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Vincenza Rando, dal ponte di comando di Libera verso un seggio al Senato. A Niscemi ricordano ancora il ‘giallo’ (lei vice sindaca) dell’elipista-fantasma fatta costruire (ad una impresa in odor di mafia?) per fare atterrare Violante: pare fosse abusiva. Costata 50 milioni, venne demolita in 24 ore

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Di recente, in relazione ad un processo per diffamazione a mezzo stampa in corso dinanzi al tribunale di Ragusa, ci siamo occupati di ‘Libera, Associazioni, nomi e numeri CONTRO LE MAFIE’ (questa la denominazione, testuale anche nell’uso delle maiuscole). E ciò, per dovere e completezza di cronaca ci ha portato a parlare di Vincenza Rando, vice presidente e responsabile degli affari legali dell’associazione che, querelando una testata giornalistica, ha determinato quel processo.

Rando, 64 anni, è avvocata con studio a Niscemi e a Modena dove vive da vent’anni, come fa sapere lei stessa nella propaganda elettorale che in questi giorni la vede candidata al Senato per il Pd nel collegio uninominale di Modena, territorio da sempre feudo incontrastato del Pci e dei suoi eredi, ma oggi … chissà.

Gli articoli finora pubblicati su quel processo hanno avuto grande seguito di lettori e suscitato particolare attenzione. Almeno due di essi (qui e qui) riconducono direttamente agli affari di Libera in Emilia e all’intreccio tra Pd,  l’associazione antimafia, la sua vice presidente (dimissionaria proprio perchè candidata) e lo studio legale di cui è titolare, gli incarichi affidatigli da pubbliche amministrazioni a guida Pd, nonché imprese con fatturati multimilionari storicamente collegate a questo sistema.

In redazione ci è pervenuta da Niscemi, il comune siciliano dove Rando è vissuta prima di migrare in Emilia, una lettera – da persona di cui abbiamo accertato l’identità e, correlativamente, la riconosciuta serietà, la coerenza e l’attendibilità – nella quale, omessi alcuni elementi di secondaria rilevanza, tra l’altro si legge…

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<<…. Ho letto della candidatura della signora Enza Rando che conosco direttamente come persona diversa da come viene descritta: ha sempre fatto politica, poi l’elezione del sindaco Totò Liardo, uomo onesto ed impegnato, farà la sua fortuna… Totò Liardo che si fidava ciecamente di lei, sarà poi da lei tradito… Ricordo del suo diploma conseguito privatisticamente a Niscemi attraverso il Magistrale parificato di Lina Alissandrello che ben conosco, e ricordo quando nel 2000 si candida a sindaco e non viene eletta, ma Luciano Violante è fondamentale nella sua vita… Lei entrerà a far parte di Libera, non aiuterà nessuno se non se stessa …cerca solo potere  …… Libera la indica come persona con energie fresche e mossa da un profondo disinteressato amore per il bene pubblico, in realtà i fatti che io conosco bene per averli vissuti ci dicono altro …. lei ha sfruttato il dolore della povera gente che ha sempre deluso, la sua candidatura non è un sacrificio per lei ma il massimo traguardo che ambiva a raggiungere, ha tradito e deluso il nostro paese, non viene da anni e quando lo fa non si fa vedere da nessuno… Si è fatta scudo dell’antimafia ma ci sono troppe verità nascoste su molte cose …. Niscemi sa ma non parla … Dice di aver combattuto la mafia a Niscemi e si è intestata una battaglia fatta dall’allora sindaco Totò Liardo che digiunò per fare aprire delle scuole. Questa donna ha usato amici e persone per raggiungere i suoi scopi, Don Ciotti ne ha fatto un’eroina e non si capisce il perché… Hanno reso le persone omertose perché oggi temono più Libera che i mafiosi, una volta mi permisi di scrivere di lei e ricevetti la minaccia di una querela mai arrivata, personalmente provo disgusto per un sistema che descrive la gente per ciò che non è…>>.

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Tralasciamo le opinioni – tutte, di qualunque segno, rispettabili – e avendo chiesto all’interessata di intervenire nello spazio di questa testata sul contenuto della lettera che la chiama in causa come candidata al Parlamento, quindi nella sfera in cui è massimo il diritto alla conoscenza pubblica dei temi posti, ecco, almeno nei punti chiave, i fatti che le cronache del tempo e le testimonianze dirette documentano.

