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Filippo Dispenza, il super prefetto-poliziotto ‘cliente’ di Montante, che convince la Procura a intasare il Tribunale con querele pagate dai cittadini per perseguitare cittadini

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Se avesse agito da comune libero cittadino, dovremmo, ovviamente in senso figurato, definirlo semplicemente un ‘molestatore’ seriale compulsivo il quale, per ragioni certamente a suo avviso buone e fondate – come capita a tali molestatori – ha querelato tantissime persone ritenendole colpevoli di diffamazione ai suoi danni. E magari tale loro ‘colpa’ in effetti consisteva nell’elementare esercizio della libertà di manifestazione del pensiero, di opinione, di critica o, nel caso di giornalisti perseguiti per avere operato con il mezzo della stampa, del diritto di cronaca e dell’analoga libertà di critica la quale in tale ordinamento professionale investe anche la sfera dei doveri, avendo – appunto – l’informazione il ‘dovere’ di essere ‘libera e critica’.

Il molestatore di cui parliamo è Filippo Dispenza il quale però non ha ‘molestato’ da libero cittadino, mettendo le mani nelle proprie tasche, ma in quelle dei contribuenti vittoriesi, per finanziare la sua compulsione incontinente: sostantivo da leggere nel significato proprio dei trattati di psicologia, mentre l’aggettivo ci rimanda a quelli di medicina.

Egli ha finanziato tale sua compulsione con i soldi dei cittadini i cui interessi generali di comunità è stato chiamato ad amministrare, ben retribuito per questo suo ‘lavoro’ di pubblico funzionario prestato da prefetto in quiescenza (quindi presumibilmente percettore anche di lauta pensione) lavoro che egli ha reso particolarmente confortevole con il trattamento che per ben trentanove mesi ha riservato a sè stesso attraverso l’elevato ‘standing’ dei servizi di viaggio, vitto e alloggio con i quali si è auto-gratificato a carico del bilancio del Comune.

Ma qui ci interessa la sua opera pubblica che, in senso figurato, abbiamo definito di ‘molestatore’, anzi – in questo caso – di persecutore dei cittadini ‘colpevoli’ di quanto abbiamo poc’anzi precisato: ovvero di essere cittadini in uno Stato democratico.

Chi sia Dispenza, ovviamente nella vita pubblica, è noto. Un poliziotto, amico o (toccando l’amicizia sentimenti interiori nei quali non possiamo entrare) quanto meno ‘cliente’ di Antonio Calogero Montante, l’impostore riuscito a spacciarsi per oltre dieci anni simbolo antimafia, in effetti nel cuore di un boss mafioso e accusato dall’Autorità giudiziaria di essere un mafioso avendo concorso dal 1990 a ‘Cosa nostra’. E’ inoltre imputato di essere stato a capo di due associazioni per delinquere per una delle quali è stato condannato a 14 anni di reclusione (sentenza d’appello imminente), mentre per l’altra il processo è agli inizi.

Una delle specialità di Montante, potentissimo grazie anche alla falsa patente antimafia che s’era cucito addosso, era quella di costruire – se voleva e lo riteneva conveniente per sé e per i suoi affari – carriere d’oro anche per poliziotti e prefetti come un’ampia casistica vagliata da un Tribunale della Repubblica documenta.

La carriera di Dispenza brilla particolarmente soprattutto negli anni in cui sono fitti i suoi incontri con Montante al quale chiede, e dal quale ottiene, svariati favori come l’assunzione del figlio nelle imprese amiche del finto imprenditore antimafia. Chi voglia approfondire può rileggere un mio articolo pubblicato il 27 luglio 2020 (leggibile qui) cui ne è seguito un altro sull’attività di gestione del Comune di Vittoria il 3 settembre successivo (leggibile qui).

Chiarisco subito che sarò grato a chiunque voglia leggere o rileggere, e magari diffondere, questi due articoli il cui contenuto e la cui piena veridicità, comprovata da fonti documentali aperte, riconfermo totalmente. Notazione non casuale avendo ricevuto, anche per questi articoli, una querela da cui è scaturito un procedimento ancora fermo alle indagini preliminari.

