante la posizione del suo capo di gabinetto principale imputato e alla luce del fatto che ‘incriminato’ si trovi ad essere un proprio procedimento amministrativo, mi sarei aspettato un altro operato.

E ciò sempre e comunque, quali che siano il suo orientamento politico-culturale o il suo partito, in qualunque data o congiuntura, prima o dopo qualunque scadenza elettorale.

Se a dicembre avessi saputo ciò che ho appreso solo martedì scorso, la notizia sarebbe diventata pubblica con cinque mesi d’anticipo e magari, chi l’ha tenuta nascosta, oggi non si dorrebbe della vicinanza elettorale.

Un diverso operato mi sarei atteso anche in tema di costituzione in giudizio. Sarebbe stato preciso dovere del Comune, a difesa del principio della necessità della correttezza dell’operato di tutti i propri amministratori, dirigenti, funzionari, dipendenti e collaboratori. E invece questa costituzione non c’è stata, con l’effetto sgradevole di collocare il massimo responsabile dell’ente, eletto dai cittadini ai quali è tenuto a rendere conto, su una linea ambigua che alcuni – magari sbagliando –  potrebbero interpretare di prossimità a dirigenti e funzionari pubblici accusati di falsità in atti pubblici commessi da pubblici ufficiali.

Il tutto dentro il Comune, in nome e per conto del Comune. Che tace e – vorrei sperare –  non acconsenta.

Ecco perchè non costituirsi parte civile in giudizio è una pessima scelta.