Vincenza Rando a 31 anni, nel 1989 (così attesta il suo c.v. da lei autoprodotto), diventa consigliere comunale di Niscemi dove si è votato il 29 maggio 1988: quindi, non eletta, subentra un anno dopo. Quel consiglio comunale il 18 luglio ’92 sarà sciolto per infiltrazioni mafiose, il trentesimo in Italia: l’istituto dello scioglimento – estremo e straordinario – è entrato nel nostro ordinamento appena un anno prima con il decreto legge 164 del 31 maggio ’91, convertito in legge il 22 luglio successivo.

Il 26 giugno 1994 Salvatore Liardo – che nell’87 ha abbandonato la Dc per sostenere con autenticità e coerenza la ‘primavera’ di Leoluca Orlando – è eletto sindaco, il primo a suffragio diretto, alla guida di una giunta progressista. A Niscemi porta aria nuova e la città è con lui. Memorabili certe azioni di salvezza pubblica condotte anche con gesti eclatanti come a gennaio ’95 uno sciopero della fame per il quale rischia di morire, intrapreso ad oltranza per opporsi al trasferimento del segretario generale che sostiene la sua azione in un Comune prima saldamente occupato dalla mafia: missione riuscita perchè l’assessore regionale agli enti locali Massimo Grillo deve fare marcia indietro e così Liardo vince la sua battaglia per la ‘primavera’ niscemese, impossibile senza un limpido presidio burocratico nel palazzo comunale.

Vincenza Rando ne è la vice per tutta la sua sindacatura, sia nel primo mandato che, dopo la rielezione il 7 giugno 1998, fino alla brusca fine, il 16 settembre 2000, per un voto di sfiducia del consiglio comunale. Una vice factotum Rando, con ampia delega: al personale, agli affari generali, alla pubblica istruzione, alla trasparenza e legalità, successivamente alle attività produttive, ai gemellaggi, al lavoro e ai lavori pubblici.

Lo stop traumatico alla seconda sindacatura Liardo le offre la possibilità di prenderne il posto appena due mesi dopo. Il 26 novembre 2000 Niscemi va di nuovo al voto ma la vice sindaca uscente non ce la fa.

Al primo turno – sostenuta da Lista per l’agricoltura, Rinnovamento Italiano lista Dini, Ppi, Sdi, I Democratici, Ds, Rifondazione comunista – si ferma al 34,6%, ben 4 punti al di sotto delle sue liste, mentre il suo avversario di centrodestra Mario Parrimuto – An, Ccd, Cdu-Ppe, Fi, Democratici liberi per Niscemi, Rinnovamento – raggiunge il 48,7 nonostante la sua coalizione consegua solo il 44,1% per cento.

In effetti Rando, forte al primo turno di un consistente pacchetto di voti giunto da un ‘centro’ (Ri, Ppi, Sdi) in qualche sua componente più che discutibile – superiore a quello di sinistra (Ds, Rifondazione, Democratici) – prova a vincere apparentandosi con le liste del terzo classificato Giuseppe Rizzo (Udeur, Pino Rizzo sindaco, e Comunisti italiani) le quali fanno salire al 51%, senza bisogno di premi, la maggioranza consiliare già formatasi in suo sostegno.

Pur con questa corazzata, Rando al ballottaggio si ferma al 37,09 per cento (-14% rispetto al dato consiliare acquisito dalla coalizione), contro il 62,01 del suo avversario.

Sette anni dopo, al termine di un secondo scioglimento per mafia con Parrimuto già sfiduciato dal consiglio comunale, l’elezione a sindaco riuscirà, per appena 44 voti (0,2%) a Giovanni Di Martino, assessore della giunta-Liardo insieme a Vincenza Rando e in quegli anni socio di questa nello studio legale di Niscemi. Altro suo socio di studio sarà l’avvocato e politico di Vittoria Piero Gurrieri, peraltro direttore generale del Comune di Niscemi con Rando vicesindaca, e successivamente vice presidente di Avviso pubblico, l’associazione di enti pubblici emanazione di Libera che la stessa Rando guida per un triennio e sulla quale torneremo più avanti.

Dopo la sconfitta elettorale del 2000, il cv di Rando ci segnala incarichi professionali di fonte pubblica, per esempio nel Comune di Scordia dove l’amministrazione progressista di centrosinistra la nomina consulente legale in materia urbanistica, lavori pubblici e affari generali.