Ma il senso di questo articolo non è relativo affatto a questa querela, bensì alle tante altre promosse da Dispenza – sia pure in nome e per conto della Commissione straordinaria nella quale a contare era solo il suo volere – contro cittadini ‘colpevoli’ solo di essere tali e, quindi, di occuparsi della città, di segnalare disservizi, di auspicare una soluzione, di esprimere più che legittimamente una critica ai suoi amministratori: querele scagliate contro di loro con i loro stessi soldi e in nome (sic!) degli interessi del Comune che è la casa di tutti, anche la loro.

Per fortuna, dopo 39 mesi – più del doppio del tempo consentito dalla legge che ne fissa la durata “da 12 a 18 mesi, prorogabili fino ad un massimo di 24 mesi in casi eccezionali” – il persecutore seriale è cessato dalle funzioni e se intenda continuare ad esercitare la sua irrefrenabile predisposizione dovrà farlo, almeno si spera, a proprie spese. Ma intanto c’è da portare a maturazione la semina – dell’immane ‘lavoro’  svolto in quei 39 mesi – nel suo campo naturale, il Tribunale di Ragusa.

Dove, incredibilmente, una Procura della Repubblica, in sorprendente sintonia con la compulsione querelatoria dell’amico-cliente di Montante, ha spinto quella montagna di denunce, molte delle quali risibili: e non mi riferisco ovviamente, visto il loro contenuto, a quella contro i miei due articoli sopra richiamati.

Quella montagna di querele quindi prima è diventata – automaticamente come ovvio – una montagna di fascicoli sui tavoli del procuratore della Repubblica e di altri malcapitati pubblici ministeri; e poi – automaticamente, ma per niente ovvio – una montagna di giudizi dibattimentali dinanzi al Tribunale.

E così, per uno di questi, uno dei tanti, lunedì 21 marzo è andata in scena una sit-com dal retrogusto amaro e inquietante: forse dai tempi del caso Tumino-Spampinato, cinquant’anni fa, non veniva così fortemente interpellata la credibilità rassicurante del Palazzo di giustizia, appunto perché e in quanto ‘Palazzo di Giustizia’.

In una delle sue aule si teneva l’udienza di un processo nei confronti di Cesare Campailla, assessore del Comune di Vittoria dal 29 ottobre scorso nella giunta insediatasi all’esito di libere elezioni democratiche che finalmente, dopo 39 mesi, hanno posto fine alla gestione straordinaria del poliziotto-prefetto amico e cliente di Montante, il pluri-imputato al quale – come è scritto nella sentenza di un Tribunale della Repubblica – il ministro Angelino Alfano (artefice della carriera di Dispenza) era istituzionalmente genuflesso e mai avrebbe potuto dire di no.

Campailla, citato direttamente a giudizio dal procuratore Fabio D’Anna, è imputato del reato di diffamazione a mezzo stampa, anche nella fattispecie dell’ultimo comma dell’art. 595 del codice penale che dispone un aumento della pena, già prevista fino a tre anni di reclusione <<se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio>>.

L’assessore comunale, all’epoca dei fatti semplice cittadino il quale esercitava la sua libertà di critica politica, è accusato di avere, sul proprio profilo facebook il 25 giugno 2019 e tra il 19 ottobre e il 3 novembre 2019 <<denigrato e leso il decoro e l’onore della Commissione Straordinaria mediante la pubblicazione di svariati scritti … in cui affermava l’incapacità della stessa nella gestione amministrativa screditando in modo offensivo le qualità professionali e morali dei membri della Commissione>>.