Segue per lei una lunga serie di incarichi elargiti da pubbliche amministrazioni di svariati comuni, province, enti locali vari, aziende partecipate, dalla Regione Emilia Romagna e dalla Provincia di Modena della quale Rando dal 2004 al 2011 è consulente legale in materia di espropriazione per pubblica utilità e appalti, per volere del presidente Emilio Sabattini il quale poi la nomina anche negli organismi della Fondazione Cassa di risparmio di Modena. Il fitto e mai cessato rapporto d’affari con la realtà pubblica emiliana è descritto nei due articoli sopra richiamati, mentre qui è opportuno fare un passo indietro e tornare alla fase niscemese oggetto della lettera dalla quale siamo partiti.

Da consigliera comunale prima e da vicesindaca poi, Rando è politicamente in prima linea a Niscemi per 11 anni, dal 1989 al 2000, fino alla disfatta elettorale d’autunno alla quale, qualche tempo dopo, segue la partenza per Modena.

Del triennio 1989-’92 nel consiglio sciolto per infiltrazioni le cronache segnalano poco o nulla sul conto della consigliera eletta nel Pci. Sono anni in cui la mafia occupa stabilmente il palazzo comunale con l’andreottiano Paolo Rizzo, medico mutualista, sindaco in carica dal 15 luglio ’88 al 16 agosto ’91. E’ cognato del figlio (Salvatore, medico) del boss Angelo Paternò, e altresì cognato (fratello della moglie) di Giancarlo Giugno, luogotenente di Giuseppe Madonia, numero due di Cosa Nostra nell’isola. Quando Rizzo perde la maggioranza in consiglio ed è costretto a dimettersi, si forma un’altra giunta che diventa bersaglio di intimidazioni e azioni violente: lo scioglimento è inevitabile.

E’ come assessora e vice di Liardo, insediatosi a fine giugno 1994, che Vincenza Rando si mette in evidenza. Tre anni prima, a gennaio ’91, in Sicilia è nata La Rete di Leoluca Orlando la quale alle regionali del giugno successivo elegge 5 rappresentanti all’Ars (il consiglio regionale) e alle politiche dell’anno dopo raccoglie alla Camera oltre 730 mila voti (molti di meno al Senato) conquistando 15 seggi parlamentari: 12 a Montecitorio e 3 al palazzo Madama.

Sono due gli elementi intorno ai quali ruota il brand politico di Rando: da una parte l’onda e la spinta de La Rete, dall’altra la figura di Luciano Violante, deputato alla Camera dal 1979 e dirigente di primo piano del Pci. Rando entra in consiglio comunale a Niscemi nel 1989 nella lista del partito di Violante che, pochi mesi dopo, con la caduta del ‘Muro’ e la Bolognina, si divide in Pds e Rifondazione comunista. Dal 1992 al ’94 Violante è presidente della Commissione parlamentare antimafia, nel ’94 sceglie per la prima volta di candidarsi in Sicilia e, riconfermato alla Camera, ne diventa vice presidente, mentre dal 1996 al 2001 – rieletto ancora nell’isola – siede sullo scranno più alto di Montecitorio.

A Niscemi in quegli anni Violante è di casa e il 25 ottobre 1996 arriva per inaugurare una scuola: questa è solo una delle tante visite ma ne rimane una traccia profonda per via di un caso che ancora oggi fa discutere: è il giallo dell’elipista fantasma fatta costruire in tutta fretta proprio per l’atterraggio del presidente della Camera direttamente sul posto, in contrada Valle Pozzo, vicino alla scuola elementare Pirandello. Atterraggio poi dirottato a Gela perché la struttura, pare costata circa 50 milioni di lire, viene demolita prima ancora di essere utilizzata. Da qui, l’appellativo-fantasma con cui a Niscemi la vicenda corre sulla bocca di tutti, anche in relazione alla contiguità con soggetti mafiosi del clan Giugno attribuita all’impresa incaricata di costruire l’opera.

Tempo dopo si presenta ai carabinieri un limpido difensore della cosa pubblica da tutti conosciuto e apprezzato in città, Giuseppe Maida storico promotore a Niscemi di instancabili sit-in, scioperi della fame, petizioni con raccolta di migliaia di firme, tante battaglie civili e sociali: solo per ricordarne alcune, per l’elisuperficie successivamente costruita dinanzi al cimitero ma non illuminata e inutilizzabile di notte, per l’ospedale, per l’ufficio postale, contro la chiusura del commissariato di polizia, contro il Muos.

Maida firma un esposto-denuncia in cui, a fronte dello spreco di danaro pubblico e del probabile abuso, chiede che sia accertato lo scopo di quei lavori-fantasma, quale ente li abbia autorizzati e se nella procedura siano state rispettate le norme. Nonostante chieda esplicitamente di essere informato dell’esito delle indagini non avrà mai alcuna notizia. A Niscemi tutti sono convinti che Rando goda di totale autonomia e piena fiducia da parte del sindaco Liardo, ma, anche per quell’omissione d’indagine, non risulterà mai chiaro quale ente incappi in quell’infortunio.

Il presidente della Camera ha a cuore Niscemi e, cinque mesi dopo, gratifica il centro nisseno di un evento ancora più solenne: ‘la seconda giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti della mafia’ che si tiene ogni anno il 21 marzo e che nel ‘97 è appena alla sua seconda edizione. Con Violante arrivano a Niscemi il presidente del Consiglio dei ministri Romano Prodi, quello della Commissione parlamentare antimafia Ottaviano del Turco, il procuratore nazionale antimafia Pierluigi Vigna, il procuratore di Palermo Giancarlo Caselli attuale presidente onorario di Libera, tanti vip delle istituzioni e ospiti illustri (in videoconferenza interviene il ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer) oltre a cinque mila persone da ogni parte d’Italia. Ovviamente grande protagonista è Luigi Ciotti, capo carismatico di Libera che, insieme ad Avviso pubblico, organizza la manifestazione allora ai primi passi.

Libera infatti è nata il 25 marzo 1995 nella sede della Cgil di via dei Frentani a Roma, come rete di tante organizzazioni tra cui Arci, Acli, Legambiente, Fuci, Gruppo Abele e la stessa Cgil, al fine di combattere le mafie e promuovere l’uso sociale dei beni confiscati. Il primo atto è la proposta di legge di iniziativa popolare con oltre un milione di firme raccolte che diventa legge il 7 marzo 1996. Un avvio forte e di grande impatto per una storia nella quale, ancora oggi 27 anni dopo, è impressa la faccia di Ciotti.

Il merito politico però è tutto di Violante il quale ha un’intuizione felice, ispirata dall’esperienza dei primi anni de La Rete fondata – con radici a Palermo e Dna siculo-piemontese – da Leoluca Orlando, Nando Dalla Chiesa, Alfredo Galasso, Claudio Fava, Diego Novelli. Nei cromosomi del movimento c’è l’antimafia sociale e poiché la sua vita di soggetto politico autonomo sarà breve, occorre preservare, valorizzare e soprattutto acquisire quel patrimonio di attivismo ideale e militanza autentica e generosa che mobilita decine di migliaia di persone, soprattutto giovani. L’operazione riesce: e così Ciotti, fondatore del Gruppo Abele attivo nel recupero dei tossicodipendenti e, dopo le stragi del 1992, di ‘Narcomafie’, ne è – da sempre – il presidente e, soprattutto, il volto e l’immagine pubblica.

La scelta di Ciotti come capo e volto di Libera è naturale. Egli, giunto a Torino a cinque anni con la famiglia da Pieve di Cadore e cresciuto nella zona delle baracche dei cantieri per la costruzione del Politecnico, giovanissimo combatte importanti battaglie sociali e nel ’65, a vent’anni, fonda il Gruppo ‘Gioventù’ che dal ’71 pubblica il mensile ‘Animazione sociale’.  Violante arriva a Torino dall’Università di Bari – dove, appena laureato, è giovane assistente di Aldo Moro – quando nel ’66, a 25 anni, entra in magistratura e quattro anni dopo, dal ’70, insegna diritto penale nel capoluogo piemontese. In quegli anni di grandi rivolgimenti sociali e culturali nasce il sodalizio tra il sacerdote giunto, bambino dal Bellunese, nella ‘capitale industriale’ italiana e il giurista-politico pugliese stabilitosi all’ombra della Mole e nato nel 1941 a Dire Dawa, in un campo di concentramento etiope dove il padre, giornalista comunista, era stato costretto dal regime fascista.

Per tornare alla genesi di Libera, il progetto e la sua ingegneria sono opera di Violante un cui diretto collaboratore ne diventa infatti il primo vice presidente vicario, ovvero colui il quale in quella fase iniziale, perfino più di Ciotti, ne cura la gestione, l’organizzazione e la macchina operativa.