Campailla è accusato altresì di avere, il 6 ottobre 2019, durante un comizio in piazza del Popolo a Vittoria, <<pronunciato gravi affermazioni nei confronti della Commissione straordinaria tra cui “dobbiamo chiedere al nuovo Ministro degli Interni la rimozione di questi Commissari perché sono incapaci di amministrare la città di Vittoria” … “questi non riescono neanche ad amministrare un condominio” … “facciamo in modo di rimuovere questi commissari perché sono persone incompetenti” affermandone – scrive D’Anna nel decreto di citazione diretta a giudizio – inefficienza ed incompetenza nonché supponendo la commissione di irregolarità e favoritismi in taluni procedimenti amministrativi aventi ad oggetto la gestione dei rifiuti, l’organizzazione di eventi ecc… ledendo in tal modo l’onore e il decoro della stessa>>.

Poiché non risultano indagini – che invece sarebbero state necessarie anche, se del caso, per sostenere, in tale ipotesi in maniera lineare comprensibile e convincente, l’esercizio dell’azione penale in exceptio veritatis – sulla “supposta commissione di irregolarità e favoritismi” in tema di gestione dei rifiuti, organizzazione di eventi, ecc… ne deriva che il semplice giudizio politico di incapacità su un organo chiamato ad amministrare un Comune, ad avviso della Procura concreti, sic ed sempliciter, il reato di diffamazione.

Ma ciò, se accade in Russia – nella Russia di questi giorni soprattutto – o in Turkmenistan, non è affatto plausibile in un Paese come l’Italia dove una Procura della Repubblica è chiamata ad attenersi alle leggi della Repubblica, a partire dalla Costituzione, quindi al suo articolo 21 e all’intera costruzione ed elaborazione legislativa e giurisprudenziale che proteggono i diritti e le libertà illustrati in premessa e che sono fondamento e presidio della democraticità dell’ordinamento, essenza della Repubblica della quale ogni pubblico ministero – magistrato inquirente, procedente e requirente – è procuratore.

Purtroppo ancora oggi – anomalia misteriosa ed inspiegabile – oltre cinque mesi dopo l’insediamento della nuova amministrazione finalmente scelta dai cittadini i quali l’hanno liberamente e democraticamente eletta, non è dato sapere quante querele, contro chi e a difesa di quali pubblici interessi – con le risorse economiche ed umane del Comune –  siano state promosse in 39 mesi di carica da Dispenza. Formalmente promosse a nome della triade commissariale la quale però di fatto e pubblicamente è inesistente negli altri due componenti, almeno dopo la coraggiosa rottura del vice prefetto Giancarlo Dionisi, funzionario capace ed integerrimo indisponibile ad assecondare le azioni del sodale di Montante e perciò cessato dall’incarico appena otto mesi dopo l’insediamento, sostituito da Giovanna Termini, sempre silente, come l’altro membro, Gaetano D’Erba, sulle scelte e sugli affari della Commissione trattati e decisi – come ‘cosa propria’ – unicamente da Dispenza.

In attesa che il sindaco Francesco Aiello si decida a compiere un’elementare opera di trasparenza dovuta alla città, da indizi ed elementi più o meno casualmente venuti in rilievo sappiamo con certezza che il numero delle querele è alto, tanto da giustificare l’incipit di questo articolo.

E per quanto sia dato sapere sono tutte querele diventate altrettanti processi penali per diffamazione, ovvero querele approdate in dibattimento senza il vaglio di un giudice, stante la citazione diretta a giudizio cui ha fatto ricorso il pubblico ministero.

Nel caso, tra i tanti, del processo sopra richiamato nei confronti di Campailla è importante, anzi illuminante, la cronaca dell’ultima udienza in una ricostruzione che in ogni particolare racconti l’atmosfera nel palazzo di Giustizia, cinquant’anni dopo la prova sconcertante – qui ricordata senza alcun intento comparativo ma solo come ripasso della lezione e della memoria del passato, perché diverse sono le situazioni – data da alcuni uffici giudiziari quando incredibilmente rimase dentro quelle mura l’inchiesta sul delitto Tumino la quale chiamava in causa il figlio del presidente del Tribunale poi assassino del giornalista Giovanni Spampinato.

Il racconto dell’udienza del 21 marzo richiede pertanto lo spazio necessario per accogliere ogni dettaglio.

1 – continua