E da quel momento anche Ciotti a Niscemi è di casa fino a diventarne, il 4 dicembre 1999, cittadino onorario: uno dei primi riconoscimenti di questo tipo, tra i tanti che giungeranno successivamente al presidente di Libera. Alla cerimonia ufficiale, con l’assessore regionale Salvatore Morinello, il sindaco Liardo e la vice sindaca Rando ci sono varie delegazioni di comuni aderenti ad Avviso pubblico, l’associazione di enti locali e regioni per la formazione civile contro le mafie’, costituita il 22 maggio ’96 dalla regione Toscana e da 13 comuni sparsi in tutta Italia, ma cinque dei quali della provincia di Modena. La sua sede è a Grugliasco, in provincia di Torino, e quella legale indicata nell’atto costitutivo a Savignano sul Panaro (Modena).

I primi anni da assessora e vice sindaca di Vincenza Rando sono anche quelli della gestazione, della nascita, dei primi passi e del decollo di Libera. E due mesi dopo il grande evento a Niscemi del 21 marzo 1997, a Caltanissetta arriva la prima prefetta di Sicilia, Isabella Giannola la quale dieci anni dopo, nel 2007, nominata vice direttrice del Cesis, sarà anche la prima donna ai vertici dei servizi segreti. Con lei Rando stringe un forte legame e costruisce piena sintonia: ancora oggi Giannola è nel Collegio dei garanti di Libera. Il valore d’immagine meticolosamente costruito per se da Vincenza Rando – al fianco di Ciotti, Violante e della prima prefetta di Sicilia – è alto ma tre anni dopo, quando deve scegliere il nuovo sindaco, Niscemi, che per due volte ha eletto Liardo, della sua vice non vuol proprio saperne, la boccia sonoramente e vira a destra.

Proprio nei giorni dell’attribuzione da parte del Comune di Niscemi della cittadinanza onoraria a Ciotti a dicembre ‘97, Rando guida una missione a Firenze di cinque consiglieri a ‘scuola di legalità’, attività promossa da ‘Avviso pubblico’ di cui a fine settembre ’99 sarà nominata presidente nazionale fino al 2002, nonostante da due anni non ricopra più cariche amministrative. Avviso pubblico, allora al quarto anno di vita e con 130 enti pubblici già associati, nel tempo si espanderà enormemente  aggregando un numero sempre crescente di comuni ed enti vari, ognuno con una propria quota e un capitolo di spesa a disposizione dell’associazione per attività e iniziative varie. L’ultimo bilancio, 2021, è di 630 mila euro, più della metà dei quali per dipendenti e collaboratori.

Deponendo nel processo di Ragusa il 24 novembre 2021 a proposito dei rapporti tra Libera e il cosiddetto ‘Sistema Montante’, il giornalista e scrittore Attilio Bolzoni usa parole dure per descrivere la deriva di certa antimafia sociale, ridottasi a vuota retorica e all’imbarazzante azione massiccia di procacciatori d’affari in giro per l’Italia nel nome di Libera e in cerca di enti locali disposti ad entrare in Avviso pubblico.

Anche Ciotti, come Violante, accoglie Rando sotto la sua ala protettrice. Lo attesta l’assunzione, già nel ’99, della guida di Avviso pubblico, che è il braccio di Libera in regioni ed enti locali a sostegno, anche finanziario, delle attività ispirate dalla rete di Ciotti e della struttura necessaria per realizzarle. Lo conferma il fatto che la vice sindaca di Niscemi è ben salda e influente nel gruppo dirigente di Libera fin dalle origini e – conclusa la carriera politica in Sicilia con la sonante sconfitta nelle comunali del 2000 – ormai trasferitasi a Modena, nel 2006 entra nella sua presidenza nazionale e, nel 2015, anche nella segreteria centrale assumendo la responsabilità dell’ufficio legale e la posizione di numero due dell’intera organizzazione.

Tornando all’esperienza siciliana, la seconda sindacatura Liardo viene interrotta all’improvviso, il 16 settembre 2000, tre anni prima della scadenza, da una mozione di sfiducia innescata e portata alle estreme conseguenze dal fuoco amico di ampie frange della coalizione. Le elezioni, appena due mesi dopo, vedono l’ambiziosa vice di Liardo pronta a raccoglierne l’eredità ma riceve una netta batosta raccogliendo, come abbiamo visto, molti voti in meno delle liste che la sostengono (cosa poco frequente per candidati progressisti) e scendendo ad appena il 37,09 % in un ballottaggio al quale si presenta sostenuta dal 51% del consiglio comunale già prodotto dal voto del primo turno e a cui, se eletta, avrebbe aggiunto il premio di maggioranza fino al 60%.

Tra i partiti protagonisti di quella fase, un cenno merita Rinnovamento italiano, sigla dell’ex ministro berlusconiano Lamberto Dini, poi premier-‘ponte’, da gennaio 1995 a maggio ’96, tra i governi Berlusconi del ’94 e Prodi ’96-’98, nonchè successivamente, nel 2008, artefice – con un ribaltone e contestuale ritorno ad Arcore – della caduta del secondo esecutivo guidato dal professore bolognese.

Quando nel 1996 Dini lancia il suo partito, nel consiglio comunale di Niscemi una rappresentanza ne assume le insegne, confermata per via elettorale nel nuovo consesso eletto nel ’98 nel quale sostiene il secondo mandato di Liardo. Due anni dopo tre consiglieri di Ri votano la sfiducia, mandano a casa il primo cittadino e nelle nuove elezioni-lampo sono al fianco di Vincenza Rando.

A capo del partito di Dini, in Sicilia c’è in quegli anni Bartolo Pellegrino, deputato (l’equivalente di consigliere regionale nel resto d’Italia) all’Assemblea regionale siciliana già nel 1971, arrestato per assegni a vuoto nel ’91, ancora arrestato nel 2007 per associazione mafiosa (poi assolto), ma, soprattutto, costretto a dimettersi nel 2003 da assessore regionale del governo-Cuffaro perché, intercettato mentre parla con un mafioso di Monreale, definisce ‘sbirri’ i poliziotti e ‘infami’ i collaboratori di giustizia.

Dell’altalena e del posizionamento di Dini, tra Berlusconi e Prodi, l’imprenditore e politico trapanese Pellegrino non potrebbe essere migliore interprete e antesignano: il 21 novembre 1998 fa nascere e il 26 luglio 2000 fa cadere il governo regionale di centrosinistra guidato da Capodicasa (Pds) per poi, l’anno dopo, fondare Nuova Sicilia, correre all’abbraccio con il luogotenente berlusconiano nell’isola Gianfranco Miccichè ed entrare nel governo-Cuffaro.

Per riassumere, a Niscemi Rinnovamento italiano a maggio 1998 è con Liardo, a settembre 2000 lo manda a casa, a novembre è schierato a sostegno di Vincenza Rando. Quello che viene dopo è storia nota.

Un ultimo, breve, passo indietro nel solco dell’input contenuto nella lettera.

Domenica 5 dicembre ’99, il giorno dopo avere ricevuto la cittadinanza onoraria, Don Luigi Ciotti – che è anche un sacerdote – battezza Marica, la bimba di Chiara Frazzetto, la donna che tre anni prima, il 16 ottobre 1996 ha perduto il padre Salvatore e il fratello Giacomo morti in una sparatoria nella gioielleria di famiglia e cinque mesi dopo, anche la madre, Agata Azzolina, suicida il 23 marzo ’97, due giorni dopo la solenne celebrazione della giornata della memoria alla quale sceglie di non partecipare.

Se volessimo cercare un esempio di massima divaricazione tra – da una parte – la verità percepita, compresa, toccata con mano, condivisa e vissuta da una comunità nell’habitat del proprio cuore pulsante e nei luoghi reali in cui i fatti accadano e – dall’altra – la loro narrazione mediatica, corale e istituzionale, eccolo. Per quel duplice omicidio vengono condannati due fratelli, Maurizio e Salvatore Infuso, identificati da Agata Azzolina, presente nel negozio nel momento della sparatoria.

Qui non si vuole entrare nel merito del processo, ma del ‘concerto’ – immediato e tambureggiante – che lo precede, con spartito, direttore e suonatori lontani da Niscemi, estranei alla sua lettura dal basso e da dentro dei fatti, o comunque – se vicini e non estranei – interessati solo a produrre e diffondere quella musica, poco vera ma … utile, conveniente e orecchiabile.

Il riferimento è quindi alla forzatura della verità e alla sua strumentalizzazione retorica.

Se Maurizio e Salvatore Infuso uccidono, come accertato in giudizio, Salvatore e Giacomo Frazzetto, alcuni elementi certi e comprovati rendono infondata e speciosa quella rappresentazione corale.

I due assassini, come da tutti confermato, entrano nella gioielleria disarmati e, dopo una conversazione dai toni crescenti e una colluttazione, Salvatore e Giacomo Frazzetto, padre e figlio, rimangono uccisi, colpiti dalla pistola dello stesso titolare del negozio, sopraggiunto, probabilmente chiamato dalla moglie, negli sviluppi di quella discussione della donna con i due.

Difficile credere che dei mafiosi compiano rapine o riscuotano il pizzo in questo modo. E ciò, in mancanza di elementi certi, serve a contestare non la verità giudiziale, ma lo storytelling che al rullar di tamburi, incontrastato e incontrastabile, parte subito dopo quel tragico 16 ottobre 1996: nove giorni dopo, come abbiamo visto, arriva il presidente della Camera Violante.

A Niscemi, allora come ora, è voce corrente che i due fratelli Infuso trattassero oggetti e preziosi di dubbia provenienza da piazzare e che non entrassero per la prima volta in quella gioielleria. La stessa lettura popolare ha sempre visto nella reazione della donna e nell’irruzione del marito, accorso allarmato dal retrobottega, il fatto scatenante nel quale, per gli sviluppi di una probabile colluttazione, Salvatore e Giacomo Frazzetto perdono la vita.

In questa lettura popolare è il senso di colpa della donna, che le rende insopportabile la perdita del marito e del figlio, ad indurla al suicidio.

Sui giornali invece un’altra verità: due mafiosi uccidono i Frazzetto per punirli del rifiuto di pagare il pizzo e, non soddisfatti, continuano a minacciare e perseguitare la donna la quale, lasciata sola e abbandonata dallo Stato, per il terrore di fare la stessa fine dei suoi cari, si toglie la vita.

Ma nessun elemento sorregge questa costruzione. Perché Agata, dopo quel 16 ottobre ‘96, ha la scorta tutte le volte che la chieda; perché da gennaio non segnala né lascia trasparire alcuna minaccia sicchè la morte che si dà il 23 marzo ’97 deve avere altre spiegazioni; perché la sofferenza, il dolore e la profonda depressione in cui precipita raccontano più un senso di colpa per avere involontariamente provocato quella tragedia che l’incubo di andare incontro ad un destino simile. E inoltre, del profilo ‘mafioso’ dei fratelli Infuso non c’è alcuna traccia.

Tutti a Niscemi conoscono questa sola verità plausibile, mentre sui giornali e nella retorica pubblica ne passa un’altra, per lo sconforto e il disappunto di qualche scrupoloso corrispondente locale il quale, consultate tutte le fonti, accerta che nessuna richiesta di pizzo è giunta in quei cinque mesi alla donna, quindi avverte direttore e caporedattore, ma si sente rispondere: è vero, ma non possiamo dare una versione diversa da quella degli altri giornali, che infatti diventa l’unica.

Peraltro a Niscemi anni prima è stato sgominato il clan Russo e la pressione del racket si è molto allentata. Tutt’altra cosa gli anni ’80 quando le cosche dettavano legge e potevano regolare i loro conti dentro il corpo vivo di una città terrorizzata e impotente. In pochi anni, in un paesino con meno di trenta mila abitanti, si contano centinaia di feriti e ottanta morti ammazzati tra i quali due bambini, Giuseppe Cutruneo e Rosario Montalto, di 8 e 11 anni, uccisi il 21 agosto 1987 mentre giocano, ‘colpevoli’ solo di trovarsi all’improvviso dentro una sparatoria da far west. E’ anche in loro nome che Libera dieci anni dopo sceglie Niscemi per la giornata della memoria, ma perché il Comune provveda a collocare in via Turati una lapide a loro dedicata bisognerà attendere altri dieci anni, fino al 27 agosto 2007, data incisa sul marmo.

La guerra di mafia, tra i gruppi Russo, Vacirca e Campione della ‘Stidda’ da una parte e quelli degli Arcerito, Spatola, Paternò affiliati a Cosa Nostra dall’altra scoppia il 30 aprile 1983 (casualmente primo anniversario dell’uccisione di Pio La Torre) con l’omicidio del boss locale Salvatore Arcerito. Del resto nel Nisseno – oggi alla ribalta perchè da qui parte la clamorosa impostura antimafia di Antonello Montante pubblicamente nota dal 2015 – sono nati e cresciuti, radicandovi i loro clan tra Villalba, Mussomeli, Vallelunga, Riesi, Gela, storici boss mafiosi come Calogero Vizzini, Giuseppe Genco Russo, Giuseppe Di Cristina, i Madonia.

Ma negli anni ’90 questa mafia non c’è più. Ha mutato pelle, interessi e strategie, attratta da altri affari. Non è più nelle strade a chiedere il pizzo, e nei suoi progetti di business non figura certo il vandalismo nelle scuole, come una certa retorica tenta di far credere, non sappiamo se per un incolpevole abbaglio o mossa dall’interesse a costruire promettenti carriere e solide biografie. Ben vengano le azioni di difesa dei luoghi della formazione civile e culturale anche attraverso la mobilitazione intorno agli edifici scolastici, ma la mafia è altro e a furia di cercarla dove non c’è, si rischia di perderla di vista nei luoghi in cui realmente s’insedia e in cui depreda la cosa pubblica, violenta i diritti, coarta le libertà, avvelena il corpo sociale, opprime e impoverisce la comunità, perseguita gli onesti, fa razzìa di risorse.

Il secondo dei due articoli sopra richiamati parla del duro attacco mosso da Libera al giornalista modenese Giuseppe Leonelli ‘colpevole’ di … verità e – per avere osato documentare, per esempio a proposito dei tanti incarichi ottenuti da Vincenza Rando, il filo che lega pubblici amministratori Pd, esponenti di Libera e del Pd con nomine e parcelle a spese dei cittadini – accusato di essere al fianco delle mafie. A muovere tale attacco il dirigente provinciale di Libera Maurizio Piccinini il quale decenni dopo (siamo nel 2016) rispolvera così il fortunato storytelling dell’occupazione notturna delle scuole, contro l’aggressione mafiosa, da parte di quella giovane politica niscemese. E sulla stessa linea di Piccinini (pubblicare notizie vere, ma scomode per Rando o a lei sgradite significa essere mafiosi) prende pubblica posizione anche Stefano Vaccari, modenese, allora senatore Pd membro della Commissione antimafia, oggi – responsabile dell’Organizzazione del partito di Letta – in corsa per un seggio alla Camera al fianco dell’avvocata attivista cresciuta con Libera, in lizza invece per il Senato.

Tornando a Niscemi negli anni in cui Vincenza Rando è vicesindaca, della vecchia mafia ‘anni ’80 rimane il tragico bilancio di vittime e il grido di dolore, con corollario di battaglie legali, di familiari che chiedono allo Stato il riconoscimento dello status utile a risarcirli. Ovviamente i congiunti di tanti morti ammazzati non sono ‘vittime’, ma l’accertamento va fatto caso per caso, talvolta in contenzioso con gli organismi preposti a discernere il grano dal loglio. E’ su questa specifica assistenza legale che Rando muove i primi passi da avvocata e concentra la sua attività legale, mentre abbraccia l’impegno politico fin dal 1988. Undici anni in tutto, fino all’esito – che la coglie di sorpresa – di una bocciatura senza appello, rovinosa e bruciante, della sua ambizione di sindaco.

Quindi la partenza per Modena, l’ascesa ai vertici di Libera e la sua capitalizzazione – professionale, economica e politica – in terra emiliana, in vista del traguardo fissato: un seggio al Senato.

Del resto risuonano ancora forti e chiare a Niscemi le parole gridate in piazza da Ciotti il 21 marzo ’97: <<non deve finire tutto in questa giornata!>>.

Molti lo prendono sul serio, ciascuno a modo suo.

Gli articoli sul processo alla libera informazione, intentato da Libera dinanzi al tribunale di Ragusa con il patrocinio di Vincenza Rando, sono stati pubblicati il 6 febbraio (leggibile qui), l’11 febbraio (leggibile qui), il 24 febbraio (leggibile qui) l’8 marzo 2022 (leggibile qui) il 26 marzo (leggibile qui) il 25 aprile (leggibile qui ), il 29 aprile (leggibile qui) e il 3 maggio (leggibile qui) e il 15 maggio (leggibile qui).

Ps: Vincenza Rando, da noi interpellata sul contenuto della lettera in redazione relativa alla sua candidatura al Senato, in una nota (qui il testo integrale) definisce ‘false e prive di fondamento’ le affermazioni in essa comprese, informa che il Comune non ebbe alcuna competenza sulla costruzione dell’elipista fantasma e, complessivamente, interviene sui vari temi offrendo la propria ricostruzione e lettura dei fatti.